Coconta

Apicoltura

  • Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.

    Ciao a tutti,
    come oramai di abitudine devo scusarmi per non essere riuscito a postare regolarmente ogni qualvolta ho effettuato una visita, ma, per impegni vari e periodo particolarmente frenetico, non ho avuto modo di avvicinarmi alla tastiera per condividere con voi la mia esperienza.

    L’ultimo post che avevo scritto riguardava l’arrivo dei due nuclei nel mio apiario, da allora ogni settimana ho effettuato la consueta visita per capire lo stato delle famiglie e anche per prendere la mano con quelle piccole routine che accompagnano ogni apicoltore per tutta la durata della sua avventura.
    Quando i nuclei sono arrivati erano composti da 5 telaini: due di scorte e tre di covata.

    Già alla prima visita essendo ancora in piena fioritura dell’acacia ho introdotto due foglie cerei per arnia, in questo modo le famiglie si sarebbero espanse fino ad occupare 7 telaini.
    Nella visita della settimana successiva ho scoperto, con straripante felicità, che avevano costruito, tutte e due le famiglie, entrambi i fogli cerei che avevo introdotto, ma non essendo ancora utilizzati se non per quale pallina di polline sparsa qua e la ho deciso di lasciare decantare la situazione.
    Purtroppo non ho ne foto ne video che testimoniano queste visite poiché essendo le prime volte volevo concentrarmi più sulle api e sui gesti da compiere che sull’immortalarle.

    Nella visita del 24/05 conclusa la fioritura dell’acacia, ho riscontrato una presenza massiccia di scorte e per questo ho deciso di introdurre altri due fogli cerei per portare le famiglie ad occupare 9 telaini.
    Durante questa visita sono riuscito ad avvistare entrambe le regine e, anche se era vi era presenza di covata fresca, questo mi ha rincuorato ulteriormente e mi ha fatto sperare per il meglio.
    Sono riuscito, anche se con una qualità non molto alta a filmare parte della mia visita, ovvero quella sulla cassa arancione, che ho costatato essere un pochino più aggressiva rispetto l’azzurra.

    Trascorsa un’ulteriore settimana eccoci arrivati alla visita avvenuta il 31/05/2014 e nella quale ho costatato, oltre allo stato generale della famiglia, se avessero costruito o meno i fogli introdotti la settimana precedente.

    Arnia Azzurra
    Come oramai d’abitudine ho ispezionato prima l’arnia azzurra che, essendo di natura più tranquilla, non mi crea grossi problemi. C’è da dire che la giornata non era molto favorevole in quanto la notte aveva piovuto forte e il sole incominciava a penetrare tra le nubi proprio quando visitavo l’apiario, inoltre ogni tanto si alzava qualche folata di vento freddo che infastidiva le api.

    Arnia azzurra vista dall'alto

    Arnia azzurra vista dall’alto

    L’arnia azzurra che era partita più deboluccia rispetto all’arancione ora ha raggiunto lo stesso livello di popolazione e anche a livello di telaini di covata è sullo stesso livello, ovvero possiede i due telaini più esterni con ricche scorte di miele e polline, mentre in quelli centrali è presente una gran quantità di covata che al momento dello sfarfallamento (ovvero quando un’ape completamente formata esce dalla cella che era stata precedentemente opercolata dalle compagne) ricoprirà abbondantemente ogni telaino, costringendomi probabilmente a posizionare il melario poiché altrimenti avrebbero troppo poco spazio per muoversi.

    Telaino di covata opercolata

    Telaino di covata opercolata

    Durante la mia visita ho potuto anche costatare la presenza di fuchi (i maschi delle api) che scorrazzavano liberamente per i telaini producendo ogni tanto il loro caratteristico ronzio, molto diverso da quello prodotto dalle ali delle operaie.
    Con la macchina fotografica ne ho voluto immortalare uno il cui ronzio sovrastava spesso quello degli altri, tanto caratteristico che mi ha permesso di scovarlo nel telaino ed catturarlo, sono da notare le dimensioni rispetto alle operaie, si vede che è stato alimentato bene.

    Fuco un pò in carne

    Fuco un po in carne

    Prima di richiudere quell’arnia ho notato un’ape solitaria stranamente scusa, non so dire se si tratti di una ape anziana, di un’individuo affetto dal mal di maggio oppure se appartiene alla fantomatica casta delle api “ladre” di cui parlava il mio tutor durante il corso, fatto sta che mi ha incuriosito e vedrò di informarmi su che cosa sia realmente.

    Ape stranamente scura

    Ape stranamente scura

    La visita all’arnia azzurra mi ha rivelato che la famiglia si trova in splendida forma e che ha costruito in maniera del tutto normale (anche se tagliando un pochino il foglio in prossimità dei fili maggiormente scoperti) i due telaini con foglio cereo che gli avevo precedentemente introdotto.
    Speriamo che prosegua con questa marcia.

    Arnia Arancione
    Per quanto riguarda l’arnia arancione, sono rimasto un pochino perplesso rispetto alla sua aggressività, poiché prima di addossare alla genetica la colpa voglio eliminare ogni altro fattore possibile. Prima dell’ultima visita ho provato a lavare la tuta da lavoro per vedere se fosse l’odore del veleno che le infastidiva ma non ho ricevuto i risultati sperati, durante la visita ho controllato che non vi fosse una cella reale perché credevo in una possibile sciamatura, ma, oltre aver rimosso la cella dove era uscita la regina attuale (che era ancora presente) non ne ho trovate altre.
    Ho visto anche la regina che continua a deporre in maniera regolare e senza problemi evidenti, quindi credo che l’ultima mossa fattibile sia l’immissione del melario per vedere se è un problema di sovraffollamento, anche se non credo.
    Per questa visita ho preferito fare un video in maniera tale da permettervi di gettare un’occhio, oltre al mio, dentro a quest’arnia.

    Nella seconda metà del video mi vedete allontanare poiché si stavano arrabbiando parecchio, infatti se osservate i pochi instanti che seguono il mio movimento per allontanarmi vedrete una flotta partire in volo e gettarsi verso la mia direzione.
    La tuta e i guanti hanno fatto il loro dovere, ma vorrei arrivare a non doverli usare perché possiedo delle api molto tranquille e pacifiche, col tempo spero di riuscirci (ovviamente non addomesticandole, ma selezionando le famiglie più docili qualora dovessi fare delle regine).

    Detto questo non mi rimane che salutarvi e darvi appuntamento a settimana prossima. Bzzzz!

  • Forse il nostro universo si trova dentro al dente di qualche gigante..

    Ciao a tutti,
    è da qualche tempo che non scrivo in questo blog della mia avventura.
    Il motivo di questo sostanziale silenzio stampa era dovuto al fatto che la mia avventura con le api non aveva ancora fatto il primo battito d’ali nel volo solitario, almeno fino ad ora.

    Finalmente dopo la conclusione del corso base sull’apicoltura tenuto dall’associazione forlivese apicoltori (A.F.A. per gli amici) e le tre lezioni pratiche che mi hanno permesso, oltre che di mettere per la prima volta le mani dentro una famiglia, soprattutto di conoscere altri ragazzi interessati a questo mondo e con cui sono sicuro si instaurerà una bella collaborazione, se non un’amicizia.

    Detto questo passiamo alle cosa importanti:
    da qualche tempo avevo ordinato i due nuclei che vorrei condividessero con me tutto questo percorso da un apicoltore di Bologna, il quale mi ha trasmesso da subito una straripante passione e una professionalità unica.

    Con immensa gioia e trepidazione da parte mia, ci accordiamo per effettuare il ritiro Domenica 4 Maggio (unico giorno non bersagliato da temporali, acquazzoni ed intemperie di ogni sorta), così preparo il tutto, svuoto il camioncino della ditta di mio padre a alle 18.30 io e la mia morosa partiamo con meta Bologna.

    Attraversato il traffico spinoso del centro città, del tutto non abituale per dei provincialotti come noi, arriviamo nelle campagne Bolognesi e ci fermiamo dopo qualche minuto di ricerca davanti ad un cancello altissimo, degno di una reggia.
    Iniziamo, temendo di non trovare il luogo dell’incontro, a cercare di capire nel navigatore dove dovevamo andare, ma solo quando il cancello si aprì ed uscì un ragazzo con in mano la maschera tipica dell’apicoltura capii che ci eravamo fermati nel punto giusto per puro caso.

    Una piccola esploratrice

    Una piccola esploratrice

    Passati i soliti convenevoli, decidiamo di aspettare che il volo delle operaie cessi per rischiare di chiudere fuori il minor numero possibile di api.
    Impacchettate di tutto punto e legate con cura nel retro del camioncino prendiamo, consapevoli del nostro prezioso carico, la via del ritorno.

    Arrivati in apiario, senza troppe difficoltà, scarico i due nuclei ancora tutti sigillati e li posiziono sopra le arnie nelle quali poi dovranno essere trasferite l’indomani.
    Essendo già molto tardi e le tenebre avevano avvolto il mondo già da diverso tempo, mi limito solamente ad aprire le due porticine e mi allontano, dopo aver fatto qualche scatto (ovviamente).

    Nuclei appena approdati in apiario

    Lunedì 5 Maggio mi sveglio presto e mi dirigo, ancora elettrizzato per aver portato le mie prime due famiglie nell’apiario, a lavoro.

    Ebbene sì, non ho potuto (sebbene volessi) andare subito dalla api ed effettuare il trasloco, ma ho dovuto aspettare di rincasare la sera dall’ufficio.
    Fiondato come un matto in apiario, mi sono vestito ed ho acceso l’affumicatore consapevole che avevo il tempo giusto prima che il sole tramontasse.

    Armato di buona lena e consapevole che l’obbiettivo non era una visita accurata delle due famiglie, ho iniziato a spostare il nucleo dell’arnia arancio:
    l’ho appoggiato a terra lentamente, ho aperto interamente l’arnia facendo spazio per i 5 telaini che la famiglia già aveva costruito e utilizzava.
    Con estrema cura e cercando di mantenere le mani più ferme possibili ho inserito nell’arnia la famiglia cercando di recare meno danni possibili, ma questo trauma così imponente giunto sul far della sera ha fatto si che le api si agitassero e anche convulsamente.
    Dopo aver aggiunto due fogli cerei (quindi da costruire) tra le scorte e la covata, su suggerimento dell’apicoltore che me le ha fornite, ho richiuso l’arnia e mi sono allontanato di qualche metro facendo in modo che la quiete riprendesse possesso negli animi.

    La quiete dopo la tempesta...

    La quiete dopo la tempesta…

    Una volta ristabilito un minimo di ordine mi sono recato nuovamente vicino alle arnie, questa volta è stato il turno dell’arnia azzurra.
    Anche in questa famiglia le operazioni da compiere erano le medesime, purtroppo anche questo intervento ha causato diverso scompiglio anche se in maniera leggermente inferiore.

    Allontanatasi la minaccia (ovviamente, io) il tutto è tornato calmo e pacifico nel giro di una decina di minuti, tant’è che quando sono tornato a riprendere i contenitori di cartone le operaie era tutte rincasate, e le poche addette al turno di guardia sbirciavano dalla porticina senza dare troppo peso alla mia presenza.

    Giornata intensa, operazioni importanti portate a termine in breve tempo e soprattutto senza intoppi (speriamo).

    In conclusione e da quello che ho potuto osservare nel breve tempo che ho visitato la famiglia mentre spostavo i favi, ho due bei nuclei anche se quello azzurro un pochino più deboluccio rispetto allo straripante arancio.
    Questo fine settimana, tempo permettendo, effettuerò una visita come si deve per capire lo stato di entrambe le famiglie, fino ad allora:

    Buon lavoro‼ Sia alle api, che a voi e, non vedo perché no, anche a me.

    Bzzzz‼

  • Patologie delle api – Lezione 7

    L’ultima lezione di questo corso tratterà l’argomento “patologie delle api”, purtroppo capitolo molto importante, vasto e in continua evoluzione. In questa lezione saranno riassunte le nozioni essenziali, giusto per dare un’infarinatura generale.

    P.s.
    Per chi volesse c’è una petizione di Greenpeace che riguarda le api da vicino, se tenete al mondo che vi circonda il minimo che potete fare è firmare.
    Trovate tutte le informazioni e la possibilità di firmare digitalmente a questo indirizzo: http://salviamoleapi.org/

    Acariosi

    Si tratta della più grave malattia delle api adulte e fa parte di quelle malattie la cui denuncia è obbligatoria (la denuncia va effettuata all’autorità sanitaria locale secondo quanto disposto dall’art.154 del vigente Regolamento di Polizia veterinaria).
    L’agente della malattia è un’acaro della famiglia dei Tarsonemidi: l’Acarapis woodi Rennie. Ha forma sub-ovale e dimensioni microscopiche.

    Acarapis woodi al microscopio elettronico

    Acarapis woodi al microscopio elettronico

    Presenta un certo dimorfismo sessuale, con la femmina leggermente più grande. A differenza della maggioranza degli acari, che sono ectoparassiti, l’Acarapis è un endoparassita che vive nell’apparato respiratorio (trachee) delle api adulte di tutte e tre le caste.
    La malattia viene trasmessa dalla femmina feconda che penetra nelle trachee toraciche delle giovani api operaie nei primi 9 giorni di vita attraverso gli stigmi, ancora sufficientemente aperti, del 1° segmento toracico.
    Qui l’acaro depone le uova, in media 5 o 6 fino ad un massimo di 10. Dall’uovo si sviluppa una larva che attraverso lo stadio di ninfa diviene adulta in 11-14 giorni.
    Inizialmente il parassita rimane localizzato nel primo tratto della trachea da cui è entrato, ma poi si irradia nel sistema respiratorio circostante moltiplicandosi ulteriormente ed occupando il 1° paio di trachee toraciche.
    Quando il numero di acari diviene considerevole le trachee vengono ostruite dal parassita e questo provoca carenza di ossigeno all’ape. In inverno ed in primavera gli acari escono dalle trachee delle vecchie api e si installano alla base delle ali dove si accoppiano, in tal modo ledono le articolazioni delle ali i cui movimenti cessano di essere coordinati e le api non riescono più a volare.
    Le ali battono staccate, quando invece abitualmente sono agganciate l’una all’altra, ed a volte assumo una caratteristica forma a “K”.
    L’evacuazione delle feci che normalmente avviene in volo, non può aver luogo, l’addome si dilata e le api finiscono per morire.

    Sintomi

    I sintomi visibili dell’acariosi non sono caratteristici, simili come sono a quelli provocati da altre malattie o da intossicazioni: tremori e movimenti convulsivi del corpo , incapacità a volare, ritenzione delle feci, difficoltà anche a camminare; spesso si aggrappano alle erbe in prossimità dell’alveare per morire in lenta agonia.
    Durante l’estate le operaie vivono meno di 6 settimane e la loro morte naturale sopraggiunge prima della seconda generazione del parassita, quindi i sintomi della malattia non compaiono e solo il microscopio può svelare la presenza dei parassiti. Le loro punture provocano infatti degli ispessimenti scuri nelle trachee facilmente individuabili.

    Trachea infestata di un'ape

    Trachea infestata di un’ape

    In autunno, ma soprattutto durante l’inverno, le api vivono molto più a lungo e se alcune di esse sono colpite la malattia si manifesterà in pieno da maggio a giugno.
    Una colonia le cui api siano infestate al 50% prima dell’inverno, non ha alcuna speranza di sopravvivere.
    Anche le regine possono ospitare l’acaro, tuttavia anche nei casi più gravi, pur perdendo le ali, continuano comunque a deporre.

    Profilassi e cura

    Quando in un apiario si scoprono una o poche famiglie acariosate, soprattutto se la scoperta si effettua in autunno quando difficilmente una famiglia avrà la possibilità di sopravvivere o se ci si trova in una zona fino a quel momento esente da acariosi, se ne consiglia la distruzione. Questa va effettuata la sera, quando tutte le bottinatrici saranno rientrate, per asfissia delle api con annessa cremazione delle stesse e recupero dei materiali.
    Negli anni sono state utilizzate numerose sostanze per la lotta all’acariosi. Allo scopo in Italia era stato dapprima registrato il clorobenzilato, poi il bromopropilato, che è stato impiegato anche per la lotta alla Varroa.
    Dopo che è stata segnalata la possibilità di controllare l’acariosi col mentolo e con l’avvento della Varroa, sono aumentati gli studi nei confronti degli oli essenziali, soprattutto perché hanno dimostrato efficacia anche nei confronti del nuovo acaro.

    Varroasi

    Si tratta di una pericolosissima malattia che colpisce sia la covata che gli adulti; viene trattata a questo punto perché è causata da un’altro acaro, Varroa destructor, specie appartenente alla famiglia Varroidae.
    La Varroa destructor in origine era parassita dell’Apis cerana, alla quale non arreca particolari danni, in quanto si riproduce prevalentemente a spese della covata maschile, riuscendo così a convivere, anche grazie a particolari comportamenti di pulizia messi in atto dalle operaie.
    L’occasione che ha consentito alla specie di passare sull Apis mellifera è stata offerta negli anni ’40, quando api europee furono introdotte in Asia Sud-Orientale per aumentare la produzione di miele.

    Varroa destructor al microscopio elettronico

    Varroa destructor al microscopio elettronico

    Eziologia e ciclo biologico

    La V.destructor, a differenza di Acarapis woodi, è di dimensioni piuttosto cospicue e le femmine sono facilmente distinguibili ad occhio nudo. Sono di color bruno-rossiccio, di forma ellissoidale ed appiattita, a prima vista si potrebbero confondere con la Baula coeca, dalla quale si distinguono per avere quattro paia di zampe invece che tre e per aver il corpo più largo che lungo.
    L’acaro possiede un apparato boccale pungente-succhiatore e si comporta da ectoparassita per tutta la durata della sua vita, sia a spese della covata sia a spese degli adulti.
    V. destructor è caratterizzata da un notevole dimorfismo sessuale, i maschi sono bianchi-grigiastri più piccoli delle femmine e di forma più allungata.

    Femmina e maschio di V. destructor durante l'accoppiamento

    Femmina e maschio di V. destructor durante l’accoppiamento

    Essi muoiono entro pochi giorni dalla nascita, di solito più o meno al momento dello sfarfallamento delle api. I maschi adulti non possono assumere cibo in quanto le loro appendici boccali sono trasformati in organi atti al trasferimento delle spermatofore, contenenti gli spermatozoi, nelle vie genitali delle femmine.
    Il ciclo biologico della varroa è sincronizzato con quello delle api. Quando le femmine sono prive di covata le varroe femmine svernano sul corpo delle operaie, normalmente infossate tra le lamine centrali dei segmenti dell’addome. Possono rimanere in questa situazione anche per sei mesi, in attesa che nell’alveare ricompaia la covata. Quando in primavera riprende l’allevamento di covata da parte delle api, anche le varroe riprendono il loro ciclo riproduttivo, ma non lo fanno all’improvviso, sembra invece che la ripresa sia estremamente graduale.
    La riproduzione avviene esclusivamente all’interno della covata opercolata. Le femmine adulte penetrano all’interno delle celle contenenti larve di apri prossime all’opercolazione, quando le larve hanno 6-9 giorni se femminili, 7-10 se maschili. Qui, protette dall’opercolo nel frattempo apposto dalle operaie, si nutrono sul corpo dell’ape in via di sviluppo e depongono le uova.
    Le varroe, figlie e vecchie fondatrici, abbandonano le celle attaccate al corpo delle api che sfarfallano. Le varroe possono compiere fino a 7 cicli riproduttivi, dopo di che muoiono di vecchiaia, tuttavia la maggior parte depone solo una volta e la percentuale che depongono tre volte è già molto bassa.

    Ciclo vitale della varroa

    Ciclo vitale della varroa

    Dinamica della popolazione di Varroa

    Ipotizzando che un ciclo riproduttivo completo si compia mediamente in 17 giorni (5 giorni sulle api adulte e 12 entro la covata femminile o 3 giorni sulle api adulte e 14 giorni entro la covata maschile), durante la stagione riproduttiva (circa 7 mesi) si possono concludere circa 12 cicli.
    E’ stato calcolato che gli acari che si sviluppano in celle da operaia hanno un coefficiente di moltiplicazione pari a 1.3, quelli che si sviluppano in cella da fuco di 2.6; in assenza di fattori limitanti, teoricamente una varroa presente all’uscita dell’inverno si moltiplicherà secondo il seguente schema:

    Come si è detto lo schema è teorico, in quanto occorre tener conto della mortalità naturale delle varroe, delle possibilità che a volte non venga depositato l’uovo maschile, ecc..
    Ci si rende dunque chiaramente conto che la dinamica di sviluppo della popolazione di varroa è enormemente variabile. Se da un lato si può affermare in maniera semplicistica che mediamente la popolazione raddoppia mensilmente, dall’altro, per la complessità dei fattori in gioco, è assolutamente impossibile prevedere a priori la dinamica dello sviluppo di una popolazione nel singolo alveare.

    Rapporto varroa-ospite

    La varroa si muove e riesce a riprodursi nell’alveare molto agevolmente pur essendo cieca. Oltre alle vibrazioni, essa utilizza principalmente l’analisi degli “odori” dell’alveare per essere guidata nei suoi spostamenti e nelle sue attività.
    Prima di tutto l’acaro ha bisogno di riconoscere e distinguere le api adulte a seconda delle loro funzione all’interno dell’alveare. Le nutrici sono di fondamentale importanza, perché sono utilizzate dalla varroa come autobus per raggiungere la covata di età idonea ad essere parassitata.

    Effetti della parassitizzazione sulle api

    E’ stato stimato che per ogni femmina di Varroa presente durante lo sviluppo dell’ape l’ospite perda il 3% dell’acqua del suo corpo. Ciò significa che mediamente il peso di api nascenti infestate da Varroa risulta ridotto dal 6.3 al 25%.
    Le api parassitate emergono con più bassi livelli di concentrazione di proteine nella testa e nell’addome , dell’ordine del 20% e con più bassa concentrazione di carboidrati nell’addome. La concentrazione di lipidi non sembra invece alterata dalla presenza di varroa.
    In queste condizioni l’aspettativa di vita delle api è ridotta del 50%. Tuttavia ciò non è sufficiente a spiegare l’alta mortalità ed il collasso che inevitabilmente sopraggiunge ad un alveare poco tempo dopo l’arrivo della Varroa.
    L’8.5% delle api nascenti mostra deformazioni, ma tale valore è funzione del numero di acari presente nelle celle. Api con deformità evidenti quali riduzione di taglia, atrofia dell’addome, malformazione del pungiglione, delle ali e e delle zampe, nonché riduzione e disfunzione di svariate ghiandole sono comunque rinvenibili in tutti i livelli di parassitizzazione e ciò fa presumere che altri fattori possano essere coinvolti.
    Acari posti su api contenenti nell’emolinfa un marcatore radioattivo acquistano il marcatore in 24 ore. E’ stato così possibile calcolare che ogni femmina adulta consuma 0.67mg di emolinfa in 24 ore.
    In primavera le api parassitate presentano una riduzione degli emociti del 30% e un tenore di acidi nucleici nei tessuti muscolari significativamente ridotto.
    Esse presentano anche nell’emolinfa un numero doppio di batteri rispetto ad api non parassitate.
    E’ stato dimostrato che il marcatore radioattivo viene ritrasmesso alle api sulle quali l’acaro si va successivamente a nutrire, a conferma che la varroa è un importante vettore di patogeni per le api.

    Ape parassitata da una varroa destructor

    Ape parassitata da una varroa destructor

    L’infestazione da varroa può avere riflessi anche sul sistema immunitario dell’ape, col risultato di una più bassa capacità di difesa, che rende le api maggiormente suscettibili a svariati patogeni. Anche sui fuchi si verifica una diminuzione di peso proporzionale al numero di acari presenti nella cella. In taluni casi si può assistere alla nascita di mini fuchi dalla funzionalità assai dubbia. E’ stato verificato che i fuchi nati da celle parassitate non sono quasi mai presenti nelle zone di fecondazione, hanno un’attività di volo ridotta e meno sperma rispetto ai fuchi non parassitatati.

    Sindrome da acari

    La presenza costante della varroa può condurre a quella che è stata definita “sindrome da acari”. Questa sindrome sembra in qualche modo associata alla trasmissione da parte degli acari di diversi virus. Essa può risultare devastante per la colonia. Sia le api adulte che la covata possono risultarne colpite. Alcune dei sintomi associati alla sindrome, che possono manifestarsi in qualsiasi periodo dell’anno, ma con maggior frequenza in tarda estate sono i seguenti:
    Nelle api adulte:

    • riduzione della popolazione;
    • api con evidenti difficoltà di volo che lasciano l’alveare strisciando;
    • sostituzione della regina;
    • presenza anche di acari tracheali;
    • api che lasciano in massa l’alveare anche in autunno inoltrato o inizio inverno.

    Nella covata:

    • covata irregolare;
    • sintomatologia simile a peste europea, peste americana, covata a sacco (questi sintomi possono sparire a seguito di trattamento con acaricida);
    • alcune larve risultano fuori posto nella celletta, altre liquefatte sul fondo della stessa;
    • presenza di larve di color bruno, come nei primi stadi della peste americana, che però non presentano viscosità;
    • in alcuni casi è osservabile la formazione di scaglie friabili e facilmente asportabili.

    Nessun odore tipico è associato alla sindrome e all’esame al microscopio le larve colpite non presentano particolare flora microbica. Particolarmente insidioso è il periodo in cui le api cessano di allevare covata maschile, che fino a quel momento ha attirato la maggioranza delle varroe.

    Contagio

    Parlare oggi di contagio è anacronistico, in quanto la malattia è endemica nel nostro territorio e capillarmente diffusa.
    Gli acari si trasferiscono da apiario ad apiario e da un alveare all’altro tramite derive, saccheggi, trasferimento di fuchi, commercio di regine e sciami, raccolta di sciami, nomadismo, ecc..
    Anche le operazioni apistiche possono contribuire al trasferimento di acari da una famiglia all’altra, mentre non costituiscono fonte di contagio i prodotti delle api e le attrezzature apistiche, dal momento che in assenza di api le varroe muoiono nel giro di poco tempo.
    Gli alveari, anche se trattati, in determinate condizioni di vicinato od in presenza di saccheggio possono re infestarsi in maniera massiccia. Tale fenomeno risulta molto più consistente nel periodo autunnale e in certi casi in quello invernale con famiglie che vanno a saccheggiarne altre morenti o morte. La re infestazione risulta invece minima nel periodo primaverile.

    Valutazione del grado di infestazione

    Non è più neanche un ricordo il momento in cui, nei primi anni, la malattia era di difficile diagnosi. Oggi il livello di presenza degli acari è talmente alto che un’attenta osservazione delle api adulte permette di individuarne diversi.
    E’ invece tutt’ora molto importante valutare il grado di infestazione, perché da questo, in funzione al periodo dell’anno, può dipendere il futuro delle famiglie.
    Se in primavera/inizio estate disopercolando una decina di celle da fuco se ne trovano più di tre infestate da varroa, il livello di infestazione comincia ad essere preoccupante.
    Anche la valutazione della caduta naturale è in qualche modo d’aiuto. Si calcola che moltiplicando per 100 la media degli acari caduti giornalmente fornisca una stima attendibile del numero delle varroe presenti nell’alveare.
    Se in primavera/inizio estate si raggiunge una media di caduta superiore ai 5 acari al giorno il livello di infestazione è già pericoloso, in quanto 500-600 acari in questo periodo dell’anno condurranno ad un’infestazione autunnale insostenibile per la famiglia.
    Più avanti nella stagione si dovrà intervenire al raggiungimento di una caduta media giornaliera di circa 10 varroe.
    Per valutare il grado di caduta naturale, ma anche l’efficacia di un trattamento chimico, sono molto utili e pratiche le arnie con fondo a cassetto.

    Fondo antivarroa

    Fondo antivarroa

    Mantenere un basso livello di presenza della varroa minimizza molti problemi, è quindi importante provvedere alla disinfestazione quando si rende necessaria, indipendentemente dal periodo dell’anno. E’ invece uso consolidato di molti apicoltori attendere fino all’apporto di nettare per togliere melari e trattare le api, spesso all’ultimo momento.
    Questo modo di operare, che porta sovente ad intervenire su famiglie in precarie condizioni, può avere gravi ripercussioni l’anno successivo. In primavera, se avranno superato l’inverno, ci si troverà di fronte a famiglie deboli, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
    Per poter arrivare con buona tranquillità alla fine della stagione è indispensabile partire a primavera con un numero molto basso di acari (meno di 10). Successivamente, ad ogni visita, da metà anno in poi, dovrebbe essere effettuata una valutazione approssimativa del livello di infestazione in maniera da poter intervenire tempestivamente in caso di pericolo.

    Profilassi e cura

    Dal momento che come abbiamo visto, la malattia è endemica in tutto il territorio nazionale e presente in tutti gli apiari, occorre rassegnarsi all’idea di doverci convivere, contrastandola con appropriati mezzi, chimici, manipolativi e biologici.
    I metodi per combattere questo acaro si sono sviluppati nel tempo e si stanno evolvendo continuamente, occorrerebbe troppo tempo ad illustrarli tutti, quindi per questa volta ci limiteremo a dire che esistono trattamenti chimici, trattamenti meccanici e trattamenti biologici.
    (Provvederò a fare un’ulteriore post più avanti con tutti i mezzi più diffusi per la lotta alla varroa)

    Nosemiasi

    La nosemiasi è una delle 5 malattie contagiose la cui denuncia, in base all’attuale legislazione, è obbligatoria.
    E’ particolarmente diffusa nell’Europa settentrionale e centrale, in Italia, forse grazie al suo clima poco favorevole alla malattia, finora non era molto diffusa, attualmente invece, forse a causa del diffondersi della varroa, sta conoscendo un periodo di recrudescenza.

    Eziologia e caratteristiche

    L’agente eziologico della malattia è un protozoo (animale unicellulare), il Nosema apis, che vive e si moltiplica a spese delle cellule epiteliali del mesointestino (stomaco) delle api adulte.
    Non vengono invece mai colpiti gli stadi preimmaginali.

    Nosema apis al microscopio elettronico

    Nosema apis al microscopio elettronico

    Il Nosema trova condiziono ottimali di sviluppo a temperature comprese tra i 28 e i 35°C, non sopporta temperature superiori ai 37°C.
    In condizioni ideali compie il suo ciclo evolutivo in 3 o 4 giorni, alla fine del quale si trasforma in spora, forma di resistenza e propagazione.
    Quando le spore, ingerite con il cibo, giungono nel lime intestinale di un’ape adulta, germinano e danno origine ad una forma ameboide che penetra nelle cellule della parete mesointestinale dove si sviluppa, si evolve e si moltiplica nutrendosi del citoplasma cellulare. Alla fine si formano delle giovani spore che in breve tempo divengono mature.
    Data la rapidità di moltiplicazione del parassita che invade un numero sempre maggiore di cellule, in breve tempo tutto il tessuto attaccato risulta infarcito di spore.
    Man mano che l’epitelio mesointestinale viene rinnovato le spore vengono riversate nel lume dell’intestino e da qui espulse con le feci.
    Giunte all’esterno possono venir ingerite da altre api e il ciclo si chiude.

    Ciclo vitale del nosema

    Ciclo vitale del nosema

    Sulla resistenza delle spore le opinioni non sono concordi, in generale si può affermare che si conservano tanto più a lungo quanto più la temperatura è bassa e, secondo le condizioni, possono vivere da alcuni giorni a cinque anni.
    In una famiglia colpita da nosemiasi ogni ape può essere portatrice di circa 4 milioni di spore. Il naturale ricambio delle api aiuta a contenere o eliminare il livello di infestazione, in quanto le nuove nate non risultano soggette agli alti livelli di infestazione presenti nell’alveare, tuttavia il ricambio di api non è sufficiente a eliminare infestazioni superiori ai 4 milioni di spore per ape.
    In presenza di malattia solo al dieta con miele migliora i sintomi, mentre la nutrizione con altre sostanze zuccherine li peggiora.

    Sintomi e diagnosi

    L’azione del germe patogeno, pur colpendo solo l’intestino delle api adulte, si ripercuote su tutto l’alveare. All’inizio della malattia le api possono essere ancora attive, ma ben presto la loro attività rallenta e compaiono disturbi intestinali, a volte stitichezza, ma più spesso diarrea; le giovani nutrice colpite diventano incapaci, o quasi, di secernere la pappa reale, le bottinatrici svolgono un’attività inferiore fino a cessarle completamente; se si ammala anche la regina la deposizione di uova decresce fino a cessare nei casi più gravi.
    Nosema causa alle giovani api colpite un precoce comportamento di bottinamento. Le api infette mostrano un più alto titolo di ormone giovanile nell’emolinfa. In aggiunta alla mortalità di api indotta dal patogeno questo può portare ad una carenza di nutrici e a difficoltà del normale sviluppo delle famiglie.

    Spore di nosema contenute nell'intestino di un'ape

    Spore di nosema contenute nell’intestino di un’ape

    Ben presto le api colpite non possono più volare, si trascinano davanti all’arnia, si riuniscono in piccoli gruppi, tremano, proseguono la loro esistenza oramai paralizzate ed infine muoiono con le zampe rinchiuse sotto il torace.
    Tutti i sintomi che sono stati descritti tuttavia non sono sufficienti a caratterizzare con sicurezza la malattia. Solo la ricerca delle spore al microscopio nell’intestino medio o negli escrementi permette di diagnosticare la malattia con sicurezza.

    Contagio

    La nosemiasi si propaga all’interno dell’alveare attraverso gli escrementi delle prime api ammalante che contaminano per via orale tutta la popolazione.
    La diffusione da alveare ad alveare e da apiario ad apiario può avvenire attraverso la deriva delle operaie, i cambiamenti di arnia dei maschi, il saccheggio, l’alimentazione con miele contaminato, l’impiego di materiali o di attrezzi infetti, ecc..

    Prognosi e lotta

    La nosemiasi è una malattia che pur essendo causata da un agente patogeno ben individuato è condizionata da numerosi fattori esterni, tra i quali il clima e l’andamento stagionale rivestono un ruolo preminente. Nelle zone temperate la malattia si manifesta di solito a fine inverno e raggiunge il massimo in aprile-maggio per regredire drasticamente in luglio-agosto e poi ripresentarsi con una certa recrudescenza in autunno. Il parassita trova condizioni favorevoli di sviluppo quando la stagione è cattiva e le api hanno difficoltà a reperire nettare e polline.

    Segni di Nosmiasi all'esterno di un'arnia

    Segni di Nosmiasi all’esterno di un’arnia

    Peste americana

    È la più diffusa e grave malattia della covata e fra quelle la cui denuncia è obbligatoria.

    Eziologia

    La peste americana è causata da un batterio sporigeno, il Paenibacillus larvae.

    Paenibacillus larvae al microscopio

    Paenibacillus larvae al microscopio

    Dalla spora, in ambiente idoneo, si rigenera il batterio che, in condizioni ottimali, è in gradi di riprodursi in circa 30 minuti. Potenzialmente da un solo microbo, in 24 ore se ne possono formare 250 milioni e durante il ciclo di sviluppo all’interno di una singola larva se ne formano diverse migliaia di miliardi.
    Le spore sono rivestite da una membrana particolarmente resistente che le protegge dalle avversità ambientali. Nei favi vecchi possono mantenersi vitali per almeno 30 anni.
    Le spore per germoliare necessitano di un ambiente semi-aerobico che trovano nell’apparato digerente delle giovani larve, infatti le larve delle api, fino a 25 ore della nascita, sono il principale bersaglio del paenibacillus larvae. Le larve colpite muoiono immediatamente e debbono trascorrere 7 giorni prima che la larva risulti manifestamente ammalata, quando cioè è già stata opercolata.
    Al sopraggiungere della morte della larva i batteri si trasformano in spore.
    Per le larve delle api si stima che la DL50 (il quantitativo che causa la morte del 50% delle larve) del plarvae sia pari a 38 spore. Tuttavia, mentre sono sufficienti 10 spore per infettare larve di età inferiore alle 24 ore, ne occorrono più di 10 milioni per infettare larve di 4-5 giorni di età.

    Sintomi

    Identificare i sintomi della covata colpita da peste americana significa comparare eventuali anormalità con gli aspetti caratteristici della covata sana, pertanto per diagnosticare la peste americana è importante conoscere il normale processo di sviluppo delle larve.
    Normalmente non vi sono sintomi visibili fino a che la larva non muore, poco prima o poco dopo la trasformazione in pupa, cioè normalmente dopo l’opercolazione.
    Il primo sintomo osservabile è normalmente un cambio di colore dell’opercolo, che può assumere una colorazione più scura, fino ad apparire quasi nero. Le celle infette risultano anche leggermente umide, quasi oleose in apparenza, e caratterizzate da leggere depressione al centro.
    Percependo anormalità nella cella le api cominciano a rosicchiare l’opercolo per rimuoverne il contenuto. Questi fori hanno una forma più irregolare rispetto alle celle in fase di opercolazione e non ancora terminare e anche rispetto alle celle in cui la giovane ape comincia ad uscire.
    I sintomi della peste americana si trovano generalmente sulle larve di operaia, in rare occasioni sui fuchi, mai nelle celle reali.

    Esempi di buchi negli opercoli

    Esempi di buchi negli opercoli

    Le larve infette da peste americana si trovano generalmente sdraiate lungo la parete inferiore della cella. Larve infette non possono essere trovate nella posizione a C tipica delle larve più giovani, dal momento che il patogeno non uccide la larva prima che questa si sia sdraiata lungo la parete.
    Le pupe morte di peste americana presentano la caratteristica di avere la ligula estroflessa e prominente verso l’alto.
    Larve e pupe infette da peste americana hanno un odore tipico definito, simile alla colla da falegname o di pesce morto.
    Larve e pupe infette da peste americana manifestano in genere un’elevata viscosità. La viscosità della larva può essere individuata semplicemente inserendo uno stuzzicadenti nelle celle, se al momento dell’estrazione si forma un filamento di alcuni centimetri di color nocciola che, rompendosi, rientra elasticamente all’interno della cella, con ogni probabilità ci troviamo di fronte a questa malattia.

    Filamento elastico e viscoso

    Filamento elastico e viscoso

    Profilassi e lotta

    Purtroppo il solo metodo a tutt’oggi sicuramente in grado di controllare la malattia consiste nella soppressione delle famiglie colpite. Dispiace enormemente sopprimere le proprie api, come pure veder sopprimere quelle degli altri, ma occorre convincersi che si tratta del male minore, in quanto in tal modo aumenteranno le possibilità di salvare quelle ancora sane e di salvaguardare l’intero patrimonio apistico della zone.
    Tutte le api ed i favi contenenti covata di una famiglia colpita debbono essere distrutti mediante incenerimento. I restanti favi, le arnie ed i loro accessori, se sono ancora in buono stato, potranno essere sterilizzati. In caso contrario converrà distruggere l’intero alveare.

    Peste europea

    Per anni non si è stati certi sulla natura del microrganismo causa della malattia. Oggi si sa che la peste europea e causata da Mellissococcus pluton, un batterio non sporogeno, che all’osservazione al microscopio si presenta isolato, a coppie, in catenelle di varia lunghezza od in ammassi caratteristici.

    Melissococcus pluton

    Melissococcus pluton

    Pur non essendo in grado di formare spore è abbastanza resistente alle avversità ambientali. Può resistere circa un anno all’essiccamento, nel polline si conserva vitale per alcuni mesi e resiste almeno una ventina di ore all’azione diretta dei raggi del solari. Pur non essendo sporiglio, nei favi conservati in magazzino può rimanere vitale per diversi anni.
    La sede di riproduzione è l’intestino delle larve di qualunque tipo, dove trovano un ambiente ricco di anidride carbonica. Le larve si infettano per via orale con l’assunzione di cibo. Generalmente il contagio avviene nei primi 4 giorni di vita e le larve giungono a morte prima dell’opercolatura; solo nei casi più gravi le larve si possono contagiare successivamente al quarto giorno di vita ed allora muoiono dopo che le celle sono state opercolate ed è possibile rilevare opercoli inscuriti, depressi e forati, come nel caso della peste americana.
    Frequentemente però le larve non muoiono, ed i batteri sono scaricati alla base delle celle, dove possono rimanere vitali per anni. Le larve infette che sopravvivono restano più piccole e possono essere eliminate alle operaie, unitamente a quelle morte.

    Sintomi

    Una caratteristica importante ed utile per riconoscere questa malattia consiste nel fatto che le larve colpite spesso cambiano posizione ed invece di restare coricate su un fianco, a forma di C ed aderenti al fondo delle celle, si possono contorcere a spirale, allungare sul fianco, ripiegarsi a ponte mostrando verso l’alto della cella il dorso oppure le estremità.
    Le larve colpite precocemente in 2 o 3 giorni arrivano a morte. Inizialmente si forma una piccola macchia gialla vicino al capo che via via si estende lungo il dorso. Le larve perdono poi il loro riflesso bianco-bluastro madreperlaceo per diventare dapprima bianco opaco, poi giallastre ed infine giallo deciso.

    Larva colpita da peste europea

    Larva colpita da peste europea

    Dopo la morte la larva si inscurisce e si decompone, trasformandosi in una sostanza molle color cioccolata che, a differenza delle larve colpite da peste americana, non è ne viscosa ne filante. Questa massa seccandosi forma una scaglia di color ruggine scuro simile a quella della peste americana ma, a differenza di quest’ultima, facilmente asportabile dalle api.

    Stadi larva affetta da peste europea

    Stadi larva affetta da peste europea

    La covata si presenta nel suo insieme non compatta, con celle opercolate e aperte contenenti larve morte. Emana odori di varia intensità che possono essere di due tipo sostanzialmente diversi, secondo i batteri presenti: acido o putrescente.
    Quando la malattia non è molto sviluppata le api, specialmente quelle di razza ligustica, molto attive nella pulizia dei favi, possono riuscire a ripulire tutte le celle e la malattia può regredire spontaneamente fino a scomparire.

    Profilassi e cura

    La miglior profilassi per questa malattia, come in generale per tutte le malattie delle api, consiste nel mantenere le famiglie popolose e forti, curando che non restino mai senza provviste, polline compreso, proteggendole possibilmente dagli eccessivi sbalzi di temperatura. E’ inoltre molto importante evitare in ogni modo di introdurre in alveari sani materiale contagiante.
    Anche per la peste europea, come per le altre malattie della covata, è fondamentale compiere un’accurata visita primaverile in modo da riscontrare il più presto possibile l’insorgenza della malattia.
    Quando si riscontrano famiglie colpite da tale patologia, soprattutto se deboli o ci si trova in autunno, converrà senz’altro distruggerle. Se la malattia attacca famiglie particolarmente forti è possibile tentare la cura con due metodi totalmente diversi. Uno fa ricorso all’uso di antibiotici, l’altro, ricorrendo a particolari tecniche apistiche, si basa sull’interruzione della covata.

    Ape con maschera

    Ape con maschera

    Patologie secondarie

    Esistono tantissime altre patologie che possono colpire le nostre api, ma occorrerebbe creare una documentazione apposita poiché sarebbe una strada infinita da intraprendere.
    Per lo scopo che ci siamo prefissati, ovvero di dare un’infarinatura generale, le patologie trattate sono più che sufficienti e anche le maggiormente diffuse nel nostro territorio.

  • Api regine e pappa reale – Lezione 6

    In questa lezione del corso, la penultima, l’argomento trattato è “api regione e pappa reale”. Sono due argomenti strettamente legati che possono, se si decide di intraprendere questa attività, integrare il reddito di un’azienda apistica. Per conoscere gli altri prodotti dell’alveare potete trovarli nella precedente lezione.

    Perché allevare delle regine??

    L’allevamento delle api regine consente di lavorare in modo da poter perseguire diversi obiettivi, tra i quali:

    1. pratici e quantitativi da una parte come:
      • aumentare rapidamente il numero delle colonie;
      • rinnovare regolarmente tutte le regine ogni due anni;
      • risolvere, rapidamente, i diversi problemi che regolarmente si ripresentano come: colonie orfane, regine non soddisfacenti o fucaiole, ecc;
    2. qualitativi dall’altra, per la selezione delle madri che permette di ottenere:
      • famiglie omogenee;
      • un miglioramento nelle caratteristiche delle colonie: oltre alla produzione, migliorare la resistenza alle malattie e l’adattamento all’ambiente circostante;

    Perché le api sciamano??

    Il comportamento naturale per la riproduzione di una colonia d’api è la sciamatura. Seguendo tale istinto naturale, possono generarsi una, due o più famiglie.
    La sciamatura delle api + provocata dall’indebolimento nella percezione del feromone reale (mezzo di comunicazione della regina con l’insieme della colonia tramite le api della corte che la leccano).
    Nella realtà, sono due i feromoni secreti dalla regina che sono all’origine dell’unità famigliare. Uno di questi feromoni (tradotto in senso di gusto), impedisce la costruzione di celle reali naturali e non fa sviluppare gli ovari delle operaie. L’altro, (senso dell’olfatto) assicura la coesione della colonia. Ad esempio, quando la regina invecchia, la produzione di feromoni diminuisce e la sua presenza diventa sempre meno percepibile dalle api stesse che, ben presto, la sostituiranno.

    Esempio di sciamatura naturale

    Esempio di sciamatura naturale

    L’aumento della popolazione d’api in primavera, accompagnato dall’apporto di nettare, provoca il blocco della deposizione, contribuisce a rompere l’equilibrio tra la quantità di feromoni emessi e la popolosità della famiglia.
    Tutto questo, combinato ad un periodo di super abbondanza di raccolto, origina il fenomeno della sciamatura.
    Le migliori regine nascono in questi periodi perché sono scelte per la perennità della specie e così, si è cercando di riprodurre artificialmente le condizioni che si verificano in tali occasioni.

    L’allevamento delle regine provocato

    Se la sciamatura naturale delle colonie origina le migliori regine, presenta però anche enormi difficoltà di gestione.
    D’altra parte, l’utilizzo delle regine nate in periodi di sciamatura, conduce ad un fenomeno di selezione di “api regine con forte propensione alla sciamatura”. Per eliminare questi problemi, l’unica strada che può essere seguita è quella che conduce all’allevamento reale provocato.
    Provocare un allevamento reale significa scegliere una famiglia d’api, farle allevare celle reali (senza che questa abbia avuto intenzioni proprie), e poi organizzarsi in modo da poter disporre di celle reali a maturità quando se ne ha bisogno.
    Di fondamentale importanza è il ricordare che:

    • la presenza di fuchi è condizione essenziale per un allevamento di regine;
    • la maturità dei fuchi è più lenta di quella della regina;

    Di conseguenza, per una migliore programmazione del nostro allevamento, sarà necessario operare in modo da poter disporre di fuchi maturi al momento voluto. Questo si rivelerà tuttavia un metodo che ci permetterà di guadagnare alcune settimane rispetto al tempo necessario per la normale fecondazione naturale.

    Regina circondata dalle api di corte

    Regina circondata dalle api di corte

    Si procederà in questo modo: all’inizio dell stagione, all’interno delle arnie forti in precedenza selezionate, si introducono 30 giorni prima della data programmata per i primi traslarvi, uno o due telai con celle da fuco (già fatti lavorare l’anno precedente) e si stimola l’arnia con uno sciroppo proteico.
    Teoricamente, un favo di fuchi n può far nascere in media 3000 che consentono la fecondazione di 200 regine all’incirca.
    In natura, le colonie con regina producono dai 1500 ai 2000 fuchi. In generale, si stimano necessarie 5 famiglie che allevano fuchi per 100 nuclei di fecondazione.
    Le colonie orfane mantengono in genere grandi quantità di fuchi.
    Ne periodi in cui mancano i fuchi, si può trarre profitto da tale fenomeno andando ad inserire nelle colonie orfane i telai da fuchi allevati. Occorrerà però settimanalmente inserire della covata da operaia.
    Questa “banca di fuchi” verrà nutrita con del candito proteico.

    La selezione

    È una priorità per l’allevamento delle api regine.
    Selezionare significa modificare mediamente, nel corso delle generazioni che si succedono, dei caratteri trasmissibili quantificati. Proprio per questo è necessario lavorare su linee genetiche diverse, provenienti da zone geograficamente diverse e verificare che le caratteristiche che si vogliono trasmettere si mantengano con passaggio di generazione in generazione.

    Selezione

    Selezione

    Metodi di allevamento

    Sono utilizzati in tutto il mondo tantissimi metodi di allevamento differenti, sarebbe impensabile di spiegarli tutti in questa lezione. Per questo motivo si è scelto di descrivervi e farvi presente ai metodi maggiormente utilizzati.

    Starters (iniziatori)

    Gli starters vengono usati per fare iniziare l’allevamento delle celle reali prima di passarle ai finisher (finitori).
    Le larve innestate vengono affidate per 24 ore alle cure di colonie orfane molto popolate di api giovani e con abbondanti scorte alimentari. Questo metodo assicura una buona accettazione e d un numero costante di celle reali disponibili.

    Starter

    Starter

    In genere, i finitori hanno dimostrato una buna accettazione e il ricorso agli starter è limitato. Questi ultimi vengono in genere usati all’inizio della stagione quando i finitori non hanno ancora acquistato il “riflesso d’allevare”, o quando si presentano momenti critici per l’accettazione come nei periodi caldi e secchi o, al contrario, troppo freschi e umidi.

    Sistema “Americano”: Swarm box

    Consiste in una cassa con rete su tutti i lati e fondo, al cui interno vengono scossi telai di api giovani (le nutrici che si trovano sui favi di covata) in modo di avere da 5 a 6 kg di api.
    Al di sopra viene agganciato il corpo di un’altra cassa dove sono stati sistemati in precedenza 5 favi di miele e polline. Si mettono in comunicazione i due corpi di cassa: le api saliranno a poco a poco verso i telai posti sulla parte superiore.
    Dopo circa due ore di orfanità viene portato e aperto nel luogo dell’allevamento e gli verranno date 224 larve (quattro porta stecche con quattro stecche di 14 cupolini). Sarà assolutamente necessario nutrirli con acqua e zucchero.
    Dopo 24 ore, si procederà togliendo le prime celle allevate e si rimetteranno nello swarm box una nuova serie di 84 larve. Al terzo giorno 56 larve.
    In seguito, le api saranno oramai troppo vecchie e potranno essere destinate alla popolazione dei nuclei di fecondazione. Questo sistema, però, non è utilizzato spesso in quanto presenta delle difficoltà di gestione delle api finali ed in alcuni casi fornisce risultati troppo aleatori.

    Swarm box

    Swarm box

    Sistema semplice con cassettino portasciami da 5 favi

    In piccole arnie, con il fondo a rete, si mettono due favi, uno di polline e l’altro di miele. All’interno si scuotono 4 favi di covata presi da colonie nelle quali è stata localizzata la regina.
    Durante la scossa le bottinatrici prendono il volo, mentre all’interno rimangono soprattutto le giovani api nutrici.

    Porta sciami a 5 favi

    Porta sciami a 5 favi

    Trasportata sul posto dell’allevamento, l’arnietta abbondantemente popolata può ricevere gli innesti di 42 larve (1 porta stecche con tre stecche da 14 cupolini).
    Il risultato di questo sistema è ottimo e regolare, si può contare su un’accettazione superiore al 95%.

    Traslarvi (metodo Doolittle)

    Per un allevamento su grande scala, il metodo più conveniente consiste nel trasferire una larva d’operaia, nata da mendo di 12 ore, in una cella da regina in modo da farla allevare come tale.
    L’uovo d’ape ha una misura di circa 1,5 mm e quando si schiude, la larva che nasce è ancora più piccola.
    E’ però ben visibile sul fondo della cella, perché posta su di una sostanza (pappa real) che luccica.
    Il traslarvo è fatto utilizzando i “picking” americani che permettono, con un po d’abitudine e delicatezza di prelevare la larva dal suo bagno di pappa reale senza rovinarla.

    Traslarvo

    Traslarvo

    I traslarvi vengono operati in cupolini di plastica, costituiti da tre elementi che, incastrandosi, semplificano la preparazione, la riunione e la raccolta delle celle reali.
    L’età della larva innestata è molto importante perché la “castrazione nutrizionale” avviene già dal terzo giorno dalla schiusa dell’uovo e, quindi, la composizione della pappa reali somministrata alla futura regina sarà diversa da quella data alla futura operaia.
    Più giovane sarà la larva, più ci troveremo vicini alle condizioni naturali d’allevamento d’api regine naturali.

    Finitori

    Dopo 24 ore passate all’interno dello starter, le larve verranno introdotte nei finitori, vale a dire all’interno di colonie che le alleveranno fino alla maturità o fino all’opercolatura.
    Se la selezione delle madri è basilare, non bisogna dimenticare l’importanza delle allevatrici che condizioneranno il futuro della regina che dovrà essere nutrita al meglio. Le colonie di allevatrici dovranno essere forti, con una regina dell’anno, mansuete e dovranno tenere bene il favo.
    Per ogni colonia bisognerò controllare, durante l’allevamento, l’accettazione e la qualità delle celle reali.
    Le allevatrici che danno poco pappa reale e che costruiscono piccole celle devono essere sostituite.
    La prima accettazione delle larve innestate con il traslarvo è in genere deludente. A partire invece dalla seconda, l’accettazione va migliorando perché la colonia acquista un “riflesso per l’allevamento”.

    Finitore aperto (orizzontale)

    Finitore aperto (orizzontale)

    I finitori maggiormente utilizzati sono del tipo verticale e non necessitano di particolari materiali; le allevatrici possono essere scelte tra le colonie a secondo della loro qualità. Per organizzare un finitore si prelevano dalla colonia, scelta in precedenza, due favi di covata opercolata coperta di api e un favo di miele e polline. All’inizio della stagione le notti sono fredde e le api tendono a ridiscendere. E’ per questa ragione che, generalmente, il materiale utilizzato per il primo allevamento deve provenire da alveari esterni.
    Si mettono i favi all’interno del corpo di un alveare e si scuotono 2 favi di api giovani. Dopo aver riorganizzato al colonia con una regina, vi si posa sopra un’escludi regina e si sovrappone la famiglia orfana.
    In mezzo ai due favi di covata verrà messo il porta stecche con nutritore nel quale saranno inserite le stecche. Le api dei due corpi comunicheranno attraverso l’escludi regina. Il nutritore messo sul coprifavo permetterà di nutrire l’allevamento con candito proteico.
    Ogni 10-15 giorni, la parte superiore orfana verrà riorganizzata: si rimetteranno 2 favi di covata, in modo da avere a disposizione in continuazione una grande quantità di api nutrici.
    Il finitore, dopo 24 ore dalla sua costituzione, potrà ricevere i primi traslarvi o le celle già accettate dallo starter.

    Nuclei di fecondazione

    In Italia non esistono nuclei di fecondazione standard. Quelli utilizzati sono piuttosto vari, dai portasciami da 5/6 telai, a quelli da mezzo telaio da melario. In genere, ogni allevatore ha il suo personalizzato.
    Il loro impiego è soprattutto legato al fatto di consentire una diminuzione dei costi di gestione.
    Negli ultimi anni, in Italia, sono apparsi diversi tipo di mini-nuclei che sono stati provati e sperimentati consentendo di arrivare alla conclusione che possono perfettamente funzionare nella nostra regione, e che non esiste alcuna regione per cui si possa pensare che le regine in essi fecondate siano di qualità inferiore.

    Nucleo di fecondazione

    Nucleo di fecondazione

    Il loro utilizzo porta, inoltre ad una specializzazione degli allevamento, in quanto buona resa dipendere dalla rigorosa periodicità delle operazione che su di essi devono essere eseguite e dalla perfetta conoscenza degli equilibri che regolano la piccola famiglia nei diversi periodi stagionali.

    Formazione dei mini-nuclei – Primo sistema

    Prevede un procedimento analogo a quello della formazione degli startes: in apiario si scuotono 8/10 telai di api giovani in un cassettino del tipo portasciame da 5 favi, avente la rete sui lati.
    Il tutto viene portato in azienda e “lavato” in modo da bagnare completamente le api. Così fatto, si procederà raccogliendo comodamente le api con un bicchiere. Solitamente un cassettino formato con questo metodo permetto di popolare circa 25 mini-nuclei.

    Mini - nucleo

    Mini – nucleo

    Con le operazioni si procede come segue:

    • si mettono negli appositi contenitori 200/300 grammi di candito
    • si introduce la cella reale di 10/11 giorni od una regina vergine
    • si mettono le api
    • prima di essere aperto, il mini-nucleo chiuso, viene tenuto in un luogo buio e fresco per un periodo che va dalle 24 alle 48 ore.
    Formazione dei mini-nuclei – Secondo sistema

    Si porta in azienda il pacco d’api fatto come descritto in precedenza e lo si mette all’interno di una camera scura e fredda (8°C). Qualche ora dopo, si addormentano utilizzando anidride carbonica, disponendo in questo modo di circa 10 minuti per manipolare le api addormentate.

    Arnietta per mini-nuclei

    Arnietta per mini-nuclei

    Le operazioni di cui si è parlato possono apparire semplici, ma occorre apprestare la massima attenzione ad ogni particolare in questa fase poiché si rischia di uccidere l’intero pacco d’api.
    I mini-nuclei, così costituiti, saranno sistemati in un luogo scuro e freddo per 24-48 ore, ed aperti successivamente nel posto in cui dovrà avvenire la fecondazione.
    Dopo 12 giorni dalla nascita, le regine avranno deposto una quantità di uova sufficienti a garantire la continuità della mini-colonia, a quel punto dovranno essere raccolte e introdotta una nuova cella reale.

    Raccolta, marcatura ed ingabbiamento delle api regina

    Generalmente la cella reale viene introdotta nel nucleo di fecondazione un giorno prima della sua nascita. Sul suo coperchio si segna la data di nascita e la sigla che indica la regina madre.
    La regina compie il suo volo nuziale tra il 4 e il 7 giorno di vita, inizia a deporre verso il 9/10 giorno. La sua fecondità viene verificata al 12/13 giorno e, solo dopo questo controllo, si passa alla raccolta.
    La valutazione sulla deposizione si baserà su di un giudizio di merito: vengono eliminate le regine che depongono in modo irregolare e che hanno malformazioni fisiche.
    Dopo la verifica si passa alla raccolta e alla marcatura.
    Quest’ultima consiste nell’apporre un punto di vernice colorata sul torace della stessa. I colori di marcatura, in base ad un accordo internazionale, cambiano di anno in anno e sono blu, bianco, giallo, rosso e verde. La sequenza si ripete ogni 5 anni.

    Marcatura regine standard internazonale

    Marcatura regine standard internazionale

    La marcatura è fatta al fine di poter conoscere, in ogni momento, l’età della regina e per renderla più visibile quando è in mezzo alle altre api.
    La vernice usata è di tipo acrilico.
    Una volta marcata, la regina viene introdotta nella gabbietta con le accompagnatrici.

    Gabbietta per api regina

    Gabbietta per api regina

    Le gabbiette devono avere precise caratteristiche: innanzi tutto essere in grado di assicurare la vitalità delle api che ospitano, anche nel caso di lunghi viaggi. Quelle standard, usate per le spedizioni, garantiscono areazione e la giusta umidità; sono inoltre costituite da un parte in legno sulla quale viene posta una rete metallica. Una loro parte è destinata per contenere il candito.

    Tecniche di sostituzione delle regine

    Non esiste un metodo infallibile e le variabili che possono ostacolare l’accettazione son infinite. Questo significa che è difficile proporre il miglio metodo. Pertanto, qui si potranno riportare solo le esperienze ritenute interessanti:

    • Formazione di uno sciame con regina feconda senza covata: si costituisce uno sciame con due favi di polline e miele ricoperte di api e si introduce simultaneamente una regina ingabbiata. La percentuale d’accettazione si è sempre rivelata buona.
    • Introduzione diretta utilizzando pappa reale: dopo aver tolto la vecchia regina, si può immediatamente introdurre la nuova senza gabbietta bagnandola con pappa reale fresca. Questa tecnica può essere usata anche nel caso di famiglie orfane o fucaiole senza dover distruggere le celle reali presenti.
    • Introduzione sotto rete su covata nascente.
    • Introduzione di celle reali aperte (al quarto giorno dopo l’innesto)

    Pappa reale

    La produzione di pappa reale è poco diffusa fra gli apicoltori italiani. Il ridotto sviluppo del settore va imputato, oltre che alla scarsa conoscenza degli aspetti tecnici, alla presenza
    sul mercato di prodotto proveniente dalla Cina ad un prezzo estremamente competitivo.
    Recentemente, però, si è osservato un crescente interesse per la pappa reale italiana incentivato da una maggiore informazione riguardo la scarsa qualità del prodotto cinese, il quale talora non rispetta i requisiti merceologici e sanitari.

    Celle reali con larva e pappa reale

    Celle reali con larva e pappa reale

    Le nuove potenzialità commerciali hanno spinto alcuni apicoltori a dare vita ad un’associazione, il COPAIT, il cui obiettivo è la diffusione e valorizzazione della pappa reale italiana. L’espansione di questa attività, infatti, si basa sulla divulgazione delle conoscenze riguardo le caratteristiche del prodotto, le tecniche produttive e i suoi risultati economici.

    Caratteristiche e proprietà

    La pappa (o gelatina) reale, a differenza di propoli e miele, che sono una rielaborazione di essenze vegetali, è una sostanza di esclusiva origine animale. Viene secreta dalle ghiandole ipofaringee e mandibolari dalle api operaie di età compresa tra 5 e 14 giorni per nutrire tutte le larve nei primi tre giorni di vita.
    Quando le api decidono di allevare una nuova regina, nutrono la larva per tutto il suo ciclo con la pappa reale e continuano a fornirgliela anche durante tutta la vita allo stadio di insetto. Grazie a questo alimento la regina sviluppa l’apparto riproduttore e può vivere fino a 5-6 anni, contrariamente alle api operaie la cui vita è di pochi mesi.
    Queste eccezionali proprietà hanno portato l’uomo a considerarla come un possibile alimento, scoprendone i numerosi benefici. Sono molte le proprietà riconosciute alla pappa reale, anche se le caratteristiche dei suoi componenti non bastano a spiegarne gli effetti sull’organismo; si ritiene, infatti, che questi siano dovuti a qualche sostanza non ancora identificata o al naturale equilibrio e all’effetto sinergico dei diversi elementi. La pappa reale esercita un’azione di stimolo sull’intero organismo che si traduce in una sensazione di benessere psico-fisico, una maggiore resistenza alla fatica fisica e intellettuale e un aumento dell’appetito. Per queste caratteristiche è particolarmente adatta per bambini, anziani, sportivi, studenti e persone soggette a stati di stress. La dose consigliata è di 250 mg al giorno, da assumere al mattino (di sera l’euforia che trasmette può dare una lieve insonnia) e a digiuno, tenendola preferibilmente sotto la lingua, in modo da facilitarne l’assimilazione.

    Pappa reale

    Pappa reale

    La pappa reale è una sostanza semifluida, omogenea e gelatinosa, di colore biancastro tendente al beige. Il sapore è acido e l’odore pungente.
    Uno dei circa 30 acidi grassi, il 10-HDA, è contenuto esclusivamente nella pappa reale ed esercita un’attività antibatterica e antitumorale; nel tempo la sua concentrazione diminuisce rapidamente per cui è possibile giovarsi delle sue proprietà solo consumando il prodotto fresco. Il 2,8% del contenuto della pappa reale è ancora sconosciuto, ed è questa la ragione per la quale non si è in grado di produrla industrialmente.
    La pappa reale, data la composizione chimica e l’elevato contenuto di acqua, non si conserva facilmente: teme l’ossigeno, la luce e l’attacco di muffe. L’umidità rappresenta un importante indicatore di qualità: se è inferiore al 64% il prodotto è vecchio o mal conservato, se è superiore al 68% vi è un elevato rischio di sofisticazione.
    Va conservata in frigo, ad una temperatura tra 0 e 5 °C, e durante il trasporto va sempre mantenuta la catena del freddo; con queste precauzioni si può conservare fino a 18 mesi senza che perda le sue caratteristiche. Per evitare il contatto con aria e luce, la gelatina viene sigillata in sacchetti di alluminio plastificato per alimenti. Per la vendita al minuto viene confezionata in flaconi da 10 g chiusi con un tappo ermetico e posti all’interno di un contenitore in polistirolo insieme alla palettina dosatrice.

    Descrizione del processo produttivo

    La pappa reale che viene raccolta è contenuta esclusivamente nelle celle reali, in quanto quella che si trova nelle celle per api operaie o fuchi ha una diversa composizione. Quindi, per ottenere il prodotto, è necessario che la famiglia allevi nuove regine, situazione che si verifica nel periodo della sciamatura o in caso di orfanità. Essendo la sciamatura un fenomeno limitato alla stagione primaverile, la tecnica di produzione è basata sulla creazione di una permanente condizione di orfanità.
    Non esiste una sola tecnica per produrre pappa reale: di seguito viene descritta quella più diffusa fra i soci del COPAIT e che da questi viene indicata a quanti intendono intraprendere questa attività.
    Ogni unità produttiva è composta da due arnie a 6 favi sovrapposte e separate da un escludi regina il cui scopo è mantenere la regina nell’arnia inferiore; le api operaie
    presenti nell’arnia superiore, percependo l’assenza della regina, vengono stimolate ad allevarne di nuove.

    Disposizione delle arnie

    Disposizione delle arnie

    Per produrre un elevato quantitativo di gelatina è necessario che siano garantiti il nutrimento e le opportune condizioni ambientali all’interno dell’alveare e che la famiglia sia numerosa e composta di molte api nutrici; a questo scopo è necessario eseguire ogni 6-9 giorni la rimonta, operazione che consiste nel togliere un favo con covata fresca dall’arnia inferiore e inserirlo nella parte orfana in cui si produce la pappa reale in modo da assicurare il necessario ricambio di giovani api.
    La nutrizione, che va curata con attenzione in quanto incide sul dinamismo e, di conseguenza, sulla produttività della famiglia, deve prevedere una parte zuccherina ed una proteica; la prima viene generalmente assicurata con miele o zucchero, la seconda con polline. La quantità da somministrare va ben dosata, poiché il nutrimento deve essere completamente consumato e non stoccato nei favi, situazione che andrebbe a ridurre lo spazio per la deposizione e quindi il numero di api all’interno dell’alveare.

    Innesto delle larve

    Le api che si trovano nell’arnia superiore allevano le nuove regine dalle giovani larve che l’apicoltore vi inserisce. Queste vengono posizionate all’interno di cupolini artificiali, di plastica o di cera, montati su delle stecche che a loro volta sono inserite in un telaio detto portastecche. Nella parte superiore di questo telaio è ricavato un nutritore che, nel momento in cui si inseriscono le stecche innestate, viene cosparso con una soluzione zuccherina che ne aumenta l’accettazione da parte delle api.

    Telaio portastecche con stecche, cupolini e nutritore

    Telaio portastecche con stecche, cupolini e nutritore

    Le larve da inserire nei cupolini vengono estratte dai favi contenenti covata fresca; questi non vanno prelevati dalle arnie in cui si trovano famiglie in produzione, ma da altre destinate specificamente a questo scopo.
    Prelevato il numero opportuno di favi, l’apicoltore si reca in laboratorio dove inizia l’innesto delle larve nei cupolini (traslarvo). Per questa operazione è necessario un leggio,
    che tiene il favo nella giusta posizione, una lampada e una lente di ingrandimento per meglio individuare le larve da innestare. Lo strumento con il quale si effettua il traslarvo è il cosiddetto “picking cinese” il quale consente di prelevare la larva dal favo, con la gelatina che si trova sul fondo della cella, e di depositarla sul fondo del cupolino.

    Prelievo delle larve con il picking cinese

    Prelievo delle larve con il picking cinese

    È questa una fase critica del processo in quanto da essa dipende il risultato produttivo; infatti, se le larve vengono posizionate male sul fondo del cupolino o accidentalmente uccise, le api non le accetteranno e non inseriranno nei relativi cupolini la gelatina per allevarle.
    Le stecche con i cupolini innestati vengono poste in una cassettina ricoperta da un panno umido per garantire la sopravvivenza delle larve; raggiunto un numero sufficiente vengono portate in apiario e posizionate sui telai portastecche. Questi vengono inseriti al centro dell’arnia superiore, poiché questa è la zona più calda che, anche in caso di abbassamenti termici, non viene mai abbandonata dalle api.
    Quando si opera con un elevato di unità produttive è opportuno non preparare tutte le stecche contemporaneamente, in quanto l’allungarsi dei tempi nei quali le larve permangono all’esterno dell’alveare comporta un incremento della loro mortalità.
    L’esecuzione del traslarvo in tempi successivi incrementa notevolmente gli spostamenti fra il laboratorio e l’apiario, ciò richiede che i due luoghi di lavoro si trovino poco distanti e
    che entrambi siano facilmente raggiungibili.

    Estrazione della pappa reale

    Trascorse 72 ore dall’inserimento delle stecche, periodo durante il quale le api hanno riconosciuto le giovani larve e hanno depositato nei cupolini la gelatina per allevare nuove regine, i telai portastecche vengono estratti dall’arnia.

    Estrazione del telaio portastecche con i cupolini riempiti di pappa reale

    Estrazione del telaio portastecche con i cupolini riempiti di pappa reale

    Le stecche, tolte dal telaio, vengono portate in laboratorio. La prima operazione consiste nel rimuovere, con un taglierino riscaldato, la cera che le api hanno iniziato a depositare per opercolare i cupolini. Operazione successiva è l’estrazione delle larve per la quale viene utilizzato lo stesso impianto che si impiega per aspirare la gelatina, a cui viene applicato un convogliatore d’aria. Il getto viene passato sulla stecca, in modo da aspirare tutte le larve in pochi secondi

    Aspirazione della larva

    Aspirazione della larva

    e lasciare la pappa reale pronta per il prelievo.

    Pappa reale senza larva

    Pappa reale senza larva

    L’impianto di aspirazione con il quale la pappa reale viene prelevata dai cupolini e raccolta in un contenitore è costituito da una pompa pneumatica alla quale è collegato un filtro che trattiene le impurità presenti nella gelatina.
    La pappa reale viene quindi confezionata in sacchetti da 1 kg, per la vendita all’ingrosso, o in barattolini da 10 g, nel caso sia destinata alla vendita al dettaglio, e conservata al fresco.

    Impianto di aspirazione

    Impianto di aspirazione

  • Miele e prodotti dell’alveare – Lezione 5

    In questa lezione l’argomento trattato è “miele e prodotti dell’alveare”. Dopo aver visto nelle lezioni precedenti (che potete trovare qui) il come le api producono, in questa lezione ci concentreremo sul cosa.

    Che cosa è il miele??

    Abbiamo visto come il miele venga prodotto dalle api a partire dal nettare e dalla melata. Subito dopo la sunzione delle materie prime, già durante il viaggio di ritorno, all’interno delle borsa melarica inizia la trasformazione in miele mediante l’aggiunta di enzimi da parte dell’apparato digerente delle api.
    Le bottinatrici appena rientrate nell’alveare rigurgitano il contenuto della loro borsa melarica alle api di casa che provvedono a manipolarlo, vi aggiungono ulteriori enzimi e dopo diversi passaggi lo sistemano nelle celle dove subisce una concentrazione.
    In un primo tempo l’evaporazione dell’acqua viene favorita attivamente dalle api che risucchiano e poi stendono la gocciolina di liquido ripetutamente, successivamente, e per diversi giorni, il miele perde parte dell’acqua che contiene passivamente per evaporazione, favorita dalla ventilazione forzata delle api, fino a raggiungere una concentrazione superiore al 80%.

    Miele

    Miele

    Definizione legale

    Alla luce di quanto finora affermato risulta alquanto problematico definire che cos’è il miele, secondo la definizione che figura nella legge n. 753 del 12/10/1982:

    Il miele è il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare.

    Composizione

    La composizione del miele risulta alquanto variabile dipendendo da numerosissimi fattori: specie bottinate, natura del suolo, andamento climatico, razza di api, stato fisiologico delle colonia, tecniche apistiche impiegate, ecc.
    Nella tabella riportata di seguito è riportata la composizione media dei mieli italiani secondo i risultati di un’indagine svolta su 980 campioni di miele prodotti dal 1970 al 1977, condotta dall’Istituto Nazionale d’Apicoltura di Bologna e dall’Istituto Sperimentale di Zoologia Agraria di Roma.

    Composizione media dei mieli italiani

    Composizione media dei mieli italiani

    In altri termini si può affermare che il miele è composto principalmente di: acqua, zuccheri, acidi, sali minerali, sostanze azotate ed enzimi.

    Acqua

    Il contenuto in acqua può variare notevolmente in funzione del grado di maturazione, dell’origine botanica, delle condizioni atmosferiche ed ambientali, delle condizioni di conservazione, ecc.
    E’ una delle caratteristiche più importanti del miele perché ne condiziona il peso specifico, la cristallizzazione e soprattutto la conservabilità e quindi, in ultima analisi, la qualità.
    Il miele viene normalmente opercolato dalle api quando contiene il 17-18% di acqua, ma a volte il valore può aumentare fino al 21% ed in questi casi si possono facilmente verificare fenomeni fermentativi.
    Il miele può variare il suo contenuto in acqua anche dopo l’estrazione, aumentandolo se conservato in contenitori non ermetici in luogo umido o diminuendolo se sottoposto a particolari trattamenti.
    E’ possibile risalire al grado di umidità dalla misurazione della densità oppure dell’indice di rifrazione.

    Zuccheri

    Gli zuccheri o carboidrati sono senza dubbio i componenti principali del miele, essi infatti possono rappresentare fino al 95-99% della sostanza secca del miele. Oltre che per valore alimentare gli zuccheri sono importanti per la determinazione di numerose proprietà fisiche del miele: consistenza, viscosità ed igroscopicità.
    Circa il 90% degli zuccheri totali contenuti nel miele è rappresentato da due zuccheri semplici, glucosio e fruttosio.
    Essi sono normalmente presenti in percentuali simili anche se frequentemente prevale leggermente il fruttosio sul glucosio.

    Miele nei favi

    Miele nei favi

    Acidi

    Tutti i mieli presentano una reazione acida con valori di pH compresi tra 3.2 e 4.5. Tale acidità è dovuta alla presenza di acidi organici, inorganici e lattoni. Quello presente in maggior quantità, l’acido gluconico, deriva per reazione enzimatica dal glucosio. L’origine degli altri acidi è ancora incerta.

    Proprietà fisiche

    Il miele presenta numerose proprietà fisiche, in larga misura legate alla sua composizione chimica. Esse sono importanti sia per le analisi in laboratorio sia perché concorrono a determinare le caratteristiche organolettiche, importanti per il consumatore.

    Colore

    Il colore del miele può variare dal bianco al nero, passando attraverso varie tonalità del giallo e dell’ambra, a volte con riflessi sul verde e sul rosso.
    Numerosissime e non ancora tutte note sono le sostanze che concorrono alla formazione del colore del miele. Spesso influisce più o meno direttamente anche l’apicoltore coi procedimenti di produzione e conservazione. In generale si può affermare che con la conservazione la tonalità del colore spesso tende ad aumentare.
    A seconda delle nazioni vi sono vari metodi per determinare il colore. In generale viene confrontato il colore del miele con quello di un vetro di colore standard.

    Cristallizzazione

    Il miele appena estratto si può considerare una soluzione soprassatura di acqua e vari zuccheri, come tale è instabile e tende col tempo a raggiungere una stabilità liberando il soluto in eccesso sotto forma di cristalli.
    Il glucosio è meno solubile in acqua del fruttosio e quindi è lo zucchero maggiormente interessato al processo di cristallizzazione.
    Mieli con elevate percentuali di fruttosio cristallizzano lentamente o non cristallizzano affatto.
    La cristallizzazione può avvenire a temperature comprese tra i 5 e i 25 °C, con un massimo di velocità attorno ai 14 °C.

    Cristallizzazione del miele

    Cristallizzazione del miele

    Indice di rifrazione

    L’indice di rifrazione è una proprietà propria di tutte le sostanze in grado di farsi attraversare dalla luce. Quando un raggio di luce attraversa la linea di separazione fra l’aria ed una determinata sostanza subisce una deviazione, caratteristica di ogni sostanza. Se la sostanza è un soluzione il suo indice di rifrazione varia tra l’indice del solvente e quelle del soluto. Nel caso del miele quindi, che come avviamo visto si può considerare una soluzione di zuccheri e acqua, l’indice di rifrazione diviene una funzione del contenuto di acqua ed è tanto maggiore quanto più basso è in tenore in acqua. Tale indice viene quindi comunemente utilizzato per determinare la percentuale di acqua nel miele.

    Densità

    La densità di una determinata sostanza viene espressa dal suo peso per unità di volume (peso specifico). Per il miele, a 20 °C, essa è compresa tra 1.39 e 1.44, vale a dire che un litro di miele pesa dai 1390 ai 1440 grammi circa. Siccome la densità dell’acqua, uguale a 1, è molto inferiore, maggiore è la sua percentuale minore è la densità del miele. Dalla misura della densità quindi è possibile risalire con una certa approssimazione al tenore in acqua del miele. Esiste uno strumento, il densimetro, che immerso nel miele liquido affonda parzialmente, nel punto in cui l’apparecchio galleggia una scala graduata ci indica la densità.

    Viscosità

    Il miele, in fase liquida, è un fluido molto viscoso.
    Tale viscosità dipende dal contenuto in acqua, dalla composizione chimica e dalla temperatura.
    Nelle operazioni di condizionamento del miele è molto importante che la viscosità sia ridotta al minimo per agevolare al massimo le varie operazioni, non potendo agire sulla composizione chimica e sul contenuto in acqua è possibile agire solamente sulla temperatura.

    Tipologie di miele

    Tipologie di miele

    Smielatura

    La smielatura vera e propria deve essere effettuata in un locale idoneo, che rispetti le più elementari norme igieniche, ove non siano state riposte sostanze che possano inquinarlo.
    Per coloro che producono miele non per esclusivo uso personale, ma per il commercio vi sono precise disposizioni di legge da rispettare (verranno trattati nell’ultima lezione di questo corso).
    Innanzitutto occorre eliminare gli opercoli posti nelle celle contenenti il miele maturo, per far ciò si usano appositi coltelli o forchette.
    I favi vanno posti su di una specie di leggio sotto il quale vi è un capace recipiente in grado di raccogliere in una griglia gli opercoli e far scolare il miele ad essi aderente nel piano sottostante.

    Disopercolatura tramite forchetta

    Disopercolatura tramite forchetta

    Col coltello si agisce preferibilmente avanti e indietro e dal basso verso l’alto. Se il coltello non è riscaldato elettricamente è bene immergerlo periodicamente in acqua calda per favorire il distacco degli opercoli.

    Disopercolatura tramite coltello

    Disopercolatura tramite coltello

    Il miele che inevitabilmente resta aderente agli opercoli può essere recuperato per sgocciolamento o per spremitura con appositi torchi.
    A questo punto il miele è pronto per essere estratto. I favi vanno introdotti nello smielatore e si inizia la certificazione.
    Occorre rammentare che se si utilizza uno smielatore tangenziale o semi radiale occorre iniziare la rotazione molto lentamente, proseguire per poco tempo a bassa velocità, poi occorre rivoltare i favi, iniziare sempre dolcemente, centrifugare al massimo dei giri e rivoltarli nuovamente per terminare il lato opposto.
    Terminata la smielatura i favi sono pronti per essere riutilizzati. Se si è effettuato l’ultimo prelievo della stagione, prima di riporre i favi in magazzino è utile ricollocarli per qualche tempo sulle arnie perchè le api li ripuliscano dal miele residuo.

    Inserimento telaino nello smielatore

    Inserimento telaino nello smielatore

    Estrazione

    Una volta estratto il miele dai favi secondo i metodi appena visti, si immette in un capace contenitore, il decantatore. Già all’uscita dallo smielatore è bene separare, mediante un setaccio a maglie larghe, i corpi estranei di maggiori dimensioni.
    Al momento dell’immissione nel decantatore è bene passare il miele ad un setaccio molto più fine.
    Nel decantatore, che deve essere di acciaio inossidabile, plastica per alimenti oppure, se di altro materiale, trattato con resine vetrificanti per alimenti, il miele dovrà riposare da alcuni giorni a qualche settimana, a seconda della temperatura e della viscosità, per permettere ad eventuali corpi estranei ancora presenti di separarsi, quelli più pesanti sul fondo, quelli più leggeri in superficie.
    Il miele andrà quindi schiumato per eliminare le particelle risalite alla superficie, dopo di che sarà pronto per l’invasamento.
    La sosta nel decantatore è utile anche per ristabilire l’equilibrio interno che il miele ha perso dopo essere stato “sfribrato” dalla centrifugazione.

    Contenitori

    Per le sue proprietà idroscopiche il miele, tranne non venga conservato in ambiente molto secco, tene ad assumere umidità dall’aria, quindi va conservato in contenitori ermetici. Inoltre, per la sua reazione acida, è in grado di attaccare molti metalli, di conseguenza occorre prestare attenzione ai contenitori ove viene immagazzinato. Sicuramente il materiale migliore per contenere il miele è l’acciaio inossidabile per alimenti.

    Contenitori Acciaio Inossidabile per alimenti

    Contenitori Acciaio Inossidabile per alimenti

    Invasettamento

    Dovendo invasettare piccoli quantitativi di miele non occorre nessuna attrezzatura particolare. E’ sufficiente collocare il tino ove si è posto il miele a decantare almeno a 50 cm dal suolo. Il tino deve essere munito di un ampio rubinetto a taglio oppure a sfera sotto il quale si collocherà il vaso da riempire. Il vaso va mantenuto il più possibile vicino al rubinetto per ridurre al minimo la possibilità che durante il travaso il miele incorpori aria.

    Vasetti di vetro per il miele

    Vasetti di vetro per il miele

    Conservazione

    Il miele, pur essendo una sostanza che se raccolta al momento opportuno e trattata con le giuste tecnologia si conserva a lungo con facilità, va incontro a dei processi di invecchiamento naturali, tanto più rapidi quanto maggiore è la temperatura a cui è sottoposto.
    Per questo deve essere conservato in un luogo fresco, asciutto, buio e primo di odori estranei. Di regola è consigliabile non protrarre la conservazione a temperatura ambiente per più di due anni. L’eccessiva invecchiamento riduce il quantitativo degli enzimi presenti nel miele, il potere antibiotico e le vitamine, aumenta l’intensità del colore ed il contenuto idrossimetilfurfurale e provoca una perdita di sostante volatili responsabili dell’aroma.

    Alterazioni del miele

    Alterazioni del miele

    Difetti di cristallizzazione

    Quando il miele cristallizza troppo lentamente abbiamo visto che può separarsi in due fasi, una solida ed una liquida. Tale processo non si deve confondere con la fermentazione, dove la parte liquida diviene di color scuso e più fluida. A volte la parte liquida resta frammista a quella solida conferendo una spetto granuloso alla massa.
    Questi difetti, oltre ad alterare l’aspetto e le caratteristiche organolettriche del miele, lo deprezzano, ed aumentano il rischio di fermentazione.
    A volte il miele, pur cristallizzato in maniera compatta, presenta delle striature a contatto con la parete del vaso. Queste striature sono provocate dallo scostamento del miele dalla parete dovuto alla contrazione della massa durante la cristallizzazione.
    Esse non provocano alcuna alterazione del miele e si riducono quindi ad un semplice fattore estetico, spesso non apprezzato dal consumatore che non ne conosce la causa.

    Il polline

    Abbiamo già visto che cos’è il polline e come e perché venga raccolto dalle api. Come avviene per il miele, anche una parte del polline raccolto dalle api può essere loro sottratto per impiegarlo nell’alimentazione umana, tuttavia mentre il miele risulta essere un elaborato delle api a partire da sostanze zuccherine raccolte nell’ambiente, il polline è un prodotto completamente vegetale, che le api si limitano a raccogliere sui fiori ed ad addizionare con minime quantità di saliva e nettare, tali praticamente da non modificarne la composizione chimica.

    Palline di polline

    Palline di polline

    Raccolta

    Nella generalità dei casi il polline viene sottratto alle api con speciali trappole al moneto del rientro nell’alveare, al ritorno dalla raccolta. Sono stati fatti anche esperimenti sulla possibilità della raccolta del polline direttamente dai favi ma per ora questa tecnica non ha dato risultati apprezzabili.
    Esistono numerosi modelli di trappole, tutte riconducibili a tre categorie fondamentali: le trappole da entrata poste davanti all’apertura di volo abituale, le trappole inferiori poste sotto al nido al posto del fondo dell’arnia e le trappole soffitta inserite al posto della soffitta sul nido.
    Nei primi due tipi l’entrata della api avviene dal basso come se le trappole non ci fossero, con la trappola da soffitta, la normale apertura di volo viene chiusa e le bottinatrici, dopo una prima fase di disorientamento, scoprono l’apertura posta in alto ed in mendo di una giornata acquistano l’abitudine di entrare ed uscire dall’alto.

    Trappola per polline

    Trappola per polline

    Principio di funzionamento

    Il principio su cui si basano le trappole per polline è quello di costringere le api ad attraversare una griglia provvisoria di fori calibrati in modo tale da permettere il passaggio delle api, ma di provocare il distacco di una certa percentuale delle palline appese ai cestelli delle zampe posteriori.
    Le griglie possono essere verticali ed orizzontali, di plastica o di metallo, con fori circolari, esagonali, quadrati od a stella.
    Le griglie non consentono il passaggio dei maschi i quali, se non si intervenire, sono destinati a morire all’interno dell’arnia.

    Funzionamento trappole polline

    Funzionamento trappole polline

    Usi e proprietà

    Trattandosi di un elemento vivo delle piante, nel polline sono contenute quasi tutte le sostanze necessarie allo sviluppo ed alla crescita di un organismo. Infatti per esplicare la sua opera di fecondazione deve germinare, subendo delle divisioni cellulari. Durante questa sue breve vita autonoma ha bisogno, per poter continuare a vivere, di riserve, e queste sono costituite principalmente da aminoacidi liberi (a parità di peso, il polline contiene aminoacidi da 5 a 7 volte in più rispetto alla carne di bue, alle uova e la formaggio.
    Per la sua particolare composizione, il consumo del polline è consigliabile in tutta una serie di casi. In particolare può essere considerato un ottimo ricostituente generale soprattutto nei casi di magrezza ostinata e deperimento organico dovuto ad anoressia; nel contempo non fa ingrassare l’individuo normale poichè l’aumento dell’appetito è controbilanciato dall’aumento del metabolismo.
    Inoltre ha tantissime altre possibili usi che non verranno trattati in questa lezione.

    Ape con polline in volo

    Ape con polline in volo

    La cera

    La cera, come la pappa reale, è una sostanza interamente di origine animale che le api producono come materiale da costruzione. Si tratta di una sostanza grassa secreta dalle ghiandole sericere funzionanti nelle giovani api operaie di età compresa tra i 10 e i 16 giorni. Essa viene emessa sotto forma di goccioline che si rapprendono in scaglie fra i segmenti dell’addome. Viene poi lavorata con le mandibole dalle api, addizionata a piccole quantità di polline e propoli ed utilizzata per le costruzioni delle api.
    Un tempo, con la diffusione di arnie rustiche e con la pratica dell’apicidio, la cera rappresentava un’importante risorsa per l’apicoltore. Oggi, col reimpiego dei favi dopo l’estrazione del miele ed il riutilizzo della cera mediante l’uso dei fogli cerei, la produzione di cera è quasi in equilibrio coi bisogni degli apicoltore o li sorpassa di poco, mente non basta più nel caso l’apicoltore si dedichi alla produzione di sciami.

    Cera d'api

    Cera d’api

    Produzione

    In pratica la cera oggi prodotta si riduce a quella ottenuta dalla fusione degli opercoli, che forniscono da 1 a 1.5 kg di cera ogni 100hg di miele estratto, e dei favi rotti, deformati o vecchi.
    Nel complesso la cera prodotta in Italia, se si sommano i consumi degli apicoltori e quelli dell’industria, non soddisfa le esigenze nazionali e quindi si è costretti ad importarla in parte dall’estero.
    Normalmente per estrarre la cera si usano le sceratrici solari. Tuttavia mentre è possibile estrarre completamente la cera dagli opercoli, ciò non è possibile per i vecchi favi o per quelli deteriorati in quanto le sostanze estranee presenti si comportano come spugne assorbendo la cera fusa e rendendone libera solo una parte.
    La cera fusa dalla fusione degli opercoli è molto pi chiara, contiene meno impurità e di solito spunta dei prezzi più elevati. La cera non ha grossi problemi di conservazione se si esclude la possibilità di poter essere attaccata dalla tarma piccola della cera.

    Saponetta alla cera d'api

    Saponetta alla cera d’api

    Usi e proprietà

    Un tempo la cera d’api veniva utilizzata per moltissimi impieghi: per illuminazione, nella scultura e nella pittura, nella scrittura, nelle arti magiche, nelle pratiche religiose, nella medicina, ecc.
    Oggi in molti casi è stata soppiantata da altre sostanze più economiche come paraffina, plastica, cere vegetali e minerali, ecc.
    Attualmente il principale uso della cera è il suo riutilizzo da parte degli apicoltori per la fabbricazione dei fogli cerei. Sovente la cera non viene venduta, ma semplicemente data da lavorare a ditte specializzate che la restituiscono all’apicoltore sotto forma di fogli cerei, dietro un compenso per la lavorazione.
    Oltre che per tale impiego la cera viene utilizzata dall’industria per operazione di filatura, in alcuni prodotti dentari, in cere per lucidare i mobili, nella preparazione di lucidi per scarpe, ecc.
    Ma è soprattutto in campo farmaceutico e cosmetico che la cera d’api ha ancora numerose applicazioni, anche se c’è la tendenza ad usare sempre più cere artificiali.

    Cera d'api in cosmesi

    Cera d’api in cosmesi

    Propoli

    Per anni ha rappresentato un inconveniente per l’apicoltore a causa del lavoro necessario per eliminarla dalla parti che debbono rimanere mobili. Da qualche anno invece la scoperta o, se vogliamo, la riscoperta delle numerose proprietà di questa sostanza ha reso economicamente valida la sua raccolta.

    Produzione

    È possibile produrre propoli in due modi completamente diversi: limitandosi a raccogliere quella che le api depositano spontaneamente dentro l’arnia oppure stimolandole a produrne appositamente.

    Raccolta naturale

    Abbiamo visto che le api depositano propoli un pò ovunque all’interno dell’arnia, in particolare lungo gli spigoli, le fessure, nei punto di appoggio dei telaini, fra arnia e soffitta, sul fondo, ecc. E’ quindi possibile, anzi a volte necessario, raccoglier e parte di questa propoli con un raschietto. La propoli raccolta in questo modo contiene grosse quantità di cera, frammenti di legno, parti di api ed ogni sorta di oggetti estranei. Con la raschiatura si ottengono pochi pezzi di notevoli dimensioni, e molti di medie e piccole dimensioni.
    Per poter ottenere la massima valorizzazione del prodotto occorre quindi, prima di metterlo in vendita, procedere ad un’accurata pulizia ed alla separazione delle varie pezzature.

    Propoli raschiata

    Propoli raschiata

    Raccolta artificiale

    E’ possibile stimolare le api a raccogliere propoli ed a depositarla su di un substrato ove risulti facile la sua raccolta.
    Per effettuare questo tipo di produzione innanzitutto è opportuno individuare quelle famiglie che dimostrano di essere buone produttrici di propoli.
    Si predispone poi un telaio delle dimensioni della soffitta e vi si stende sopra una rete a maglie di circa 2mm. Il telaio così predisposto si colloca al posto della soffitta, e le api procederanno velocemente all’otturazione dei fori per rendere di nuovo la parte superiore dell’arnia ermetica.
    Per separare poi la propoli dalla rete occorre raffreddarla, ad esempio mettendola qualche ora nel frigorifero in modo da renderla fragile, successivamente, se si è usato una rete metallica, si procede al distacco della propoli mediante raschiatura, se si è usato una rete di nylon si può distaccarla flettendo la rete in più direzioni.
    La propoli così ottenuta è assolutamente pura e priva di corpi estranei ed ha un valore commerciale superiore a quella per raschiatura, anche se essendo stata meno lavorata dalle api può avere minore valore biologico.

    Rete metallica con propoli

    Rete metallica con propoli

    Usi e proprietà

    La complessa composizione della propoli gli conferisce proprietà di impiego che possono essere separate in due settori ben distinti: uno tecnologico ed uno medico-biologico.

    Applicazioni tecnologiche

    L’uso tecnologico più comune consiste nella preparazione di vernici. Molto probabilmente la famosa vernice utilizzata dai liutai di Cremona del ‘700 era a base di propoli raccolta dalla api nei dintorni di quella città, ed ancora oggi la propoli è utilizzata da questi artigiani.
    E’ possibile preparare delle vernici a base di propoli sciogliendola in alcool etilico e filtrando la soluzione ottenuta. Tale vernice preserva il legno e conferisce un bel colore giallo-oro al ferro bianco preservandolo dalla ruggine.

    Varie tipologie di propoli

    Varie tipologie di propoli

    Applicazioni medico-biologiche

    La propoli possiede numerose proprietà che giustificano la sua applicazione in questo campo, in particolare presenta le seguenti attività:

    • Antiossidane e antirrancidente: tale proprietà potrebbe essere sfruttata nella conservazione degli alimenti in sostituzione degli attuali conservanti di sintesi;
    • Antibiotiche: tale proprietà è dovuta all’azione di numerose sostanze, fra cui sicuramente l’acido benzoico, l’acido cinnamico ed alcuni flavonoidi;
    • Antimicotica: probabilmente contribuiscono a determinare tale proprietà la presenza di acido caffeico e di flavoidi;
    • Antivirale: i principi attivi contro i virus secondo Pecchiai sono contenuti nella frazione idrosolubile, tale azione sarebbe stata messa in evidenza su virus influenzali e virus delle piante;
    • Anestetizzante: tale azione, molto spiccata, viene messa in relazione col contenuto in pinocembrina e fenalacidi;
    • Cicatrizzante: tale attività è stata messa in evidenza sia sugli animali che sull’uomo e si manifesta con un’azione stimolante la rigenerazione dei tessuti;
    • Immunostimolante: estratti di propoli stimolano l’immunogenesi e sono incorso ricerche sulla possibile azione inibente la crescita delle cellule tumorali;
    • Vasoprotettiva: riduce la permeabilità e la fragilità dei capillari, tale attività è probabilmente da attribuire ai flavonoidi, un tempo chiamato vitamina della permeabilità capillare.
  • Impollinazione delle colture – Lezione 4

    L’argomento che è stato trattato nella terza lezione del corso è “impollinazione delle colture” agricole e preparazione dei nuclei a tale servizio.

    È una lezione molto diversa dalle altre poichè l’attenzione per la maggior parte del tempo è focalizzata su molti aspetti che non riguardano direttamente l’ape, detto questo serve a conoscere un’altro aspetto poco conosciuto (almeno per quello che mi riguarda) dell’apicoltura che tornerà utile qualora lo si volesse mettere in pratica.

    Impollinazione

    Come sapete le api non producono solo i prodotti che gli apicoltori raccolgono come miele, propoli, cera, polline e veleno ma la loro compito più grande è quello dell’impollinazione.
    Questo servizio viene effettuato in maniera del tutto inconsapevole dalle api che, attratte dal nettare che i fiori producono, si ricoprono di polline e volando da una pianta all’altra mischiano tali particelle permettendo la fecondazione.
    E’ stato dimostrato che un’ape, sul proprio corpo, può trasportare circa 1 Milione di granuli pollinici, questo poichè ha il corpo ricoperto i peli.
    Questo servizio, oltre che molto utile alla natura, può essere una fonte di reddito per l’apicoltore.

    Ape con palla di polline

    Ape con palla di polline

    Carattere della fertilità

    Si intende la capacità che hanno i fiori di allegare e produrre i frutti.
    Ad un esame più attento si capisce che il carattere della fertilità è un carattere complesso che raggruppa due fattori:

    • Fattori genetici
    • Fattori agronomici

    A loro volta interagenti con l’ambiente di coltivazione.
    Una volta che noi conosciamo i fattori genetici che in qualche maniera possono coinvolgere le specie frutticole possiamo in qualche modo condizionare i fattori agronomici.

    Composizione di un fiore

    Composizione di un fiore

    Fattori genetici

    La sterilità morfologica, in questo caso succede che il fiore è imperfetto, non presenta la parte maschile o la parte femminile.
    Autocompatibilita, che è un fattore genetico che non crea grossi problemi, ovvero che la pianta può autofecondarsi, ma il fattore genetico più importante, che ci aiuta a comprendere meglio l’importanza del servizio di impollinazione, è l’autoincompatibilità.
    Questo significa che nonostante che il fiore sia ermafrodita, cioè presenta sia la parte maschile che la parte femminile, il polline del medesimo fiore non può fecondare la pianta.
    Ecco che allora per ottenere la fecondazione è necessario che su alcune varietà di alcune specie si posino pollini di altre piante.

    Fattori genetici

    Fattori genetici

    Fattori agronomici

    I fattori agronomici che interferiscono con la fertilità sono diversi: ad esempio il portainnesto.
    Il fattore più importante è “scelta di consociazione varietale intercompatibili”, ovvero la scelta dei giusti impollinatori.
    L’impollinazione può essere ritenuto un fattore agronomico e permette di far aumentare la fertilità.

    Impollinazione

    Impollinazione

    Preparazione degli alveari al servizio di impollinazione

    È bene che gli alveari che vorremo destinare a tale servizio siano preventivamente preparati per sfruttare la massima efficienza di ogni nucleo.
    Per prima cosa occorre disporre di famiglie che hanno una regina valida prima dell’invernamento, così da essere sicuri che una volta che partirà lo sviluppo tali regine riescano a mantenere il giusto ritmo di ovo-deposizione e mantengano la famiglia il più numerosa possibile.
    Occorre anche condizionare gli alveari che saranno destinati a tale servizio, ovvero almeno 40 giorni prima della fioritura si inizia con una nutrizione stimolante a base di candito.

    Regole per un buon servizio di impollinazione

    • Valutazione del giusto carico di alveari a ettaro;
    • Epoca di introduzione degli alveari nel campo;
    • Distribuzione degli alveari nell’appezzamento;
    • Corretta ubicazione nei confronti della luce;
    • Sfalciatura delle piante spontanee presenti nell’appezzamento e nelle immediate vicinanze;
    • Valutazione del numero di piante autosterili o intersterili presenti;
    • Valutazione dell’entità e della disposizione degli eventuali tendoni antigrandine
    • Valutazione delle distanze e dello stato vegetativo delle piante da impollinare ed epoca di fioritura delle cultivar.

    Coltura sulle quali si effettua il servizio di impollinazione

    Le colture sulle quali si effettua il servizio di impollinazione si suddividono in: fruttiferi, foraggere da seme, orticole da seme e orticole.

    Nuclei sotto ad alberi da frutto

    Nuclei sotto ad alberi da frutto

    Fruttiferi

    Nel gruppo delle coltivazioni fruttifere troviamo:
    albicocco, castagno, ciliegio, mandorlo, melo, pero, pesco, susino, kaki, kiwi, lampone e mirtillo.

    Neclei per il servizio di impollinazione nei frutteti

    Nuclei per il servizio di impollinazione nei frutteti

    Foraggere da seme

    In questo gruppo invece troviamo:
    erba medica, favini, ginestrino, lupinella, trifoglio violetto e veccia.

    Orticole da seme

    Il gruppo comprende:
    aglio, asparago, bietola, broccolo, carota, cavolo bruxelles, cavolo cappuccio, cavolo, verza, cetriolo, cipolla, cocomero, melone, pastinaca, porro, prezzemolo, ravanello, sedano, zucca, zucchino, melanzana e peperone.

    Impollinazione sotto serra

    Impollinazione sotto serra

    Come si possono proteggere le api?

    Quando si effettua il servizio di impollinazione può succedere che le api siano avvelenate per vari motivi.
    Per cercare di proteggere i nuclei è opportuno che l’agricoltore sia a conoscenza del fatto che le sue azioni possono portare ad una moria delle api che sono state portare per il servizio di impollinazione.
    L’agricoltore inoltre DEVE avvertire preventivamente gli apicoltori nell’eventualità che si debbano applicare trattamenti insetticidi.
    Adottare i moderni sistemi di lotta integrata o biologica è un’ulteriore modo per proteggere le api che vengono portate per effettuare tale servizio.
    L’aspetto più importante da tenere presente è quello di non distribuire mai dei prodotti fastidiosi o mortali per le api quando il fiore della propria cultura è aperto.

    Ape ricoperta di polline

    Ape ricoperta di polline

  • Buone pratiche apistiche – Lezione 3

    Ciao a tutti,
    eccoci con il secondo appuntamento settimanale, anche se in ritardo, della lezione tenuta il 16 gennaio, dall’apicoltore Giampiero Torri, il cui argomento era: Buone pratiche apistiche.
    Come da previsioni non sono riuscito, per mancanza di tempo, a postare la seconda lezione molto velocemente e, per questo motivo, mi tocca fare due post molto ravvicinati.
    Non è un grosso problema ma mi sarebbe piaciuto fare le cose diversamente, magari ci riesco la prossima settimana, staremo a vedere (io ci credo poco 😛 ).
    Tornando a noi ancora nessuna traccia delle due arnie ordinate, ma il fornitore mi ha confermato che sono partite e che è una questione di giorni prima che arrivino, attendiamo e vedremo.
    Augurandovi, come sempre, una piacevole lettura, vi saluto.

    Alveare “Razionale”

    L’alveare “razionale” a favi mobili può essere quindi definito un Super organismo tecnicamente modificato, poichè se pur con tecniche semplici, l’alveare razionale, è diventato un organismo artificioso che non ha simili e questo lo rende assai diverso dagli altri animali dall’allevamento.
    Ci si deve ricordare delle peculiarità dell’alveare e dell’apicoltura, anche nel controllo e gestione delle malattie e anche nell’utilizzo dei medicinali veterinari.

    Punti di forza dell’apicoltura

    L’apicoltura apporta notevoli benefici all’intero settore agricolo e, ancora prima, all’ecosistema generale.
    Prima ancora della produzione del miele, infatti, la sua importanza è legata all’effetto pronubo (l’84% delle specie di piante e il 76% della produzione alimentare in Europa dipendono in larga misura dalle api).
    Non a caso è riconosciuta attività di interesse nazionale!

    Buone pratiche apistiche

    Ci sono diverse pratiche che è consigliabile svolgere per poter allevare nei migliori dei modi il proprio apiario.
    Seguendo queste metodologie non si evitano le malattie o gli anni deludenti, ma si riducono al minimo le possibilità che cose come queste avvengano.

    Sostituzione dei telaini

    L’inverno, quando le api si stringono nel glomere, formano una sorta di “palla” che si posiziona circa al centro dell’arnia. Mano mano che la stagione migliora e con essa le temperature aumentano questa sorta di “palla” si allarga sempre di più fino a riempire l’intera arnia quando vi è il grande raccolto.
    Nei telaini esterni le api generalmente tengono il miele, poi man mano che ci avviciniamo al centro troviamo il polline ed infine la covata. Mediamente si hanno uno o due telaini esterni di miele (per parte), uno o due telaini di polline (per parte) ed infine la covata ricopre i restanti.
    I telaini che contengono la covata, quindi quelli più centrali, invecchiano molto più velocemente degli altri poichè ogni volta che nasce un’ape rilascia una membrana sottilissima, detta esuvia, che ristringe piano piano la celletta.
    E’ buona norma, per rinnovare la cera contenuta nei telai, che nella buona stagione vengano inseriti telaini nuovi (quelli provvisti solo di foglio cereo) , questa operazione va però effettuata in modo razionale e non vanno introdotti dei fogli cerei in maniera casuale.
    I telai nuovi vanno inseriti vicino alla covata in due possibili posizioni: o tra il miele ed il polline o tra il polline e la covata, anche se si consiglia maggiormente la seconda posizione.
    In questo modo, se si cambiano due telaini all’anno, nel giro di 5 anni avrò il rinnovo totale dei telaini presenti nell’arnia.

    Talaino con cera nuova

    Talaino con cera nuova

    Rinforzo di una famiglia con talaini di covata

    Nel caso in cui ci accorgiamo che una famiglia è molto debole e necessita del nostro intervento non bisogna pensare che se preleviamo un telaino da un’altra famiglia (che necessariamente deve essere forte) e lo spostiamo direttamente nel nucleo debole vada tutto per il verso giusto.
    Ci sono molti fattori da tenere in conto prima di effettuare tale operazione: prima di tutto ogni famiglia ha il proprio odore e se api di famiglie diverse vengono in contatto tra di loro sono portate a scontrarsi ed a uccidersi a vicenda.
    Per evitare questo occorre dare una bella scrollata al favo che si preleva, così che le api più anziane (quelle che maggiormente non accettano api di altre famiglie) prendano il volo e non finiscano nel nucleo debole. Successivamente occorre spostare il nucleo appena rinforzato ad una distanza di almeno 3 km poichè altrimenti le api spostate tenteranno di tornare nell’arnia di provenienza vanificando il rinforzo appena fatto.
    Altro fattore da prendere in considerazione è se il nucleo di destinazione sia in grado di sostenere il rinforzo, se ad esempio la famiglia debole conta pochissimi individui e noi introduciamo un’ulteriore telaino di covata, questa potrebbe andare distrutta poichè non vi sono abbastanza api per riscaldare le larve.
    Ultimo in elenco ma, probabilmente, il più importante per questa pratica è accertarsi che sia il nucleo forte che quello debole siano in salute, poichè se uno dei due presenta qualche patologia si possono scatenare una sequenza di eventi che porta ad perdere non una, non due, ma tutto l’apiario.

    Telaino di covata

    Telaino di covata

    Nomadismo

    Gli apicoltori si dividono in due gruppi: i stanziali ed i nomadi.
    Il primo gruppo tiene sempre le proprie arnie in un apiario senza mai spostarle, generalmente chi inizia appartiene a questo gruppo.
    Il secondo gruppo invece sposta le proprie arnie seguendo le fioriture, in questo modo riesce sia a fare le qualità del miele sia a produrre più mele poichè non si adatta alla conformazione del territorio ma sfrutta il potenziale delle api al massimo spostandole quando il raccolto in una determinata zona comincia a diminuire.

    Esempio di nomadismo professionale

    Esempio di nomadismo professionale

    E’ possibile anche che si verifichino degli incidenti, come è successo in cina: un camion con rimorchio che trasportava un intero apiario si è rovesciato e le casse aprendosi hanno lasciato libero sfogo alle api. In quel caso solo i pompieri bagnando e uccidendo tutto riescono a risolvere la situazione, la conclusione logica è un apiario completamente distrutto.

    Incidente in cina del 2008

    Incidente in cina del 2008

    Nomadismo: Legge regionale

    Gli apicoltori che praticano nomadismo nel territorio della regione Emilia Romagna, se si recano in postazioni non censite presso le AUSL di competenza, devono darne comunicazione scritta al Presidente della Provincia di destinazione entro il mese di febbraio di ogni anno (come previsto dalla Legge Regionale n. 35 del 25 agosto 1988 art.9 e dal Regolamento Regionale n.18 del 5 aprile 1995).
    Nella comunicazione devono essere indicati, come previsto dal modulo:

    • La sede dell’apiario o degli apiari da spostare;
    • Il numero presunto degli alveari interessati allo spostamento;
    • La presumibile data di trasferimento;
    • Il luogo di destinazione;
    • La presunta durata di permanenza nell’aria di destinazione;
    • Il tipo di fioritura del pascolo di cui si vuole beneficiare.

    In via del tutto eccezionale e per motivare esigenze di sfruttamento di determinati pascoli, ovvero quando si renda necessario ed urgente il trasferimento dell’apiario in nuove postazioni, è consentito lo spostamento degli alveari, senza la prevista segnalazione, fermo restando l’obbligo di comunicare al Sindaco del Comune di arrivo entro 48 ore, ai sensi del comma 2, dell’art. 8 della Legge Regionale n. 35 del 1988.
    Lo spostamento di alveari da una postazione censita ad un’altra non censita non richiede alcuna segnalazione.

    Nomadismo: Distanze fra apiari

    Gli apicoltori, quando spostano gli alveari per nomadismo o per la costituzione di nuovi apiari, devono rispettare le seguenti distanze minime dagli altri apiari, calcolandole dal centro dei singoli apiari:

    • m. 100 di raggio se gli apiari sono formati da 1 a 10 alveari;
    • m. 150 di raggio se gli apiari sono formati da 11 a 20 alveari;
    • m. 250 di raggio se gli apiari sono formati da 21 a 30 alveari;
    • m. 500 di raggio se gli apiari sono formati da 31 o più alveari;

    Il diritto di priorità nello sfruttamento del pascolo spetta al richiedente che non abbia apportato modifiche al suo programma di nomadismo.

    Metodi per aumentare le famiglie – Produzione nuclei

    Generalmente i nuclei si creano nelle arnie da 6 telaini, quando si fa un nucleo lo si prepara un anno per quello successivo, poichè vanno formati nel periodo di maggiore sviluppo e quindi i nuovi nuclei non hanno tempo di svilupparsi per il grande raccolto che sta già avvenendo.
    Per prima cosa va selezionata una famiglia che sia molto forte e che non risenta della perdita di qualche telaino.
    Molti apicoltori, generalmente, prelevano un solo telaino con covata dalla famiglia forte; Torri consiglia di levarne due poichè, sebbene indebolisca di più la famiglia forte, permetterà al nuovo nucleo di partire già forte, limitando il rischio che questo nucleo vada distrutto durante l’inverno. (Si possono prelevare i telai anche da cassi differenti)
    Riposti questi telai all’interno delle arnie da 6 telai e riempiti i posti vuoti con fogli cerei e, se si riesce, con un telaino di scorta prelevato ad una famiglia forte, il tutto deve essere spostato a più di 3km altrimenti le api che possono volare torneranno nelle famiglie di partenza condannando il nuovo nucleo alla morte.
    Se nei telaini che vengono prelevati vi è la presenza di celle reali, si può rischiare di non mettere la regina e lasciare che la natura faccia il suo corso, oppure se non vi è la presenza di tale celle o non si desidera rischiare conviene aggiungere un’ape regina che ci si è procurati diversamente.
    Nel caso si scegliesse la via dell’ape regina “in scatola” il consiglio è quello di attendere 1 giorno dal prelievo dei telai (in maniera tale che le api comincino a sentire l’orfanità) e allo scadere di tale tempo introdurre la scatola con la regina.
    In questo modo non si da il tempo alle api di creare celle reali e le probabilità di accettazione sono maggiori.

    Arnia da 6 telai per nuclei

    Arnia da 6 telai per nuclei

    Curiosità

    Una regina in piena produzione riesce a deporre tre volte il suo peso corporeo in uova, è come se una gallina di 3kg faccia 9kg di uova in un solo giorno.

  • Come tutto ebbe inizio..

    Ciao a tutti,

    per prima cosa mi presento, anche se non sono mai stato bravo nel farlo: mi chiamo Matteo, ho 24 anni e dalla fine dell’anno appena terminato ho deciso di intraprendere una nuova avventura immergendomi nel bellissimo e complicatissimo mondo dell’apicoltura.

    Ape Accigliata

    Ape Accigliata

    Da qualche tempo mi era balenata l’idea di allevare le api, non ricordo bene che cosa fece scattare questa scintilla, ed ho cominciato così ad informarmi sui costi e sull’occorrente che questa attività comportava.
    Fortunatamente ho deciso di mandare qualche mail ai fornitori di sciami, i cui siti sono facilmente reperibili googlando, in questo modo sono incappato in un apicoltore che, con estrema gentilezza e con una straripante passione, mi ha indirizzato su quali fossero per lui i passi più giusti per un neofita (uno alle prime armi).

    Seguendo i suoi consigli mi sono iscritto ad un corso che inizierà il 9 Gennaio (le cui lezioni provvederò a postarle in questo blog) tenuto dall’AFA (Associazione Forlivese Apicoltori). Tale corso dovrebbe permettermi di apprendere le prime basi per poter portare avanti un apiario nel migliore dei modi e, cosa essenziale, permettermi di mettere le mani per la prima volta dentro un alveare avendo al mio fianco una persona esperta che mi indirizzi.

    Non riuscendo, però, a stare fermo ad attendere che il corso iniziasse ho deciso di seguire anche un secondo consiglio, il quale prevedeva l’acquisto di un libro in materia per poter capire meglio tutti i piccoli segmenti che, uniti, compongono il complesso e fantastico mondo delle api. La mia scelta è ricaduta sulla terza edizione di “Le Api – Biologia, allevamento, prodotti” di Alberto Contessi, il quale si è rivelato un vero e proprio manuale che mi accompagnerà per tutta questa avventura.

    Terminata la lettura di questo manoscritto proprio nella giornata odierna, posso dire che molti miei dubbi sono stati abbondantemente rimossi e che, anche se con molta incertezza per il lato pratico, non vedo l’ora di iniziare ad allevare le mie prime famiglie, infatti, spinto da codesta eccitazione, ho provveduto ad ordinare le mie prime due arnie (le case delle api) dopo aver scelto con attenta cura il fornitore più vantaggioso e con una qualità soddisfacente.

    Attendendo che il mio acquisto arrivi e/o che il corso inizi, vi saluto e vi ringrazio per la lettura.

    Matteo

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