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Gen 15 2016 Il mondo della fantasia è il mondo della realizzazione del desiderio.
Ciao a tutti,
come promesso ecco il post nel quale vi mostro la costruzione della mia prima arnia.
A lavoro concluso posso dire che non è perfetta, anche perché ho cambiato progetto in corsa varie volte e mi dispiaceva scartare il materiale che avevo già sagomato, ma ritengo che sarà comunque utilizzabile e molto più robusta di quelle che ho comprato.Per prima cosa mi sono concentrato sui due lati dell’arnia poiché li ho ritenuti i più semplici da effettuare, infatti bastava tagliare con la sega circolare le tavele in maniera tale da ricavare due grandi rettangoli e poi, con il seghetto alternativo, effettuare i tagli per permettere l’adagiamento del tetto del portichetto.
Purtroppo non trovando in commercio, almeno presso il magazzino dove mi rifornisco io, delle tavole di abete larghe abbastanza (ovvero 328 mm) ho dovuto procedere all’incollamento di due pezzi, tagliati della giusta misura mediante la colla americana (mi sono informato e sembra essere la meno tossica in circolazione insieme al Vinavil).
Stessa cosa ho dovuto fare per la parete anteriore e la parete posteriore.
Dopo aver atteso che la colla si asciugasse (volendo o non volendo è trascorsa una settimana, poiché prima non sono riuscito a lavorarci) ho praticato i due rientri in cima al fronte e al retro dove saranno poi alloggiati i telaini a una profondità di 23mm dall’alto (in questo modo è garantito il passo d’ape tra i telaini e il coprifavo.
Assemblati i 4 lati, mediante 6 viti per lato, ho verificato che i telaino rimanesse sospeso in maniera corretta.A questo punto mi sono concentrato sulla base dell’arnia che è composta da 8 parti:
- Base anteriore (ingresso dell’arnia per le api)
- Base posteriore
- Base laterale destra
- Base laterale sinistra
- Piede intero destro
- Piede con scasso destro (per far scorrere il vassoio)
- Piede intero sinistro
- Piede con scasso sinistro (per far scorrere il vassoio)
Tagliati questi 8 pezzi ho provveduto a verniciarli insieme ai fondi dei 4 lati dell’arnia in maniera tale che il legno fosse protetto in tutte le sue parti e non solamente quelle esterne (infatti il glomere genera parecchia condensa l’inverno e questa può far marcire il legno in fretta) e una volta che la vernice si fosse asciugata li ho assemblati con l’ausilio di altre viti (prima i 4 pezzi della base e poi i 4 pezzi dei piedi).
Infine ho provveduto tagliare il pezzo per il tetto del portichetto e, prima di montarlo, ho verniciato sia l’intera arnia che il pezzo appena ricavato.
Come ho precedente detto non è venuta perfetta, tanto è che in alcuni punti ho dovuto stuccare con la colla Americana per chiudere alcuni buchi che si erano formati nell’assemblaggio, ma mi ritengo soddisfatto dell’operato poiché la qualità del legno è sicuramente superiore di quella delle arnie che ho comprato, la spesa totale per la singola arnia è dimezzata e il tempo che devo spendere per la realizzazione non è eccessivo (in due mezze giornate si crea).
Per vedere tutte le foto riguardanti la costruzione vi rimando a questo album di Flickr, mentre gli schemi che ho utilizzato (anche se con qualche piccola modifica) li trovate a questo indirizzo.
Ora non mi rimane che continuare a sfornare arnie fino ad averne la giusta quantità per la prossima stagione, quando allargherò il mio apiario fino a contenere (spero) 10 famiglie.
Il prossimo post, dove tratterò della visita tenuta il 10/01/2016, conterrà anche una piccola sorpresa.
A presto, bzzz‼
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Dic 20 2015 Iscrizione anagrafica apistica nazionale – Guida
Ciao a tutti,
dopo aver ricevuto notizia dall’associazione che nel 2015 è entrata in vigore una legge nazionale che prevede la registrazione di ogni singolo apiario presso un sistema condiviso a livello nazionale (dovuto anche alla tragedia Calabrese di questa estate) mi sono subito messo all’opera cercando di trovare il sistema giusto e anche gli strumenti necessari ad effettuare l’iscrizione anagrafica apistica nazionale.Siccome la mia esperienza è stata abbastanza traumatica, poiché ho dovuto lottare contro istituzioni che non erano e non sono tutt’ora informate su questi procedimenti, veterinari della stessa Ausl di competenza che quando sentivano dire: “nuova procedura per la registrazione all’anagrafica apistica nazionale” erano presi da improvvisi malori o sembravano aver avuto apparizioni mistiche, ho deciso di condividere col il web la procedura corretta da dover effettuare così da risparmiare queste pene al prossimo malcapitato che si troverà nella mia stessa condizione.
Per prima cosa va detto che con questa nuova legge nazionale, che prevede la registrazione dei propri apiari entro il 31/12/2015, non viene abrogata nessuna delle precedenti legge varate, comprese anche quelle regionali, quindi, fino a che queste vecchie leggi non saranno abrogate con successivi emendamenti dovranno essere comunque rispettate.
Come effettuare la registrazione??
Ci sono 3 diverse possibilità per poter effettuare tale registrazione:
- Delegando la propria associazione (che solitamente fa pagare questo servizio)
- Registrandosi in maniera autonoma sul portale dedicato
- Recandosi all’Ausl di competenza (che come tutti sappiamo spesso non sono neppure informati sul da farsi, almeno nella mia zona)
Ovviamente in questo post vi spiegherò come occorre procedere per poter effettuare la registrazione in maniera autonoma con un qualsiasi computer, infatti io ho deciso di intraprendere questa strada anche perché l’aggiornamento dei dati ha ricorrenza annuale e la spesa per poterla effettuare si limita a quella dell’acquisto di un lettore smart card.
Cosa serve per effettuare la registrazione in maniera autonoma??
Per il primo accesso non è necessario avere alcuno strumento se non un pc collegato a internet per potersi recare sul portale, mentre, una volta che l’account sarà confermato, saranno necessari pochi elementi:
- Tessera sanitaria (attivata) o Carta nazionale dei servizi
- Lettore di smart card
Come si effettua la registrazione??
Per poter effettuare la registrazione basterà recarsi a questo indirizzo:
il cui portale si presenterà in questo modo:
A questo punto occorre cliccare nel riquadro in basso a destra con l’immagine di un’ape e la scritta “anagrafica apistica” che si dovrebbe presentare in questo modo:
Così facendo verrete indirizzati ad una nuova pagina dove vi verrà detto che non siete autorizzati a continuare:
Come suggerito nella pagina stessa, non disponendo di un account, clicchiamo sulla parola “link” della prima riga.
Successivamente, nella nuova videata che appare, sul pulsante “Non hai ancora un account? Richiedilo” che si trova in basso a destra:Si aprirà un form nel quale dovranno essere inseriti i nostri dati, mi raccomando di inserire (anche nel caso siate un’azienda agricola) il proprio codice fiscale poiché sarà poi con quello che accederemo al portale una volta conclusa la creazione.
Una volta terminato l’inserimento di tali dati e, dopo aver premuto il pulsante “Inserisci” sarà visualizzato un messaggio di avvenuto inserimento simile al seguente:
Ora non resta che attende che sia spedita dal sistema, in maniera del tutto automatica, una mail all’indirizzo elettronico specificato nel form contenente il PIN temporaneo per poter accedere al sito.
Il contenuto di tale mail, dovrebbe essere simile a questo:Ora, tramite questo PIN temporaneo (utilizzabile fino a che l’account non sarà attivato) e il codice fiscale registrato poc’anzi, potremo accedere al sistema.
Già da subito è possibile registrare la propria attività apistica (privato o azienda che sia), nel caso non sia presente nell’elenco (alcune le ha già inserite l’ausl di competenza), oppure semplicemente inserire gli apiari da censire.Vi ricordo che ogni operazione effettuata nel portale dovrà essere approvata (e il cui stato è visibile all’interno del portale stesso).
A questo punto vi starete chiedendo a cosa servono il lettore smart card e la tessera sanitaria o la carta nazionale dei servizi, beh, non appena il vostro account sarà attivato dai tecnici del sistema non potrete più accedere al sistema mediante il PIN provvisorio e per farlo basterà collegarsi al sito utilizzando la carta (come se fosse una chiave di ingresso).
Attivazione della tessera sanitaria
A questo punto abbiamo tutto il tempo di attrezzarci di lettore smart card e di tessera per poter accedere quando saremo stati abilitati.
Nel caso non si disponesse della Carta nazionale dei servizi (che ogni cittadino può richiedere gratuitamente) e non si volesse attendere circa i 2 mesi necessari a riceverla, il mio consiglio è quello di attivare la propria tessera sanitaria (nel caso sia di quelle nuove, con il cip simile a quello delle carte di credito) recandosi presso il CUP dell’Ausl di competenza (operazione completamente gratuita e che vi occuperà pochi minuti del vostro tempo), vi ricordo che per tale procedura occorre essere muniti di Tessera sanitaria, un documento identificativo e un indirizzo mail da associare alla tessera (preferibilmente lo stesso che avete usato per registrarvi al portale).Spero che questa piccola guida possa aiutarvi a non perdervi nella giungla della burocrazia italiana.
Grazie a tutti‼
Bzzz‼
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Giu 02 2015 Albero del miele (Evodia Tetradium Danielli)
Origini e forma
L’Albero del miele (Evodia Tetradium Danielli) è originario della Cina e della Corea.
Nei primi 3-4 anni cresce in maniera molto veloce, anche 2 metri l’anno, raggiungendo in pochi anni i 10 metri ed oltre di altezza; successivamente, la crescita rallenta con l’avanzare dell’età ma la pianta può raggiungere e superare anche i 15-20 metri di altezza.
In assoluto è la pianta più mellifera conosciuta: i suoi fiori producono nettare in quantità superiore ad ogni altra pianta conosciuta. Confrontandola con la robinia, si può calcolare che su un ettaro di terreno la prima renda circa 600-700 kg. di miele mentre l’Evodia arriva facilmente a superare i 1.200 kg.
La principale caratteristiche dell’Evodia è quindi la sua fioritura. I piccoli fiori, di colore bianco-crema, sono raggruppati in una infiorescenza (corimbo) ed emanano un intenso profumo mellifero.
Di fondamentale importanza è anche la durata della fioritura: essa inizia verso la fine di luglio e può protrarsi anche per oltre mese e mezzo. Va pertanto a coprire un periodo in cui le fioriture mellifere sono abbastanza scarse. Al termine della fioritura, verso ottobre, compaiono piccoli frutti di colore arancione.
Albero di ottimo aspetto, può essere messo a dimora in qualsiasi giardino anche a scopo ornamentale. La distanza di piantagione tra altri alberi o manufatti non deve però essere inferiore ai 7-10 metri considerando il notevole sviluppo della chioma dell’albero adulto.
Per quanto riguarda la longevità, si consideri che, introdotta in Europa oltre 100 anni fa, in alcuni giardini botanici ne esistono tutt’ora esemplari viventi.
Sopporta bene le basse temperature, soprattutto da adulta, mentre da giovane è bene proteggerla durante gli inverni troppo rigidi.
L’Evodia tetradium Danielli, adulta, ha una soddisfacente resistenza al freddo, le piante caducifoglie sopportano alle nostre latitudini temperature medie minime annue da -13° a -17°C.Non richiede terreni particolari per crescere in modo ottimale, tuttavia non gradisce suoli compatti e stagnanti. Avendo un apparato radicale sviluppato fino a grande profondità, non teme anche lunghi periodi di siccità.
Si tratta di arbusti e alberi sempreverdi o caducifogli (quelli importati in Europa quasi esclusivamente decidui) che a causa delle foglie composte assomigliano notevolmente al nostro frassino comune (Fraxinus excelsior).
I germogli annuali di queste specie inizialmente sono coperti di una peluria grigiastra e fitta. A causa delle foglie e del loro odore, la pianta veniva chiamata “frassino puzzolente” nelle sue aree di maggior diffusione (paesi del centro Europa, Germania, Austria).
Le foglie composte, opposte e imparipennate presentano forme diversificate e rispetto al frassino sono maggiormente ovaliformi e largamente lanceolate; inoltre risultano più coriacee.
Nelle fasi iniziali, le giovani piantine devono essere coltivate in consociazione con alberi più grandi ombreggianti, i quali (o dai quali) dovranno essere progressivamente allontanati nel corso del ciclo produttivo per garantire un maggior soleggiamento. Questo è molto importante per il futuro sviluppo dei fiori e quindi per la produzione di nettare.
La pianta è monoica a fiori monosessuali (sessi separati), riuniti in infiorescenze distali ad ombrello, lunghe circa 25 cm, oppure raggruppate in una larga pannocchia.
I fiori sono bianchi con screziature da giallo-verde a bianco sporco e diffondono un profumo aromatico. Assomigliano notevolmente alle infiorescenze del sambuco. Il polline è giallo chiaro. All’interno dell’infiorescenza circa 2/3 dei fiori sono maschili; a quanto pare basta il nettare da 3 a 5 fiori non ancora visitati dalle api, per riempire la sacca mellifica di un’ape.
I frutti rosso bruni sono costituiti da 4 a 5 valve lunghe da 2 a 8 millimetri che a maturità si aprono a stella, simili a quelli della Phaeonia, anche se di dimensioni minori.
Per la germinazione i semi necessitano di un periodo di freddo; per questo motivo la conservazione durante l’inverno dovrà avvenire per esempio in un contenitore di vetro in un deposito non riscaldato, al fine di garantire una ottimale quantità di freddo.
La semina primaverile avrà successo solo se i semi dormienti avranno trascorso il necessario periodo di freddo. Il potere germinativo è comunque variabile; in caso di scarsa germinabilità è necessario effettuare una semina a stratificazioni, al fine di garantire il miglior adattamento possibile al clima del luogo.
Le foglie, somiglianti a quelle dell’alloro, presentano un profumo molto aromatico, quindi si potrebbe ipotizzare un loro uso come incenso e repellente contro gli insetti. Anche la vicinanza di un albero ha già degli effetti nell’allontanamento di zanzare o insetti fastidiosi e potrebbe essere un buon rimedio per tenere lontani tali insetti dall’abitazione.
Nella medicina cinese i semi dell’Evodia sono usati sotto forma di infuso per contrastare cefalee, emicranie croniche e diareea, oltre che come stimolante del sistema immunitario.
Le foglie, una volta cadute, vengono degradate facilmente da citellati ed altri animali del suolo, con le conseguenze positive per la fertilità del terreno. La presenza di frutti oleosi rende questi alberi molto importanti come fonte di nutrimento per l’avifauna.
Vantaggi per l’apicoltura
Le piante fioriscono piuttosto tardi (da luglio a metà settembre), con una variabilità legata al clima e al terreno.
Il “paradiso del nettare”, a seconda dell’andamento meteorologico, può durare anche fino ad ottobre, durante la fioritura, su ogni infiorescenza, si possono trovare gruppi anche di 100 api. Grazie all’elevato apporto nutritivo, le api si lanciano voracemente sui singoli fiori (si possono anche trovare 3 api contemporaneamente su un singolo fiore).L’albero, a causa della tarda fioritura, costituisce per numerosi insetti un ideale supporto verso la fine della stagione vegetativa (da qui deriva il nome inglese dell’albero Bee bee-Tree). In America anche il tiglio americano viene chiamato allo stesso modo.
Alcuni definiscono il sapore del miele prodotto dell’albero come “particolare”, simile a quello di un farmaco. Ci vuole del tempo per abituarsi all’odore e al sapore del miele di Evodia.
Il miele già esistente nei melari dovrebbe essere smielato prima della produzione di miele di Evodia, il quale dovrebbe essere lasciato alle api esclusivamente come nutrimento. Anche i buongustai non apprezzano particolarmente questo tipo di miele.L’elevata, tardiva e duratura produzione di fiori e quindi di nettare hanno spinto gli apicoltori ad introdurre questa pianta nei nostri ambienti.
L’apporto nutritivo in fase autunnale è prezioso per le api, rafforzandole in previsione dello svernamento. Ci sono indizi che il fiore, durante la fioritura principale da luglio a settembre, rafforzi il ciclo riproduttivo delle api.
Semina a Stratificazione
Se si vuole evitare il rischio di una piantumazione di piante giovani, molto sensibili al gelo, si consiglia di far germogliare i semi attraverso una semina a stratificazione al freddo e di far crescere i germogli adattandoli gradualmente al clima locale.
L’albero del miele fa parte delle piante per le quali i semi sono in grado di germinare solo dopo aver attraversato un periodo di freddo, e grazie alle temperature fredde, viene indotta la produzione di ormoni che stimolano la germinazione.I semi vengono posti in inverno in casa per circa due settimane con una temperatura di 18-22°C, in vasi pieni di terra e costantemente inumiditi. Successivamente vengono posti all’esterno, in un luogo non soleggiato, riparati dagli agenti atmosferici e da animali (sono sufficienti stanze non riscaldate od un frigorifero regolabile).
Da febbraio a marzo, per un periodo di 6 settimane la temperatura dovrebbe aggirarsi intorno agli 0°C (con una tolleranza da -5° a +5 °C). Quando le giornate iniziano inevitabilmente a riscaldarsi, allora è possibile iniziare ad innaffiare i semi in aiuole a mezzombra (naturalmente l’autore fa riferimento alla situazione climatica austriaca.Proprietà medicinali
Quando penso alla salute delle nostre api, ho in mente il pregio di una pianta nettarifera. Più variegata è l’offerta nettarifera, più in salute saranno i popoli delle nostre api.
Le api, non solo sono molto laboriose, ma il loro comportamento offre spunti interessanti anche dal punto di vista umano, nella loro fisiologia, non sono paragonabili ai mammiferi (ai quali appartiene anche l’uomo) esse lavorano sempre con un forte istinto verso l’allevamento delle loro larve.
La loro economia è basata sul principio delle scorte e dell’immagazzinamento, le api, probabilmente sono in grado si selezionare, in modo intelligente, il nutrimento ideale per riuscire a sopravvivere all’inverno.Le api adulte svernano meglio se in autunno hanno immagazzinato polline e nettare con proprietà medicinali.
Ci si pone la domanda se il nettare abbia queste proprietà benefiche non solo per le api adulte ma anche per le larve, che il polline di Evodia impedisca la crescita di alcuni batteri sembra essere una cosa ormai certa.Per capire l’importanza di questa pianta per l’apicoltura, è lecito gettare lo sguardo sulla medicina umana.
Nella medicina popolare giapponese e cinese, i semi ed i frutti quasi maturi (probabilmente anche le foglie) vengo utilizzati a fini terapeutici. In Giappone, da anni, nella medicina generale “alternativa” (la cosiddetta medicina Kampo della fitoterapia giapponese), viene esaminata l’efficacia del succo estratto dai frutti e dai semi rossi e neri dell’Evodia hupehensis e dell’Evodia rutaecarpa, si sono riscontrati risultati positivi nella lotta contro l’emicrania e la diarrea.Si è giunti alla conclusione che non una singola sostanza isolata, ma l’insieme di diverse sostanze presenti nella pianta hanno un effetto sinergico.
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Apr 04 2014 Patologie delle api – Lezione 7
L’ultima lezione di questo corso tratterà l’argomento “patologie delle api”, purtroppo capitolo molto importante, vasto e in continua evoluzione. In questa lezione saranno riassunte le nozioni essenziali, giusto per dare un’infarinatura generale.
P.s.
Per chi volesse c’è una petizione di Greenpeace che riguarda le api da vicino, se tenete al mondo che vi circonda il minimo che potete fare è firmare.
Trovate tutte le informazioni e la possibilità di firmare digitalmente a questo indirizzo: http://salviamoleapi.org/Acariosi
Si tratta della più grave malattia delle api adulte e fa parte di quelle malattie la cui denuncia è obbligatoria (la denuncia va effettuata all’autorità sanitaria locale secondo quanto disposto dall’art.154 del vigente Regolamento di Polizia veterinaria).
L’agente della malattia è un’acaro della famiglia dei Tarsonemidi: l’Acarapis woodi Rennie. Ha forma sub-ovale e dimensioni microscopiche.Presenta un certo dimorfismo sessuale, con la femmina leggermente più grande. A differenza della maggioranza degli acari, che sono ectoparassiti, l’Acarapis è un endoparassita che vive nell’apparato respiratorio (trachee) delle api adulte di tutte e tre le caste.
La malattia viene trasmessa dalla femmina feconda che penetra nelle trachee toraciche delle giovani api operaie nei primi 9 giorni di vita attraverso gli stigmi, ancora sufficientemente aperti, del 1° segmento toracico.
Qui l’acaro depone le uova, in media 5 o 6 fino ad un massimo di 10. Dall’uovo si sviluppa una larva che attraverso lo stadio di ninfa diviene adulta in 11-14 giorni.
Inizialmente il parassita rimane localizzato nel primo tratto della trachea da cui è entrato, ma poi si irradia nel sistema respiratorio circostante moltiplicandosi ulteriormente ed occupando il 1° paio di trachee toraciche.
Quando il numero di acari diviene considerevole le trachee vengono ostruite dal parassita e questo provoca carenza di ossigeno all’ape. In inverno ed in primavera gli acari escono dalle trachee delle vecchie api e si installano alla base delle ali dove si accoppiano, in tal modo ledono le articolazioni delle ali i cui movimenti cessano di essere coordinati e le api non riescono più a volare.
Le ali battono staccate, quando invece abitualmente sono agganciate l’una all’altra, ed a volte assumo una caratteristica forma a “K”.
L’evacuazione delle feci che normalmente avviene in volo, non può aver luogo, l’addome si dilata e le api finiscono per morire.Sintomi
I sintomi visibili dell’acariosi non sono caratteristici, simili come sono a quelli provocati da altre malattie o da intossicazioni: tremori e movimenti convulsivi del corpo , incapacità a volare, ritenzione delle feci, difficoltà anche a camminare; spesso si aggrappano alle erbe in prossimità dell’alveare per morire in lenta agonia.
Durante l’estate le operaie vivono meno di 6 settimane e la loro morte naturale sopraggiunge prima della seconda generazione del parassita, quindi i sintomi della malattia non compaiono e solo il microscopio può svelare la presenza dei parassiti. Le loro punture provocano infatti degli ispessimenti scuri nelle trachee facilmente individuabili.In autunno, ma soprattutto durante l’inverno, le api vivono molto più a lungo e se alcune di esse sono colpite la malattia si manifesterà in pieno da maggio a giugno.
Una colonia le cui api siano infestate al 50% prima dell’inverno, non ha alcuna speranza di sopravvivere.
Anche le regine possono ospitare l’acaro, tuttavia anche nei casi più gravi, pur perdendo le ali, continuano comunque a deporre.Profilassi e cura
Quando in un apiario si scoprono una o poche famiglie acariosate, soprattutto se la scoperta si effettua in autunno quando difficilmente una famiglia avrà la possibilità di sopravvivere o se ci si trova in una zona fino a quel momento esente da acariosi, se ne consiglia la distruzione. Questa va effettuata la sera, quando tutte le bottinatrici saranno rientrate, per asfissia delle api con annessa cremazione delle stesse e recupero dei materiali.
Negli anni sono state utilizzate numerose sostanze per la lotta all’acariosi. Allo scopo in Italia era stato dapprima registrato il clorobenzilato, poi il bromopropilato, che è stato impiegato anche per la lotta alla Varroa.
Dopo che è stata segnalata la possibilità di controllare l’acariosi col mentolo e con l’avvento della Varroa, sono aumentati gli studi nei confronti degli oli essenziali, soprattutto perché hanno dimostrato efficacia anche nei confronti del nuovo acaro.Varroasi
Si tratta di una pericolosissima malattia che colpisce sia la covata che gli adulti; viene trattata a questo punto perché è causata da un’altro acaro, Varroa destructor, specie appartenente alla famiglia Varroidae.
La Varroa destructor in origine era parassita dell’Apis cerana, alla quale non arreca particolari danni, in quanto si riproduce prevalentemente a spese della covata maschile, riuscendo così a convivere, anche grazie a particolari comportamenti di pulizia messi in atto dalle operaie.
L’occasione che ha consentito alla specie di passare sull Apis mellifera è stata offerta negli anni ’40, quando api europee furono introdotte in Asia Sud-Orientale per aumentare la produzione di miele.Eziologia e ciclo biologico
La V.destructor, a differenza di Acarapis woodi, è di dimensioni piuttosto cospicue e le femmine sono facilmente distinguibili ad occhio nudo. Sono di color bruno-rossiccio, di forma ellissoidale ed appiattita, a prima vista si potrebbero confondere con la Baula coeca, dalla quale si distinguono per avere quattro paia di zampe invece che tre e per aver il corpo più largo che lungo.
L’acaro possiede un apparato boccale pungente-succhiatore e si comporta da ectoparassita per tutta la durata della sua vita, sia a spese della covata sia a spese degli adulti.
V. destructor è caratterizzata da un notevole dimorfismo sessuale, i maschi sono bianchi-grigiastri più piccoli delle femmine e di forma più allungata.Essi muoiono entro pochi giorni dalla nascita, di solito più o meno al momento dello sfarfallamento delle api. I maschi adulti non possono assumere cibo in quanto le loro appendici boccali sono trasformati in organi atti al trasferimento delle spermatofore, contenenti gli spermatozoi, nelle vie genitali delle femmine.
Il ciclo biologico della varroa è sincronizzato con quello delle api. Quando le femmine sono prive di covata le varroe femmine svernano sul corpo delle operaie, normalmente infossate tra le lamine centrali dei segmenti dell’addome. Possono rimanere in questa situazione anche per sei mesi, in attesa che nell’alveare ricompaia la covata. Quando in primavera riprende l’allevamento di covata da parte delle api, anche le varroe riprendono il loro ciclo riproduttivo, ma non lo fanno all’improvviso, sembra invece che la ripresa sia estremamente graduale.
La riproduzione avviene esclusivamente all’interno della covata opercolata. Le femmine adulte penetrano all’interno delle celle contenenti larve di apri prossime all’opercolazione, quando le larve hanno 6-9 giorni se femminili, 7-10 se maschili. Qui, protette dall’opercolo nel frattempo apposto dalle operaie, si nutrono sul corpo dell’ape in via di sviluppo e depongono le uova.
Le varroe, figlie e vecchie fondatrici, abbandonano le celle attaccate al corpo delle api che sfarfallano. Le varroe possono compiere fino a 7 cicli riproduttivi, dopo di che muoiono di vecchiaia, tuttavia la maggior parte depone solo una volta e la percentuale che depongono tre volte è già molto bassa.Dinamica della popolazione di Varroa
Ipotizzando che un ciclo riproduttivo completo si compia mediamente in 17 giorni (5 giorni sulle api adulte e 12 entro la covata femminile o 3 giorni sulle api adulte e 14 giorni entro la covata maschile), durante la stagione riproduttiva (circa 7 mesi) si possono concludere circa 12 cicli.
E’ stato calcolato che gli acari che si sviluppano in celle da operaia hanno un coefficiente di moltiplicazione pari a 1.3, quelli che si sviluppano in cella da fuco di 2.6; in assenza di fattori limitanti, teoricamente una varroa presente all’uscita dell’inverno si moltiplicherà secondo il seguente schema:Come si è detto lo schema è teorico, in quanto occorre tener conto della mortalità naturale delle varroe, delle possibilità che a volte non venga depositato l’uovo maschile, ecc..
Ci si rende dunque chiaramente conto che la dinamica di sviluppo della popolazione di varroa è enormemente variabile. Se da un lato si può affermare in maniera semplicistica che mediamente la popolazione raddoppia mensilmente, dall’altro, per la complessità dei fattori in gioco, è assolutamente impossibile prevedere a priori la dinamica dello sviluppo di una popolazione nel singolo alveare.Rapporto varroa-ospite
La varroa si muove e riesce a riprodursi nell’alveare molto agevolmente pur essendo cieca. Oltre alle vibrazioni, essa utilizza principalmente l’analisi degli “odori” dell’alveare per essere guidata nei suoi spostamenti e nelle sue attività.
Prima di tutto l’acaro ha bisogno di riconoscere e distinguere le api adulte a seconda delle loro funzione all’interno dell’alveare. Le nutrici sono di fondamentale importanza, perché sono utilizzate dalla varroa come autobus per raggiungere la covata di età idonea ad essere parassitata.Effetti della parassitizzazione sulle api
E’ stato stimato che per ogni femmina di Varroa presente durante lo sviluppo dell’ape l’ospite perda il 3% dell’acqua del suo corpo. Ciò significa che mediamente il peso di api nascenti infestate da Varroa risulta ridotto dal 6.3 al 25%.
Le api parassitate emergono con più bassi livelli di concentrazione di proteine nella testa e nell’addome , dell’ordine del 20% e con più bassa concentrazione di carboidrati nell’addome. La concentrazione di lipidi non sembra invece alterata dalla presenza di varroa.
In queste condizioni l’aspettativa di vita delle api è ridotta del 50%. Tuttavia ciò non è sufficiente a spiegare l’alta mortalità ed il collasso che inevitabilmente sopraggiunge ad un alveare poco tempo dopo l’arrivo della Varroa.
L’8.5% delle api nascenti mostra deformazioni, ma tale valore è funzione del numero di acari presente nelle celle. Api con deformità evidenti quali riduzione di taglia, atrofia dell’addome, malformazione del pungiglione, delle ali e e delle zampe, nonché riduzione e disfunzione di svariate ghiandole sono comunque rinvenibili in tutti i livelli di parassitizzazione e ciò fa presumere che altri fattori possano essere coinvolti.
Acari posti su api contenenti nell’emolinfa un marcatore radioattivo acquistano il marcatore in 24 ore. E’ stato così possibile calcolare che ogni femmina adulta consuma 0.67mg di emolinfa in 24 ore.
In primavera le api parassitate presentano una riduzione degli emociti del 30% e un tenore di acidi nucleici nei tessuti muscolari significativamente ridotto.
Esse presentano anche nell’emolinfa un numero doppio di batteri rispetto ad api non parassitate.
E’ stato dimostrato che il marcatore radioattivo viene ritrasmesso alle api sulle quali l’acaro si va successivamente a nutrire, a conferma che la varroa è un importante vettore di patogeni per le api.L’infestazione da varroa può avere riflessi anche sul sistema immunitario dell’ape, col risultato di una più bassa capacità di difesa, che rende le api maggiormente suscettibili a svariati patogeni. Anche sui fuchi si verifica una diminuzione di peso proporzionale al numero di acari presenti nella cella. In taluni casi si può assistere alla nascita di mini fuchi dalla funzionalità assai dubbia. E’ stato verificato che i fuchi nati da celle parassitate non sono quasi mai presenti nelle zone di fecondazione, hanno un’attività di volo ridotta e meno sperma rispetto ai fuchi non parassitatati.
Sindrome da acari
La presenza costante della varroa può condurre a quella che è stata definita “sindrome da acari”. Questa sindrome sembra in qualche modo associata alla trasmissione da parte degli acari di diversi virus. Essa può risultare devastante per la colonia. Sia le api adulte che la covata possono risultarne colpite. Alcune dei sintomi associati alla sindrome, che possono manifestarsi in qualsiasi periodo dell’anno, ma con maggior frequenza in tarda estate sono i seguenti:
Nelle api adulte:- riduzione della popolazione;
- api con evidenti difficoltà di volo che lasciano l’alveare strisciando;
- sostituzione della regina;
- presenza anche di acari tracheali;
- api che lasciano in massa l’alveare anche in autunno inoltrato o inizio inverno.
Nella covata:
- covata irregolare;
- sintomatologia simile a peste europea, peste americana, covata a sacco (questi sintomi possono sparire a seguito di trattamento con acaricida);
- alcune larve risultano fuori posto nella celletta, altre liquefatte sul fondo della stessa;
- presenza di larve di color bruno, come nei primi stadi della peste americana, che però non presentano viscosità;
- in alcuni casi è osservabile la formazione di scaglie friabili e facilmente asportabili.
Nessun odore tipico è associato alla sindrome e all’esame al microscopio le larve colpite non presentano particolare flora microbica. Particolarmente insidioso è il periodo in cui le api cessano di allevare covata maschile, che fino a quel momento ha attirato la maggioranza delle varroe.
Contagio
Parlare oggi di contagio è anacronistico, in quanto la malattia è endemica nel nostro territorio e capillarmente diffusa.
Gli acari si trasferiscono da apiario ad apiario e da un alveare all’altro tramite derive, saccheggi, trasferimento di fuchi, commercio di regine e sciami, raccolta di sciami, nomadismo, ecc..
Anche le operazioni apistiche possono contribuire al trasferimento di acari da una famiglia all’altra, mentre non costituiscono fonte di contagio i prodotti delle api e le attrezzature apistiche, dal momento che in assenza di api le varroe muoiono nel giro di poco tempo.
Gli alveari, anche se trattati, in determinate condizioni di vicinato od in presenza di saccheggio possono re infestarsi in maniera massiccia. Tale fenomeno risulta molto più consistente nel periodo autunnale e in certi casi in quello invernale con famiglie che vanno a saccheggiarne altre morenti o morte. La re infestazione risulta invece minima nel periodo primaverile.Valutazione del grado di infestazione
Non è più neanche un ricordo il momento in cui, nei primi anni, la malattia era di difficile diagnosi. Oggi il livello di presenza degli acari è talmente alto che un’attenta osservazione delle api adulte permette di individuarne diversi.
E’ invece tutt’ora molto importante valutare il grado di infestazione, perché da questo, in funzione al periodo dell’anno, può dipendere il futuro delle famiglie.
Se in primavera/inizio estate disopercolando una decina di celle da fuco se ne trovano più di tre infestate da varroa, il livello di infestazione comincia ad essere preoccupante.
Anche la valutazione della caduta naturale è in qualche modo d’aiuto. Si calcola che moltiplicando per 100 la media degli acari caduti giornalmente fornisca una stima attendibile del numero delle varroe presenti nell’alveare.
Se in primavera/inizio estate si raggiunge una media di caduta superiore ai 5 acari al giorno il livello di infestazione è già pericoloso, in quanto 500-600 acari in questo periodo dell’anno condurranno ad un’infestazione autunnale insostenibile per la famiglia.
Più avanti nella stagione si dovrà intervenire al raggiungimento di una caduta media giornaliera di circa 10 varroe.
Per valutare il grado di caduta naturale, ma anche l’efficacia di un trattamento chimico, sono molto utili e pratiche le arnie con fondo a cassetto.Mantenere un basso livello di presenza della varroa minimizza molti problemi, è quindi importante provvedere alla disinfestazione quando si rende necessaria, indipendentemente dal periodo dell’anno. E’ invece uso consolidato di molti apicoltori attendere fino all’apporto di nettare per togliere melari e trattare le api, spesso all’ultimo momento.
Questo modo di operare, che porta sovente ad intervenire su famiglie in precarie condizioni, può avere gravi ripercussioni l’anno successivo. In primavera, se avranno superato l’inverno, ci si troverà di fronte a famiglie deboli, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Per poter arrivare con buona tranquillità alla fine della stagione è indispensabile partire a primavera con un numero molto basso di acari (meno di 10). Successivamente, ad ogni visita, da metà anno in poi, dovrebbe essere effettuata una valutazione approssimativa del livello di infestazione in maniera da poter intervenire tempestivamente in caso di pericolo.Profilassi e cura
Dal momento che come abbiamo visto, la malattia è endemica in tutto il territorio nazionale e presente in tutti gli apiari, occorre rassegnarsi all’idea di doverci convivere, contrastandola con appropriati mezzi, chimici, manipolativi e biologici.
I metodi per combattere questo acaro si sono sviluppati nel tempo e si stanno evolvendo continuamente, occorrerebbe troppo tempo ad illustrarli tutti, quindi per questa volta ci limiteremo a dire che esistono trattamenti chimici, trattamenti meccanici e trattamenti biologici.
(Provvederò a fare un’ulteriore post più avanti con tutti i mezzi più diffusi per la lotta alla varroa)Nosemiasi
La nosemiasi è una delle 5 malattie contagiose la cui denuncia, in base all’attuale legislazione, è obbligatoria.
E’ particolarmente diffusa nell’Europa settentrionale e centrale, in Italia, forse grazie al suo clima poco favorevole alla malattia, finora non era molto diffusa, attualmente invece, forse a causa del diffondersi della varroa, sta conoscendo un periodo di recrudescenza.Eziologia e caratteristiche
L’agente eziologico della malattia è un protozoo (animale unicellulare), il Nosema apis, che vive e si moltiplica a spese delle cellule epiteliali del mesointestino (stomaco) delle api adulte.
Non vengono invece mai colpiti gli stadi preimmaginali.Il Nosema trova condiziono ottimali di sviluppo a temperature comprese tra i 28 e i 35°C, non sopporta temperature superiori ai 37°C.
In condizioni ideali compie il suo ciclo evolutivo in 3 o 4 giorni, alla fine del quale si trasforma in spora, forma di resistenza e propagazione.
Quando le spore, ingerite con il cibo, giungono nel lime intestinale di un’ape adulta, germinano e danno origine ad una forma ameboide che penetra nelle cellule della parete mesointestinale dove si sviluppa, si evolve e si moltiplica nutrendosi del citoplasma cellulare. Alla fine si formano delle giovani spore che in breve tempo divengono mature.
Data la rapidità di moltiplicazione del parassita che invade un numero sempre maggiore di cellule, in breve tempo tutto il tessuto attaccato risulta infarcito di spore.
Man mano che l’epitelio mesointestinale viene rinnovato le spore vengono riversate nel lume dell’intestino e da qui espulse con le feci.
Giunte all’esterno possono venir ingerite da altre api e il ciclo si chiude.Sulla resistenza delle spore le opinioni non sono concordi, in generale si può affermare che si conservano tanto più a lungo quanto più la temperatura è bassa e, secondo le condizioni, possono vivere da alcuni giorni a cinque anni.
In una famiglia colpita da nosemiasi ogni ape può essere portatrice di circa 4 milioni di spore. Il naturale ricambio delle api aiuta a contenere o eliminare il livello di infestazione, in quanto le nuove nate non risultano soggette agli alti livelli di infestazione presenti nell’alveare, tuttavia il ricambio di api non è sufficiente a eliminare infestazioni superiori ai 4 milioni di spore per ape.
In presenza di malattia solo al dieta con miele migliora i sintomi, mentre la nutrizione con altre sostanze zuccherine li peggiora.Sintomi e diagnosi
L’azione del germe patogeno, pur colpendo solo l’intestino delle api adulte, si ripercuote su tutto l’alveare. All’inizio della malattia le api possono essere ancora attive, ma ben presto la loro attività rallenta e compaiono disturbi intestinali, a volte stitichezza, ma più spesso diarrea; le giovani nutrice colpite diventano incapaci, o quasi, di secernere la pappa reale, le bottinatrici svolgono un’attività inferiore fino a cessarle completamente; se si ammala anche la regina la deposizione di uova decresce fino a cessare nei casi più gravi.
Nosema causa alle giovani api colpite un precoce comportamento di bottinamento. Le api infette mostrano un più alto titolo di ormone giovanile nell’emolinfa. In aggiunta alla mortalità di api indotta dal patogeno questo può portare ad una carenza di nutrici e a difficoltà del normale sviluppo delle famiglie.Ben presto le api colpite non possono più volare, si trascinano davanti all’arnia, si riuniscono in piccoli gruppi, tremano, proseguono la loro esistenza oramai paralizzate ed infine muoiono con le zampe rinchiuse sotto il torace.
Tutti i sintomi che sono stati descritti tuttavia non sono sufficienti a caratterizzare con sicurezza la malattia. Solo la ricerca delle spore al microscopio nell’intestino medio o negli escrementi permette di diagnosticare la malattia con sicurezza.Contagio
La nosemiasi si propaga all’interno dell’alveare attraverso gli escrementi delle prime api ammalante che contaminano per via orale tutta la popolazione.
La diffusione da alveare ad alveare e da apiario ad apiario può avvenire attraverso la deriva delle operaie, i cambiamenti di arnia dei maschi, il saccheggio, l’alimentazione con miele contaminato, l’impiego di materiali o di attrezzi infetti, ecc..Prognosi e lotta
La nosemiasi è una malattia che pur essendo causata da un agente patogeno ben individuato è condizionata da numerosi fattori esterni, tra i quali il clima e l’andamento stagionale rivestono un ruolo preminente. Nelle zone temperate la malattia si manifesta di solito a fine inverno e raggiunge il massimo in aprile-maggio per regredire drasticamente in luglio-agosto e poi ripresentarsi con una certa recrudescenza in autunno. Il parassita trova condizioni favorevoli di sviluppo quando la stagione è cattiva e le api hanno difficoltà a reperire nettare e polline.
Peste americana
È la più diffusa e grave malattia della covata e fra quelle la cui denuncia è obbligatoria.
Eziologia
La peste americana è causata da un batterio sporigeno, il Paenibacillus larvae.
Dalla spora, in ambiente idoneo, si rigenera il batterio che, in condizioni ottimali, è in gradi di riprodursi in circa 30 minuti. Potenzialmente da un solo microbo, in 24 ore se ne possono formare 250 milioni e durante il ciclo di sviluppo all’interno di una singola larva se ne formano diverse migliaia di miliardi.
Le spore sono rivestite da una membrana particolarmente resistente che le protegge dalle avversità ambientali. Nei favi vecchi possono mantenersi vitali per almeno 30 anni.
Le spore per germoliare necessitano di un ambiente semi-aerobico che trovano nell’apparato digerente delle giovani larve, infatti le larve delle api, fino a 25 ore della nascita, sono il principale bersaglio del paenibacillus larvae. Le larve colpite muoiono immediatamente e debbono trascorrere 7 giorni prima che la larva risulti manifestamente ammalata, quando cioè è già stata opercolata.
Al sopraggiungere della morte della larva i batteri si trasformano in spore.
Per le larve delle api si stima che la DL50 (il quantitativo che causa la morte del 50% delle larve) del plarvae sia pari a 38 spore. Tuttavia, mentre sono sufficienti 10 spore per infettare larve di età inferiore alle 24 ore, ne occorrono più di 10 milioni per infettare larve di 4-5 giorni di età.Sintomi
Identificare i sintomi della covata colpita da peste americana significa comparare eventuali anormalità con gli aspetti caratteristici della covata sana, pertanto per diagnosticare la peste americana è importante conoscere il normale processo di sviluppo delle larve.
Normalmente non vi sono sintomi visibili fino a che la larva non muore, poco prima o poco dopo la trasformazione in pupa, cioè normalmente dopo l’opercolazione.
Il primo sintomo osservabile è normalmente un cambio di colore dell’opercolo, che può assumere una colorazione più scura, fino ad apparire quasi nero. Le celle infette risultano anche leggermente umide, quasi oleose in apparenza, e caratterizzate da leggere depressione al centro.
Percependo anormalità nella cella le api cominciano a rosicchiare l’opercolo per rimuoverne il contenuto. Questi fori hanno una forma più irregolare rispetto alle celle in fase di opercolazione e non ancora terminare e anche rispetto alle celle in cui la giovane ape comincia ad uscire.
I sintomi della peste americana si trovano generalmente sulle larve di operaia, in rare occasioni sui fuchi, mai nelle celle reali.Le larve infette da peste americana si trovano generalmente sdraiate lungo la parete inferiore della cella. Larve infette non possono essere trovate nella posizione a C tipica delle larve più giovani, dal momento che il patogeno non uccide la larva prima che questa si sia sdraiata lungo la parete.
Le pupe morte di peste americana presentano la caratteristica di avere la ligula estroflessa e prominente verso l’alto.
Larve e pupe infette da peste americana hanno un odore tipico definito, simile alla colla da falegname o di pesce morto.
Larve e pupe infette da peste americana manifestano in genere un’elevata viscosità. La viscosità della larva può essere individuata semplicemente inserendo uno stuzzicadenti nelle celle, se al momento dell’estrazione si forma un filamento di alcuni centimetri di color nocciola che, rompendosi, rientra elasticamente all’interno della cella, con ogni probabilità ci troviamo di fronte a questa malattia.Profilassi e lotta
Purtroppo il solo metodo a tutt’oggi sicuramente in grado di controllare la malattia consiste nella soppressione delle famiglie colpite. Dispiace enormemente sopprimere le proprie api, come pure veder sopprimere quelle degli altri, ma occorre convincersi che si tratta del male minore, in quanto in tal modo aumenteranno le possibilità di salvare quelle ancora sane e di salvaguardare l’intero patrimonio apistico della zone.
Tutte le api ed i favi contenenti covata di una famiglia colpita debbono essere distrutti mediante incenerimento. I restanti favi, le arnie ed i loro accessori, se sono ancora in buono stato, potranno essere sterilizzati. In caso contrario converrà distruggere l’intero alveare.Peste europea
Per anni non si è stati certi sulla natura del microrganismo causa della malattia. Oggi si sa che la peste europea e causata da Mellissococcus pluton, un batterio non sporogeno, che all’osservazione al microscopio si presenta isolato, a coppie, in catenelle di varia lunghezza od in ammassi caratteristici.
Pur non essendo in grado di formare spore è abbastanza resistente alle avversità ambientali. Può resistere circa un anno all’essiccamento, nel polline si conserva vitale per alcuni mesi e resiste almeno una ventina di ore all’azione diretta dei raggi del solari. Pur non essendo sporiglio, nei favi conservati in magazzino può rimanere vitale per diversi anni.
La sede di riproduzione è l’intestino delle larve di qualunque tipo, dove trovano un ambiente ricco di anidride carbonica. Le larve si infettano per via orale con l’assunzione di cibo. Generalmente il contagio avviene nei primi 4 giorni di vita e le larve giungono a morte prima dell’opercolatura; solo nei casi più gravi le larve si possono contagiare successivamente al quarto giorno di vita ed allora muoiono dopo che le celle sono state opercolate ed è possibile rilevare opercoli inscuriti, depressi e forati, come nel caso della peste americana.
Frequentemente però le larve non muoiono, ed i batteri sono scaricati alla base delle celle, dove possono rimanere vitali per anni. Le larve infette che sopravvivono restano più piccole e possono essere eliminate alle operaie, unitamente a quelle morte.Sintomi
Una caratteristica importante ed utile per riconoscere questa malattia consiste nel fatto che le larve colpite spesso cambiano posizione ed invece di restare coricate su un fianco, a forma di C ed aderenti al fondo delle celle, si possono contorcere a spirale, allungare sul fianco, ripiegarsi a ponte mostrando verso l’alto della cella il dorso oppure le estremità.
Le larve colpite precocemente in 2 o 3 giorni arrivano a morte. Inizialmente si forma una piccola macchia gialla vicino al capo che via via si estende lungo il dorso. Le larve perdono poi il loro riflesso bianco-bluastro madreperlaceo per diventare dapprima bianco opaco, poi giallastre ed infine giallo deciso.Dopo la morte la larva si inscurisce e si decompone, trasformandosi in una sostanza molle color cioccolata che, a differenza delle larve colpite da peste americana, non è ne viscosa ne filante. Questa massa seccandosi forma una scaglia di color ruggine scuro simile a quella della peste americana ma, a differenza di quest’ultima, facilmente asportabile dalle api.
La covata si presenta nel suo insieme non compatta, con celle opercolate e aperte contenenti larve morte. Emana odori di varia intensità che possono essere di due tipo sostanzialmente diversi, secondo i batteri presenti: acido o putrescente.
Quando la malattia non è molto sviluppata le api, specialmente quelle di razza ligustica, molto attive nella pulizia dei favi, possono riuscire a ripulire tutte le celle e la malattia può regredire spontaneamente fino a scomparire.Profilassi e cura
La miglior profilassi per questa malattia, come in generale per tutte le malattie delle api, consiste nel mantenere le famiglie popolose e forti, curando che non restino mai senza provviste, polline compreso, proteggendole possibilmente dagli eccessivi sbalzi di temperatura. E’ inoltre molto importante evitare in ogni modo di introdurre in alveari sani materiale contagiante.
Anche per la peste europea, come per le altre malattie della covata, è fondamentale compiere un’accurata visita primaverile in modo da riscontrare il più presto possibile l’insorgenza della malattia.
Quando si riscontrano famiglie colpite da tale patologia, soprattutto se deboli o ci si trova in autunno, converrà senz’altro distruggerle. Se la malattia attacca famiglie particolarmente forti è possibile tentare la cura con due metodi totalmente diversi. Uno fa ricorso all’uso di antibiotici, l’altro, ricorrendo a particolari tecniche apistiche, si basa sull’interruzione della covata.Patologie secondarie
Esistono tantissime altre patologie che possono colpire le nostre api, ma occorrerebbe creare una documentazione apposita poiché sarebbe una strada infinita da intraprendere.
Per lo scopo che ci siamo prefissati, ovvero di dare un’infarinatura generale, le patologie trattate sono più che sufficienti e anche le maggiormente diffuse nel nostro territorio. -
Feb 09 2014 Api regine e pappa reale – Lezione 6
In questa lezione del corso, la penultima, l’argomento trattato è “api regione e pappa reale”. Sono due argomenti strettamente legati che possono, se si decide di intraprendere questa attività, integrare il reddito di un’azienda apistica. Per conoscere gli altri prodotti dell’alveare potete trovarli nella precedente lezione.
Perché allevare delle regine??
L’allevamento delle api regine consente di lavorare in modo da poter perseguire diversi obiettivi, tra i quali:
- pratici e quantitativi da una parte come:
- aumentare rapidamente il numero delle colonie;
- rinnovare regolarmente tutte le regine ogni due anni;
- risolvere, rapidamente, i diversi problemi che regolarmente si ripresentano come: colonie orfane, regine non soddisfacenti o fucaiole, ecc;
- qualitativi dall’altra, per la selezione delle madri che permette di ottenere:
- famiglie omogenee;
- un miglioramento nelle caratteristiche delle colonie: oltre alla produzione, migliorare la resistenza alle malattie e l’adattamento all’ambiente circostante;
Perché le api sciamano??
Il comportamento naturale per la riproduzione di una colonia d’api è la sciamatura. Seguendo tale istinto naturale, possono generarsi una, due o più famiglie.
La sciamatura delle api + provocata dall’indebolimento nella percezione del feromone reale (mezzo di comunicazione della regina con l’insieme della colonia tramite le api della corte che la leccano).
Nella realtà, sono due i feromoni secreti dalla regina che sono all’origine dell’unità famigliare. Uno di questi feromoni (tradotto in senso di gusto), impedisce la costruzione di celle reali naturali e non fa sviluppare gli ovari delle operaie. L’altro, (senso dell’olfatto) assicura la coesione della colonia. Ad esempio, quando la regina invecchia, la produzione di feromoni diminuisce e la sua presenza diventa sempre meno percepibile dalle api stesse che, ben presto, la sostituiranno.L’aumento della popolazione d’api in primavera, accompagnato dall’apporto di nettare, provoca il blocco della deposizione, contribuisce a rompere l’equilibrio tra la quantità di feromoni emessi e la popolosità della famiglia.
Tutto questo, combinato ad un periodo di super abbondanza di raccolto, origina il fenomeno della sciamatura.
Le migliori regine nascono in questi periodi perché sono scelte per la perennità della specie e così, si è cercando di riprodurre artificialmente le condizioni che si verificano in tali occasioni.L’allevamento delle regine provocato
Se la sciamatura naturale delle colonie origina le migliori regine, presenta però anche enormi difficoltà di gestione.
D’altra parte, l’utilizzo delle regine nate in periodi di sciamatura, conduce ad un fenomeno di selezione di “api regine con forte propensione alla sciamatura”. Per eliminare questi problemi, l’unica strada che può essere seguita è quella che conduce all’allevamento reale provocato.
Provocare un allevamento reale significa scegliere una famiglia d’api, farle allevare celle reali (senza che questa abbia avuto intenzioni proprie), e poi organizzarsi in modo da poter disporre di celle reali a maturità quando se ne ha bisogno.
Di fondamentale importanza è il ricordare che:- la presenza di fuchi è condizione essenziale per un allevamento di regine;
- la maturità dei fuchi è più lenta di quella della regina;
Di conseguenza, per una migliore programmazione del nostro allevamento, sarà necessario operare in modo da poter disporre di fuchi maturi al momento voluto. Questo si rivelerà tuttavia un metodo che ci permetterà di guadagnare alcune settimane rispetto al tempo necessario per la normale fecondazione naturale.
Si procederà in questo modo: all’inizio dell stagione, all’interno delle arnie forti in precedenza selezionate, si introducono 30 giorni prima della data programmata per i primi traslarvi, uno o due telai con celle da fuco (già fatti lavorare l’anno precedente) e si stimola l’arnia con uno sciroppo proteico.
Teoricamente, un favo di fuchi n può far nascere in media 3000 che consentono la fecondazione di 200 regine all’incirca.
In natura, le colonie con regina producono dai 1500 ai 2000 fuchi. In generale, si stimano necessarie 5 famiglie che allevano fuchi per 100 nuclei di fecondazione.
Le colonie orfane mantengono in genere grandi quantità di fuchi.
Ne periodi in cui mancano i fuchi, si può trarre profitto da tale fenomeno andando ad inserire nelle colonie orfane i telai da fuchi allevati. Occorrerà però settimanalmente inserire della covata da operaia.
Questa “banca di fuchi” verrà nutrita con del candito proteico.La selezione
È una priorità per l’allevamento delle api regine.
Selezionare significa modificare mediamente, nel corso delle generazioni che si succedono, dei caratteri trasmissibili quantificati. Proprio per questo è necessario lavorare su linee genetiche diverse, provenienti da zone geograficamente diverse e verificare che le caratteristiche che si vogliono trasmettere si mantengano con passaggio di generazione in generazione.Metodi di allevamento
Sono utilizzati in tutto il mondo tantissimi metodi di allevamento differenti, sarebbe impensabile di spiegarli tutti in questa lezione. Per questo motivo si è scelto di descrivervi e farvi presente ai metodi maggiormente utilizzati.
Starters (iniziatori)
Gli starters vengono usati per fare iniziare l’allevamento delle celle reali prima di passarle ai finisher (finitori).
Le larve innestate vengono affidate per 24 ore alle cure di colonie orfane molto popolate di api giovani e con abbondanti scorte alimentari. Questo metodo assicura una buona accettazione e d un numero costante di celle reali disponibili.In genere, i finitori hanno dimostrato una buna accettazione e il ricorso agli starter è limitato. Questi ultimi vengono in genere usati all’inizio della stagione quando i finitori non hanno ancora acquistato il “riflesso d’allevare”, o quando si presentano momenti critici per l’accettazione come nei periodi caldi e secchi o, al contrario, troppo freschi e umidi.
Sistema “Americano”: Swarm box
Consiste in una cassa con rete su tutti i lati e fondo, al cui interno vengono scossi telai di api giovani (le nutrici che si trovano sui favi di covata) in modo di avere da 5 a 6 kg di api.
Al di sopra viene agganciato il corpo di un’altra cassa dove sono stati sistemati in precedenza 5 favi di miele e polline. Si mettono in comunicazione i due corpi di cassa: le api saliranno a poco a poco verso i telai posti sulla parte superiore.
Dopo circa due ore di orfanità viene portato e aperto nel luogo dell’allevamento e gli verranno date 224 larve (quattro porta stecche con quattro stecche di 14 cupolini). Sarà assolutamente necessario nutrirli con acqua e zucchero.
Dopo 24 ore, si procederà togliendo le prime celle allevate e si rimetteranno nello swarm box una nuova serie di 84 larve. Al terzo giorno 56 larve.
In seguito, le api saranno oramai troppo vecchie e potranno essere destinate alla popolazione dei nuclei di fecondazione. Questo sistema, però, non è utilizzato spesso in quanto presenta delle difficoltà di gestione delle api finali ed in alcuni casi fornisce risultati troppo aleatori.Sistema semplice con cassettino portasciami da 5 favi
In piccole arnie, con il fondo a rete, si mettono due favi, uno di polline e l’altro di miele. All’interno si scuotono 4 favi di covata presi da colonie nelle quali è stata localizzata la regina.
Durante la scossa le bottinatrici prendono il volo, mentre all’interno rimangono soprattutto le giovani api nutrici.Trasportata sul posto dell’allevamento, l’arnietta abbondantemente popolata può ricevere gli innesti di 42 larve (1 porta stecche con tre stecche da 14 cupolini).
Il risultato di questo sistema è ottimo e regolare, si può contare su un’accettazione superiore al 95%.Traslarvi (metodo Doolittle)
Per un allevamento su grande scala, il metodo più conveniente consiste nel trasferire una larva d’operaia, nata da mendo di 12 ore, in una cella da regina in modo da farla allevare come tale.
L’uovo d’ape ha una misura di circa 1,5 mm e quando si schiude, la larva che nasce è ancora più piccola.
E’ però ben visibile sul fondo della cella, perché posta su di una sostanza (pappa real) che luccica.
Il traslarvo è fatto utilizzando i “picking” americani che permettono, con un po d’abitudine e delicatezza di prelevare la larva dal suo bagno di pappa reale senza rovinarla.I traslarvi vengono operati in cupolini di plastica, costituiti da tre elementi che, incastrandosi, semplificano la preparazione, la riunione e la raccolta delle celle reali.
L’età della larva innestata è molto importante perché la “castrazione nutrizionale” avviene già dal terzo giorno dalla schiusa dell’uovo e, quindi, la composizione della pappa reali somministrata alla futura regina sarà diversa da quella data alla futura operaia.
Più giovane sarà la larva, più ci troveremo vicini alle condizioni naturali d’allevamento d’api regine naturali.Finitori
Dopo 24 ore passate all’interno dello starter, le larve verranno introdotte nei finitori, vale a dire all’interno di colonie che le alleveranno fino alla maturità o fino all’opercolatura.
Se la selezione delle madri è basilare, non bisogna dimenticare l’importanza delle allevatrici che condizioneranno il futuro della regina che dovrà essere nutrita al meglio. Le colonie di allevatrici dovranno essere forti, con una regina dell’anno, mansuete e dovranno tenere bene il favo.
Per ogni colonia bisognerò controllare, durante l’allevamento, l’accettazione e la qualità delle celle reali.
Le allevatrici che danno poco pappa reale e che costruiscono piccole celle devono essere sostituite.
La prima accettazione delle larve innestate con il traslarvo è in genere deludente. A partire invece dalla seconda, l’accettazione va migliorando perché la colonia acquista un “riflesso per l’allevamento”.I finitori maggiormente utilizzati sono del tipo verticale e non necessitano di particolari materiali; le allevatrici possono essere scelte tra le colonie a secondo della loro qualità. Per organizzare un finitore si prelevano dalla colonia, scelta in precedenza, due favi di covata opercolata coperta di api e un favo di miele e polline. All’inizio della stagione le notti sono fredde e le api tendono a ridiscendere. E’ per questa ragione che, generalmente, il materiale utilizzato per il primo allevamento deve provenire da alveari esterni.
Si mettono i favi all’interno del corpo di un alveare e si scuotono 2 favi di api giovani. Dopo aver riorganizzato al colonia con una regina, vi si posa sopra un’escludi regina e si sovrappone la famiglia orfana.
In mezzo ai due favi di covata verrà messo il porta stecche con nutritore nel quale saranno inserite le stecche. Le api dei due corpi comunicheranno attraverso l’escludi regina. Il nutritore messo sul coprifavo permetterà di nutrire l’allevamento con candito proteico.
Ogni 10-15 giorni, la parte superiore orfana verrà riorganizzata: si rimetteranno 2 favi di covata, in modo da avere a disposizione in continuazione una grande quantità di api nutrici.
Il finitore, dopo 24 ore dalla sua costituzione, potrà ricevere i primi traslarvi o le celle già accettate dallo starter.Nuclei di fecondazione
In Italia non esistono nuclei di fecondazione standard. Quelli utilizzati sono piuttosto vari, dai portasciami da 5/6 telai, a quelli da mezzo telaio da melario. In genere, ogni allevatore ha il suo personalizzato.
Il loro impiego è soprattutto legato al fatto di consentire una diminuzione dei costi di gestione.
Negli ultimi anni, in Italia, sono apparsi diversi tipo di mini-nuclei che sono stati provati e sperimentati consentendo di arrivare alla conclusione che possono perfettamente funzionare nella nostra regione, e che non esiste alcuna regione per cui si possa pensare che le regine in essi fecondate siano di qualità inferiore.Il loro utilizzo porta, inoltre ad una specializzazione degli allevamento, in quanto buona resa dipendere dalla rigorosa periodicità delle operazione che su di essi devono essere eseguite e dalla perfetta conoscenza degli equilibri che regolano la piccola famiglia nei diversi periodi stagionali.
Formazione dei mini-nuclei – Primo sistema
Prevede un procedimento analogo a quello della formazione degli startes: in apiario si scuotono 8/10 telai di api giovani in un cassettino del tipo portasciame da 5 favi, avente la rete sui lati.
Il tutto viene portato in azienda e “lavato” in modo da bagnare completamente le api. Così fatto, si procederà raccogliendo comodamente le api con un bicchiere. Solitamente un cassettino formato con questo metodo permetto di popolare circa 25 mini-nuclei.Con le operazioni si procede come segue:
- si mettono negli appositi contenitori 200/300 grammi di candito
- si introduce la cella reale di 10/11 giorni od una regina vergine
- si mettono le api
- prima di essere aperto, il mini-nucleo chiuso, viene tenuto in un luogo buio e fresco per un periodo che va dalle 24 alle 48 ore.
Formazione dei mini-nuclei – Secondo sistema
Si porta in azienda il pacco d’api fatto come descritto in precedenza e lo si mette all’interno di una camera scura e fredda (8°C). Qualche ora dopo, si addormentano utilizzando anidride carbonica, disponendo in questo modo di circa 10 minuti per manipolare le api addormentate.
Le operazioni di cui si è parlato possono apparire semplici, ma occorre apprestare la massima attenzione ad ogni particolare in questa fase poiché si rischia di uccidere l’intero pacco d’api.
I mini-nuclei, così costituiti, saranno sistemati in un luogo scuro e freddo per 24-48 ore, ed aperti successivamente nel posto in cui dovrà avvenire la fecondazione.
Dopo 12 giorni dalla nascita, le regine avranno deposto una quantità di uova sufficienti a garantire la continuità della mini-colonia, a quel punto dovranno essere raccolte e introdotta una nuova cella reale.Raccolta, marcatura ed ingabbiamento delle api regina
Generalmente la cella reale viene introdotta nel nucleo di fecondazione un giorno prima della sua nascita. Sul suo coperchio si segna la data di nascita e la sigla che indica la regina madre.
La regina compie il suo volo nuziale tra il 4 e il 7 giorno di vita, inizia a deporre verso il 9/10 giorno. La sua fecondità viene verificata al 12/13 giorno e, solo dopo questo controllo, si passa alla raccolta.
La valutazione sulla deposizione si baserà su di un giudizio di merito: vengono eliminate le regine che depongono in modo irregolare e che hanno malformazioni fisiche.
Dopo la verifica si passa alla raccolta e alla marcatura.
Quest’ultima consiste nell’apporre un punto di vernice colorata sul torace della stessa. I colori di marcatura, in base ad un accordo internazionale, cambiano di anno in anno e sono blu, bianco, giallo, rosso e verde. La sequenza si ripete ogni 5 anni.La marcatura è fatta al fine di poter conoscere, in ogni momento, l’età della regina e per renderla più visibile quando è in mezzo alle altre api.
La vernice usata è di tipo acrilico.
Una volta marcata, la regina viene introdotta nella gabbietta con le accompagnatrici.Le gabbiette devono avere precise caratteristiche: innanzi tutto essere in grado di assicurare la vitalità delle api che ospitano, anche nel caso di lunghi viaggi. Quelle standard, usate per le spedizioni, garantiscono areazione e la giusta umidità; sono inoltre costituite da un parte in legno sulla quale viene posta una rete metallica. Una loro parte è destinata per contenere il candito.
Tecniche di sostituzione delle regine
Non esiste un metodo infallibile e le variabili che possono ostacolare l’accettazione son infinite. Questo significa che è difficile proporre il miglio metodo. Pertanto, qui si potranno riportare solo le esperienze ritenute interessanti:
- Formazione di uno sciame con regina feconda senza covata: si costituisce uno sciame con due favi di polline e miele ricoperte di api e si introduce simultaneamente una regina ingabbiata. La percentuale d’accettazione si è sempre rivelata buona.
- Introduzione diretta utilizzando pappa reale: dopo aver tolto la vecchia regina, si può immediatamente introdurre la nuova senza gabbietta bagnandola con pappa reale fresca. Questa tecnica può essere usata anche nel caso di famiglie orfane o fucaiole senza dover distruggere le celle reali presenti.
- Introduzione sotto rete su covata nascente.
- Introduzione di celle reali aperte (al quarto giorno dopo l’innesto)
Pappa reale
La produzione di pappa reale è poco diffusa fra gli apicoltori italiani. Il ridotto sviluppo del settore va imputato, oltre che alla scarsa conoscenza degli aspetti tecnici, alla presenza
sul mercato di prodotto proveniente dalla Cina ad un prezzo estremamente competitivo.
Recentemente, però, si è osservato un crescente interesse per la pappa reale italiana incentivato da una maggiore informazione riguardo la scarsa qualità del prodotto cinese, il quale talora non rispetta i requisiti merceologici e sanitari.Le nuove potenzialità commerciali hanno spinto alcuni apicoltori a dare vita ad un’associazione, il COPAIT, il cui obiettivo è la diffusione e valorizzazione della pappa reale italiana. L’espansione di questa attività, infatti, si basa sulla divulgazione delle conoscenze riguardo le caratteristiche del prodotto, le tecniche produttive e i suoi risultati economici.
Caratteristiche e proprietà
La pappa (o gelatina) reale, a differenza di propoli e miele, che sono una rielaborazione di essenze vegetali, è una sostanza di esclusiva origine animale. Viene secreta dalle ghiandole ipofaringee e mandibolari dalle api operaie di età compresa tra 5 e 14 giorni per nutrire tutte le larve nei primi tre giorni di vita.
Quando le api decidono di allevare una nuova regina, nutrono la larva per tutto il suo ciclo con la pappa reale e continuano a fornirgliela anche durante tutta la vita allo stadio di insetto. Grazie a questo alimento la regina sviluppa l’apparto riproduttore e può vivere fino a 5-6 anni, contrariamente alle api operaie la cui vita è di pochi mesi.
Queste eccezionali proprietà hanno portato l’uomo a considerarla come un possibile alimento, scoprendone i numerosi benefici. Sono molte le proprietà riconosciute alla pappa reale, anche se le caratteristiche dei suoi componenti non bastano a spiegarne gli effetti sull’organismo; si ritiene, infatti, che questi siano dovuti a qualche sostanza non ancora identificata o al naturale equilibrio e all’effetto sinergico dei diversi elementi. La pappa reale esercita un’azione di stimolo sull’intero organismo che si traduce in una sensazione di benessere psico-fisico, una maggiore resistenza alla fatica fisica e intellettuale e un aumento dell’appetito. Per queste caratteristiche è particolarmente adatta per bambini, anziani, sportivi, studenti e persone soggette a stati di stress. La dose consigliata è di 250 mg al giorno, da assumere al mattino (di sera l’euforia che trasmette può dare una lieve insonnia) e a digiuno, tenendola preferibilmente sotto la lingua, in modo da facilitarne l’assimilazione.La pappa reale è una sostanza semifluida, omogenea e gelatinosa, di colore biancastro tendente al beige. Il sapore è acido e l’odore pungente.
Uno dei circa 30 acidi grassi, il 10-HDA, è contenuto esclusivamente nella pappa reale ed esercita un’attività antibatterica e antitumorale; nel tempo la sua concentrazione diminuisce rapidamente per cui è possibile giovarsi delle sue proprietà solo consumando il prodotto fresco. Il 2,8% del contenuto della pappa reale è ancora sconosciuto, ed è questa la ragione per la quale non si è in grado di produrla industrialmente.
La pappa reale, data la composizione chimica e l’elevato contenuto di acqua, non si conserva facilmente: teme l’ossigeno, la luce e l’attacco di muffe. L’umidità rappresenta un importante indicatore di qualità: se è inferiore al 64% il prodotto è vecchio o mal conservato, se è superiore al 68% vi è un elevato rischio di sofisticazione.
Va conservata in frigo, ad una temperatura tra 0 e 5 °C, e durante il trasporto va sempre mantenuta la catena del freddo; con queste precauzioni si può conservare fino a 18 mesi senza che perda le sue caratteristiche. Per evitare il contatto con aria e luce, la gelatina viene sigillata in sacchetti di alluminio plastificato per alimenti. Per la vendita al minuto viene confezionata in flaconi da 10 g chiusi con un tappo ermetico e posti all’interno di un contenitore in polistirolo insieme alla palettina dosatrice.Descrizione del processo produttivo
La pappa reale che viene raccolta è contenuta esclusivamente nelle celle reali, in quanto quella che si trova nelle celle per api operaie o fuchi ha una diversa composizione. Quindi, per ottenere il prodotto, è necessario che la famiglia allevi nuove regine, situazione che si verifica nel periodo della sciamatura o in caso di orfanità. Essendo la sciamatura un fenomeno limitato alla stagione primaverile, la tecnica di produzione è basata sulla creazione di una permanente condizione di orfanità.
Non esiste una sola tecnica per produrre pappa reale: di seguito viene descritta quella più diffusa fra i soci del COPAIT e che da questi viene indicata a quanti intendono intraprendere questa attività.
Ogni unità produttiva è composta da due arnie a 6 favi sovrapposte e separate da un escludi regina il cui scopo è mantenere la regina nell’arnia inferiore; le api operaie
presenti nell’arnia superiore, percependo l’assenza della regina, vengono stimolate ad allevarne di nuove.Per produrre un elevato quantitativo di gelatina è necessario che siano garantiti il nutrimento e le opportune condizioni ambientali all’interno dell’alveare e che la famiglia sia numerosa e composta di molte api nutrici; a questo scopo è necessario eseguire ogni 6-9 giorni la rimonta, operazione che consiste nel togliere un favo con covata fresca dall’arnia inferiore e inserirlo nella parte orfana in cui si produce la pappa reale in modo da assicurare il necessario ricambio di giovani api.
La nutrizione, che va curata con attenzione in quanto incide sul dinamismo e, di conseguenza, sulla produttività della famiglia, deve prevedere una parte zuccherina ed una proteica; la prima viene generalmente assicurata con miele o zucchero, la seconda con polline. La quantità da somministrare va ben dosata, poiché il nutrimento deve essere completamente consumato e non stoccato nei favi, situazione che andrebbe a ridurre lo spazio per la deposizione e quindi il numero di api all’interno dell’alveare.Innesto delle larve
Le api che si trovano nell’arnia superiore allevano le nuove regine dalle giovani larve che l’apicoltore vi inserisce. Queste vengono posizionate all’interno di cupolini artificiali, di plastica o di cera, montati su delle stecche che a loro volta sono inserite in un telaio detto portastecche. Nella parte superiore di questo telaio è ricavato un nutritore che, nel momento in cui si inseriscono le stecche innestate, viene cosparso con una soluzione zuccherina che ne aumenta l’accettazione da parte delle api.
Le larve da inserire nei cupolini vengono estratte dai favi contenenti covata fresca; questi non vanno prelevati dalle arnie in cui si trovano famiglie in produzione, ma da altre destinate specificamente a questo scopo.
Prelevato il numero opportuno di favi, l’apicoltore si reca in laboratorio dove inizia l’innesto delle larve nei cupolini (traslarvo). Per questa operazione è necessario un leggio,
che tiene il favo nella giusta posizione, una lampada e una lente di ingrandimento per meglio individuare le larve da innestare. Lo strumento con il quale si effettua il traslarvo è il cosiddetto “picking cinese” il quale consente di prelevare la larva dal favo, con la gelatina che si trova sul fondo della cella, e di depositarla sul fondo del cupolino.È questa una fase critica del processo in quanto da essa dipende il risultato produttivo; infatti, se le larve vengono posizionate male sul fondo del cupolino o accidentalmente uccise, le api non le accetteranno e non inseriranno nei relativi cupolini la gelatina per allevarle.
Le stecche con i cupolini innestati vengono poste in una cassettina ricoperta da un panno umido per garantire la sopravvivenza delle larve; raggiunto un numero sufficiente vengono portate in apiario e posizionate sui telai portastecche. Questi vengono inseriti al centro dell’arnia superiore, poiché questa è la zona più calda che, anche in caso di abbassamenti termici, non viene mai abbandonata dalle api.
Quando si opera con un elevato di unità produttive è opportuno non preparare tutte le stecche contemporaneamente, in quanto l’allungarsi dei tempi nei quali le larve permangono all’esterno dell’alveare comporta un incremento della loro mortalità.
L’esecuzione del traslarvo in tempi successivi incrementa notevolmente gli spostamenti fra il laboratorio e l’apiario, ciò richiede che i due luoghi di lavoro si trovino poco distanti e
che entrambi siano facilmente raggiungibili.Estrazione della pappa reale
Trascorse 72 ore dall’inserimento delle stecche, periodo durante il quale le api hanno riconosciuto le giovani larve e hanno depositato nei cupolini la gelatina per allevare nuove regine, i telai portastecche vengono estratti dall’arnia.
Le stecche, tolte dal telaio, vengono portate in laboratorio. La prima operazione consiste nel rimuovere, con un taglierino riscaldato, la cera che le api hanno iniziato a depositare per opercolare i cupolini. Operazione successiva è l’estrazione delle larve per la quale viene utilizzato lo stesso impianto che si impiega per aspirare la gelatina, a cui viene applicato un convogliatore d’aria. Il getto viene passato sulla stecca, in modo da aspirare tutte le larve in pochi secondi
e lasciare la pappa reale pronta per il prelievo.
L’impianto di aspirazione con il quale la pappa reale viene prelevata dai cupolini e raccolta in un contenitore è costituito da una pompa pneumatica alla quale è collegato un filtro che trattiene le impurità presenti nella gelatina.
La pappa reale viene quindi confezionata in sacchetti da 1 kg, per la vendita all’ingrosso, o in barattolini da 10 g, nel caso sia destinata alla vendita al dettaglio, e conservata al fresco. - pratici e quantitativi da una parte come:
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Gen 31 2014 Miele e prodotti dell’alveare – Lezione 5
In questa lezione l’argomento trattato è “miele e prodotti dell’alveare”. Dopo aver visto nelle lezioni precedenti (che potete trovare qui) il come le api producono, in questa lezione ci concentreremo sul cosa.
Che cosa è il miele??
Abbiamo visto come il miele venga prodotto dalle api a partire dal nettare e dalla melata. Subito dopo la sunzione delle materie prime, già durante il viaggio di ritorno, all’interno delle borsa melarica inizia la trasformazione in miele mediante l’aggiunta di enzimi da parte dell’apparato digerente delle api.
Le bottinatrici appena rientrate nell’alveare rigurgitano il contenuto della loro borsa melarica alle api di casa che provvedono a manipolarlo, vi aggiungono ulteriori enzimi e dopo diversi passaggi lo sistemano nelle celle dove subisce una concentrazione.
In un primo tempo l’evaporazione dell’acqua viene favorita attivamente dalle api che risucchiano e poi stendono la gocciolina di liquido ripetutamente, successivamente, e per diversi giorni, il miele perde parte dell’acqua che contiene passivamente per evaporazione, favorita dalla ventilazione forzata delle api, fino a raggiungere una concentrazione superiore al 80%.Miele
Definizione legale
Alla luce di quanto finora affermato risulta alquanto problematico definire che cos’è il miele, secondo la definizione che figura nella legge n. 753 del 12/10/1982:
Il miele è il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare.
Composizione
La composizione del miele risulta alquanto variabile dipendendo da numerosissimi fattori: specie bottinate, natura del suolo, andamento climatico, razza di api, stato fisiologico delle colonia, tecniche apistiche impiegate, ecc.
Nella tabella riportata di seguito è riportata la composizione media dei mieli italiani secondo i risultati di un’indagine svolta su 980 campioni di miele prodotti dal 1970 al 1977, condotta dall’Istituto Nazionale d’Apicoltura di Bologna e dall’Istituto Sperimentale di Zoologia Agraria di Roma.In altri termini si può affermare che il miele è composto principalmente di: acqua, zuccheri, acidi, sali minerali, sostanze azotate ed enzimi.
Acqua
Il contenuto in acqua può variare notevolmente in funzione del grado di maturazione, dell’origine botanica, delle condizioni atmosferiche ed ambientali, delle condizioni di conservazione, ecc.
E’ una delle caratteristiche più importanti del miele perché ne condiziona il peso specifico, la cristallizzazione e soprattutto la conservabilità e quindi, in ultima analisi, la qualità.
Il miele viene normalmente opercolato dalle api quando contiene il 17-18% di acqua, ma a volte il valore può aumentare fino al 21% ed in questi casi si possono facilmente verificare fenomeni fermentativi.
Il miele può variare il suo contenuto in acqua anche dopo l’estrazione, aumentandolo se conservato in contenitori non ermetici in luogo umido o diminuendolo se sottoposto a particolari trattamenti.
E’ possibile risalire al grado di umidità dalla misurazione della densità oppure dell’indice di rifrazione.Zuccheri
Gli zuccheri o carboidrati sono senza dubbio i componenti principali del miele, essi infatti possono rappresentare fino al 95-99% della sostanza secca del miele. Oltre che per valore alimentare gli zuccheri sono importanti per la determinazione di numerose proprietà fisiche del miele: consistenza, viscosità ed igroscopicità.
Circa il 90% degli zuccheri totali contenuti nel miele è rappresentato da due zuccheri semplici, glucosio e fruttosio.
Essi sono normalmente presenti in percentuali simili anche se frequentemente prevale leggermente il fruttosio sul glucosio.Acidi
Tutti i mieli presentano una reazione acida con valori di pH compresi tra 3.2 e 4.5. Tale acidità è dovuta alla presenza di acidi organici, inorganici e lattoni. Quello presente in maggior quantità, l’acido gluconico, deriva per reazione enzimatica dal glucosio. L’origine degli altri acidi è ancora incerta.
Proprietà fisiche
Il miele presenta numerose proprietà fisiche, in larga misura legate alla sua composizione chimica. Esse sono importanti sia per le analisi in laboratorio sia perché concorrono a determinare le caratteristiche organolettiche, importanti per il consumatore.
Colore
Il colore del miele può variare dal bianco al nero, passando attraverso varie tonalità del giallo e dell’ambra, a volte con riflessi sul verde e sul rosso.
Numerosissime e non ancora tutte note sono le sostanze che concorrono alla formazione del colore del miele. Spesso influisce più o meno direttamente anche l’apicoltore coi procedimenti di produzione e conservazione. In generale si può affermare che con la conservazione la tonalità del colore spesso tende ad aumentare.
A seconda delle nazioni vi sono vari metodi per determinare il colore. In generale viene confrontato il colore del miele con quello di un vetro di colore standard.Cristallizzazione
Il miele appena estratto si può considerare una soluzione soprassatura di acqua e vari zuccheri, come tale è instabile e tende col tempo a raggiungere una stabilità liberando il soluto in eccesso sotto forma di cristalli.
Il glucosio è meno solubile in acqua del fruttosio e quindi è lo zucchero maggiormente interessato al processo di cristallizzazione.
Mieli con elevate percentuali di fruttosio cristallizzano lentamente o non cristallizzano affatto.
La cristallizzazione può avvenire a temperature comprese tra i 5 e i 25 °C, con un massimo di velocità attorno ai 14 °C.Indice di rifrazione
L’indice di rifrazione è una proprietà propria di tutte le sostanze in grado di farsi attraversare dalla luce. Quando un raggio di luce attraversa la linea di separazione fra l’aria ed una determinata sostanza subisce una deviazione, caratteristica di ogni sostanza. Se la sostanza è un soluzione il suo indice di rifrazione varia tra l’indice del solvente e quelle del soluto. Nel caso del miele quindi, che come avviamo visto si può considerare una soluzione di zuccheri e acqua, l’indice di rifrazione diviene una funzione del contenuto di acqua ed è tanto maggiore quanto più basso è in tenore in acqua. Tale indice viene quindi comunemente utilizzato per determinare la percentuale di acqua nel miele.
Densità
La densità di una determinata sostanza viene espressa dal suo peso per unità di volume (peso specifico). Per il miele, a 20 °C, essa è compresa tra 1.39 e 1.44, vale a dire che un litro di miele pesa dai 1390 ai 1440 grammi circa. Siccome la densità dell’acqua, uguale a 1, è molto inferiore, maggiore è la sua percentuale minore è la densità del miele. Dalla misura della densità quindi è possibile risalire con una certa approssimazione al tenore in acqua del miele. Esiste uno strumento, il densimetro, che immerso nel miele liquido affonda parzialmente, nel punto in cui l’apparecchio galleggia una scala graduata ci indica la densità.
Viscosità
Il miele, in fase liquida, è un fluido molto viscoso.
Tale viscosità dipende dal contenuto in acqua, dalla composizione chimica e dalla temperatura.
Nelle operazioni di condizionamento del miele è molto importante che la viscosità sia ridotta al minimo per agevolare al massimo le varie operazioni, non potendo agire sulla composizione chimica e sul contenuto in acqua è possibile agire solamente sulla temperatura.Smielatura
La smielatura vera e propria deve essere effettuata in un locale idoneo, che rispetti le più elementari norme igieniche, ove non siano state riposte sostanze che possano inquinarlo.
Per coloro che producono miele non per esclusivo uso personale, ma per il commercio vi sono precise disposizioni di legge da rispettare (verranno trattati nell’ultima lezione di questo corso).
Innanzitutto occorre eliminare gli opercoli posti nelle celle contenenti il miele maturo, per far ciò si usano appositi coltelli o forchette.
I favi vanno posti su di una specie di leggio sotto il quale vi è un capace recipiente in grado di raccogliere in una griglia gli opercoli e far scolare il miele ad essi aderente nel piano sottostante.Col coltello si agisce preferibilmente avanti e indietro e dal basso verso l’alto. Se il coltello non è riscaldato elettricamente è bene immergerlo periodicamente in acqua calda per favorire il distacco degli opercoli.
Il miele che inevitabilmente resta aderente agli opercoli può essere recuperato per sgocciolamento o per spremitura con appositi torchi.
A questo punto il miele è pronto per essere estratto. I favi vanno introdotti nello smielatore e si inizia la certificazione.
Occorre rammentare che se si utilizza uno smielatore tangenziale o semi radiale occorre iniziare la rotazione molto lentamente, proseguire per poco tempo a bassa velocità, poi occorre rivoltare i favi, iniziare sempre dolcemente, centrifugare al massimo dei giri e rivoltarli nuovamente per terminare il lato opposto.
Terminata la smielatura i favi sono pronti per essere riutilizzati. Se si è effettuato l’ultimo prelievo della stagione, prima di riporre i favi in magazzino è utile ricollocarli per qualche tempo sulle arnie perchè le api li ripuliscano dal miele residuo.Estrazione
Una volta estratto il miele dai favi secondo i metodi appena visti, si immette in un capace contenitore, il decantatore. Già all’uscita dallo smielatore è bene separare, mediante un setaccio a maglie larghe, i corpi estranei di maggiori dimensioni.
Al momento dell’immissione nel decantatore è bene passare il miele ad un setaccio molto più fine.
Nel decantatore, che deve essere di acciaio inossidabile, plastica per alimenti oppure, se di altro materiale, trattato con resine vetrificanti per alimenti, il miele dovrà riposare da alcuni giorni a qualche settimana, a seconda della temperatura e della viscosità, per permettere ad eventuali corpi estranei ancora presenti di separarsi, quelli più pesanti sul fondo, quelli più leggeri in superficie.
Il miele andrà quindi schiumato per eliminare le particelle risalite alla superficie, dopo di che sarà pronto per l’invasamento.
La sosta nel decantatore è utile anche per ristabilire l’equilibrio interno che il miele ha perso dopo essere stato “sfribrato” dalla centrifugazione.Contenitori
Per le sue proprietà idroscopiche il miele, tranne non venga conservato in ambiente molto secco, tene ad assumere umidità dall’aria, quindi va conservato in contenitori ermetici. Inoltre, per la sua reazione acida, è in grado di attaccare molti metalli, di conseguenza occorre prestare attenzione ai contenitori ove viene immagazzinato. Sicuramente il materiale migliore per contenere il miele è l’acciaio inossidabile per alimenti.
Invasettamento
Dovendo invasettare piccoli quantitativi di miele non occorre nessuna attrezzatura particolare. E’ sufficiente collocare il tino ove si è posto il miele a decantare almeno a 50 cm dal suolo. Il tino deve essere munito di un ampio rubinetto a taglio oppure a sfera sotto il quale si collocherà il vaso da riempire. Il vaso va mantenuto il più possibile vicino al rubinetto per ridurre al minimo la possibilità che durante il travaso il miele incorpori aria.
Conservazione
Il miele, pur essendo una sostanza che se raccolta al momento opportuno e trattata con le giuste tecnologia si conserva a lungo con facilità, va incontro a dei processi di invecchiamento naturali, tanto più rapidi quanto maggiore è la temperatura a cui è sottoposto.
Per questo deve essere conservato in un luogo fresco, asciutto, buio e primo di odori estranei. Di regola è consigliabile non protrarre la conservazione a temperatura ambiente per più di due anni. L’eccessiva invecchiamento riduce il quantitativo degli enzimi presenti nel miele, il potere antibiotico e le vitamine, aumenta l’intensità del colore ed il contenuto idrossimetilfurfurale e provoca una perdita di sostante volatili responsabili dell’aroma.Difetti di cristallizzazione
Quando il miele cristallizza troppo lentamente abbiamo visto che può separarsi in due fasi, una solida ed una liquida. Tale processo non si deve confondere con la fermentazione, dove la parte liquida diviene di color scuso e più fluida. A volte la parte liquida resta frammista a quella solida conferendo una spetto granuloso alla massa.
Questi difetti, oltre ad alterare l’aspetto e le caratteristiche organolettriche del miele, lo deprezzano, ed aumentano il rischio di fermentazione.
A volte il miele, pur cristallizzato in maniera compatta, presenta delle striature a contatto con la parete del vaso. Queste striature sono provocate dallo scostamento del miele dalla parete dovuto alla contrazione della massa durante la cristallizzazione.
Esse non provocano alcuna alterazione del miele e si riducono quindi ad un semplice fattore estetico, spesso non apprezzato dal consumatore che non ne conosce la causa.Il polline
Abbiamo già visto che cos’è il polline e come e perché venga raccolto dalle api. Come avviene per il miele, anche una parte del polline raccolto dalle api può essere loro sottratto per impiegarlo nell’alimentazione umana, tuttavia mentre il miele risulta essere un elaborato delle api a partire da sostanze zuccherine raccolte nell’ambiente, il polline è un prodotto completamente vegetale, che le api si limitano a raccogliere sui fiori ed ad addizionare con minime quantità di saliva e nettare, tali praticamente da non modificarne la composizione chimica.
Raccolta
Nella generalità dei casi il polline viene sottratto alle api con speciali trappole al moneto del rientro nell’alveare, al ritorno dalla raccolta. Sono stati fatti anche esperimenti sulla possibilità della raccolta del polline direttamente dai favi ma per ora questa tecnica non ha dato risultati apprezzabili.
Esistono numerosi modelli di trappole, tutte riconducibili a tre categorie fondamentali: le trappole da entrata poste davanti all’apertura di volo abituale, le trappole inferiori poste sotto al nido al posto del fondo dell’arnia e le trappole soffitta inserite al posto della soffitta sul nido.
Nei primi due tipi l’entrata della api avviene dal basso come se le trappole non ci fossero, con la trappola da soffitta, la normale apertura di volo viene chiusa e le bottinatrici, dopo una prima fase di disorientamento, scoprono l’apertura posta in alto ed in mendo di una giornata acquistano l’abitudine di entrare ed uscire dall’alto.Principio di funzionamento
Il principio su cui si basano le trappole per polline è quello di costringere le api ad attraversare una griglia provvisoria di fori calibrati in modo tale da permettere il passaggio delle api, ma di provocare il distacco di una certa percentuale delle palline appese ai cestelli delle zampe posteriori.
Le griglie possono essere verticali ed orizzontali, di plastica o di metallo, con fori circolari, esagonali, quadrati od a stella.
Le griglie non consentono il passaggio dei maschi i quali, se non si intervenire, sono destinati a morire all’interno dell’arnia.Usi e proprietà
Trattandosi di un elemento vivo delle piante, nel polline sono contenute quasi tutte le sostanze necessarie allo sviluppo ed alla crescita di un organismo. Infatti per esplicare la sua opera di fecondazione deve germinare, subendo delle divisioni cellulari. Durante questa sue breve vita autonoma ha bisogno, per poter continuare a vivere, di riserve, e queste sono costituite principalmente da aminoacidi liberi (a parità di peso, il polline contiene aminoacidi da 5 a 7 volte in più rispetto alla carne di bue, alle uova e la formaggio.
Per la sua particolare composizione, il consumo del polline è consigliabile in tutta una serie di casi. In particolare può essere considerato un ottimo ricostituente generale soprattutto nei casi di magrezza ostinata e deperimento organico dovuto ad anoressia; nel contempo non fa ingrassare l’individuo normale poichè l’aumento dell’appetito è controbilanciato dall’aumento del metabolismo.
Inoltre ha tantissime altre possibili usi che non verranno trattati in questa lezione.La cera
La cera, come la pappa reale, è una sostanza interamente di origine animale che le api producono come materiale da costruzione. Si tratta di una sostanza grassa secreta dalle ghiandole sericere funzionanti nelle giovani api operaie di età compresa tra i 10 e i 16 giorni. Essa viene emessa sotto forma di goccioline che si rapprendono in scaglie fra i segmenti dell’addome. Viene poi lavorata con le mandibole dalle api, addizionata a piccole quantità di polline e propoli ed utilizzata per le costruzioni delle api.
Un tempo, con la diffusione di arnie rustiche e con la pratica dell’apicidio, la cera rappresentava un’importante risorsa per l’apicoltore. Oggi, col reimpiego dei favi dopo l’estrazione del miele ed il riutilizzo della cera mediante l’uso dei fogli cerei, la produzione di cera è quasi in equilibrio coi bisogni degli apicoltore o li sorpassa di poco, mente non basta più nel caso l’apicoltore si dedichi alla produzione di sciami.Produzione
In pratica la cera oggi prodotta si riduce a quella ottenuta dalla fusione degli opercoli, che forniscono da 1 a 1.5 kg di cera ogni 100hg di miele estratto, e dei favi rotti, deformati o vecchi.
Nel complesso la cera prodotta in Italia, se si sommano i consumi degli apicoltori e quelli dell’industria, non soddisfa le esigenze nazionali e quindi si è costretti ad importarla in parte dall’estero.
Normalmente per estrarre la cera si usano le sceratrici solari. Tuttavia mentre è possibile estrarre completamente la cera dagli opercoli, ciò non è possibile per i vecchi favi o per quelli deteriorati in quanto le sostanze estranee presenti si comportano come spugne assorbendo la cera fusa e rendendone libera solo una parte.
La cera fusa dalla fusione degli opercoli è molto pi chiara, contiene meno impurità e di solito spunta dei prezzi più elevati. La cera non ha grossi problemi di conservazione se si esclude la possibilità di poter essere attaccata dalla tarma piccola della cera.Usi e proprietà
Un tempo la cera d’api veniva utilizzata per moltissimi impieghi: per illuminazione, nella scultura e nella pittura, nella scrittura, nelle arti magiche, nelle pratiche religiose, nella medicina, ecc.
Oggi in molti casi è stata soppiantata da altre sostanze più economiche come paraffina, plastica, cere vegetali e minerali, ecc.
Attualmente il principale uso della cera è il suo riutilizzo da parte degli apicoltori per la fabbricazione dei fogli cerei. Sovente la cera non viene venduta, ma semplicemente data da lavorare a ditte specializzate che la restituiscono all’apicoltore sotto forma di fogli cerei, dietro un compenso per la lavorazione.
Oltre che per tale impiego la cera viene utilizzata dall’industria per operazione di filatura, in alcuni prodotti dentari, in cere per lucidare i mobili, nella preparazione di lucidi per scarpe, ecc.
Ma è soprattutto in campo farmaceutico e cosmetico che la cera d’api ha ancora numerose applicazioni, anche se c’è la tendenza ad usare sempre più cere artificiali.Propoli
Per anni ha rappresentato un inconveniente per l’apicoltore a causa del lavoro necessario per eliminarla dalla parti che debbono rimanere mobili. Da qualche anno invece la scoperta o, se vogliamo, la riscoperta delle numerose proprietà di questa sostanza ha reso economicamente valida la sua raccolta.
Produzione
È possibile produrre propoli in due modi completamente diversi: limitandosi a raccogliere quella che le api depositano spontaneamente dentro l’arnia oppure stimolandole a produrne appositamente.
Raccolta naturale
Abbiamo visto che le api depositano propoli un pò ovunque all’interno dell’arnia, in particolare lungo gli spigoli, le fessure, nei punto di appoggio dei telaini, fra arnia e soffitta, sul fondo, ecc. E’ quindi possibile, anzi a volte necessario, raccoglier e parte di questa propoli con un raschietto. La propoli raccolta in questo modo contiene grosse quantità di cera, frammenti di legno, parti di api ed ogni sorta di oggetti estranei. Con la raschiatura si ottengono pochi pezzi di notevoli dimensioni, e molti di medie e piccole dimensioni.
Per poter ottenere la massima valorizzazione del prodotto occorre quindi, prima di metterlo in vendita, procedere ad un’accurata pulizia ed alla separazione delle varie pezzature.Raccolta artificiale
E’ possibile stimolare le api a raccogliere propoli ed a depositarla su di un substrato ove risulti facile la sua raccolta.
Per effettuare questo tipo di produzione innanzitutto è opportuno individuare quelle famiglie che dimostrano di essere buone produttrici di propoli.
Si predispone poi un telaio delle dimensioni della soffitta e vi si stende sopra una rete a maglie di circa 2mm. Il telaio così predisposto si colloca al posto della soffitta, e le api procederanno velocemente all’otturazione dei fori per rendere di nuovo la parte superiore dell’arnia ermetica.
Per separare poi la propoli dalla rete occorre raffreddarla, ad esempio mettendola qualche ora nel frigorifero in modo da renderla fragile, successivamente, se si è usato una rete metallica, si procede al distacco della propoli mediante raschiatura, se si è usato una rete di nylon si può distaccarla flettendo la rete in più direzioni.
La propoli così ottenuta è assolutamente pura e priva di corpi estranei ed ha un valore commerciale superiore a quella per raschiatura, anche se essendo stata meno lavorata dalle api può avere minore valore biologico.Usi e proprietà
La complessa composizione della propoli gli conferisce proprietà di impiego che possono essere separate in due settori ben distinti: uno tecnologico ed uno medico-biologico.
Applicazioni tecnologiche
L’uso tecnologico più comune consiste nella preparazione di vernici. Molto probabilmente la famosa vernice utilizzata dai liutai di Cremona del ‘700 era a base di propoli raccolta dalla api nei dintorni di quella città, ed ancora oggi la propoli è utilizzata da questi artigiani.
E’ possibile preparare delle vernici a base di propoli sciogliendola in alcool etilico e filtrando la soluzione ottenuta. Tale vernice preserva il legno e conferisce un bel colore giallo-oro al ferro bianco preservandolo dalla ruggine.Applicazioni medico-biologiche
La propoli possiede numerose proprietà che giustificano la sua applicazione in questo campo, in particolare presenta le seguenti attività:
- Antiossidane e antirrancidente: tale proprietà potrebbe essere sfruttata nella conservazione degli alimenti in sostituzione degli attuali conservanti di sintesi;
- Antibiotiche: tale proprietà è dovuta all’azione di numerose sostanze, fra cui sicuramente l’acido benzoico, l’acido cinnamico ed alcuni flavonoidi;
- Antimicotica: probabilmente contribuiscono a determinare tale proprietà la presenza di acido caffeico e di flavoidi;
- Antivirale: i principi attivi contro i virus secondo Pecchiai sono contenuti nella frazione idrosolubile, tale azione sarebbe stata messa in evidenza su virus influenzali e virus delle piante;
- Anestetizzante: tale azione, molto spiccata, viene messa in relazione col contenuto in pinocembrina e fenalacidi;
- Cicatrizzante: tale attività è stata messa in evidenza sia sugli animali che sull’uomo e si manifesta con un’azione stimolante la rigenerazione dei tessuti;
- Immunostimolante: estratti di propoli stimolano l’immunogenesi e sono incorso ricerche sulla possibile azione inibente la crescita delle cellule tumorali;
- Vasoprotettiva: riduce la permeabilità e la fragilità dei capillari, tale attività è probabilmente da attribuire ai flavonoidi, un tempo chiamato vitamina della permeabilità capillare.
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Gen 26 2014 Impollinazione delle colture – Lezione 4
L’argomento che è stato trattato nella terza lezione del corso è “impollinazione delle colture” agricole e preparazione dei nuclei a tale servizio.
È una lezione molto diversa dalle altre poichè l’attenzione per la maggior parte del tempo è focalizzata su molti aspetti che non riguardano direttamente l’ape, detto questo serve a conoscere un’altro aspetto poco conosciuto (almeno per quello che mi riguarda) dell’apicoltura che tornerà utile qualora lo si volesse mettere in pratica.
Impollinazione
Come sapete le api non producono solo i prodotti che gli apicoltori raccolgono come miele, propoli, cera, polline e veleno ma la loro compito più grande è quello dell’impollinazione.
Questo servizio viene effettuato in maniera del tutto inconsapevole dalle api che, attratte dal nettare che i fiori producono, si ricoprono di polline e volando da una pianta all’altra mischiano tali particelle permettendo la fecondazione.
E’ stato dimostrato che un’ape, sul proprio corpo, può trasportare circa 1 Milione di granuli pollinici, questo poichè ha il corpo ricoperto i peli.
Questo servizio, oltre che molto utile alla natura, può essere una fonte di reddito per l’apicoltore.Carattere della fertilità
Si intende la capacità che hanno i fiori di allegare e produrre i frutti.
Ad un esame più attento si capisce che il carattere della fertilità è un carattere complesso che raggruppa due fattori:- Fattori genetici
- Fattori agronomici
A loro volta interagenti con l’ambiente di coltivazione.
Una volta che noi conosciamo i fattori genetici che in qualche maniera possono coinvolgere le specie frutticole possiamo in qualche modo condizionare i fattori agronomici.Fattori genetici
La sterilità morfologica, in questo caso succede che il fiore è imperfetto, non presenta la parte maschile o la parte femminile.
Autocompatibilita, che è un fattore genetico che non crea grossi problemi, ovvero che la pianta può autofecondarsi, ma il fattore genetico più importante, che ci aiuta a comprendere meglio l’importanza del servizio di impollinazione, è l’autoincompatibilità.
Questo significa che nonostante che il fiore sia ermafrodita, cioè presenta sia la parte maschile che la parte femminile, il polline del medesimo fiore non può fecondare la pianta.
Ecco che allora per ottenere la fecondazione è necessario che su alcune varietà di alcune specie si posino pollini di altre piante.Fattori agronomici
I fattori agronomici che interferiscono con la fertilità sono diversi: ad esempio il portainnesto.
Il fattore più importante è “scelta di consociazione varietale intercompatibili”, ovvero la scelta dei giusti impollinatori.
L’impollinazione può essere ritenuto un fattore agronomico e permette di far aumentare la fertilità.Preparazione degli alveari al servizio di impollinazione
È bene che gli alveari che vorremo destinare a tale servizio siano preventivamente preparati per sfruttare la massima efficienza di ogni nucleo.
Per prima cosa occorre disporre di famiglie che hanno una regina valida prima dell’invernamento, così da essere sicuri che una volta che partirà lo sviluppo tali regine riescano a mantenere il giusto ritmo di ovo-deposizione e mantengano la famiglia il più numerosa possibile.
Occorre anche condizionare gli alveari che saranno destinati a tale servizio, ovvero almeno 40 giorni prima della fioritura si inizia con una nutrizione stimolante a base di candito.Regole per un buon servizio di impollinazione
- Valutazione del giusto carico di alveari a ettaro;
- Epoca di introduzione degli alveari nel campo;
- Distribuzione degli alveari nell’appezzamento;
- Corretta ubicazione nei confronti della luce;
- Sfalciatura delle piante spontanee presenti nell’appezzamento e nelle immediate vicinanze;
- Valutazione del numero di piante autosterili o intersterili presenti;
- Valutazione dell’entità e della disposizione degli eventuali tendoni antigrandine
- Valutazione delle distanze e dello stato vegetativo delle piante da impollinare ed epoca di fioritura delle cultivar.
Coltura sulle quali si effettua il servizio di impollinazione
Le colture sulle quali si effettua il servizio di impollinazione si suddividono in: fruttiferi, foraggere da seme, orticole da seme e orticole.
Fruttiferi
Nel gruppo delle coltivazioni fruttifere troviamo:
albicocco, castagno, ciliegio, mandorlo, melo, pero, pesco, susino, kaki, kiwi, lampone e mirtillo.Foraggere da seme
In questo gruppo invece troviamo:
erba medica, favini, ginestrino, lupinella, trifoglio violetto e veccia.Orticole da seme
Il gruppo comprende:
aglio, asparago, bietola, broccolo, carota, cavolo bruxelles, cavolo cappuccio, cavolo, verza, cetriolo, cipolla, cocomero, melone, pastinaca, porro, prezzemolo, ravanello, sedano, zucca, zucchino, melanzana e peperone.Come si possono proteggere le api?
Quando si effettua il servizio di impollinazione può succedere che le api siano avvelenate per vari motivi.
Per cercare di proteggere i nuclei è opportuno che l’agricoltore sia a conoscenza del fatto che le sue azioni possono portare ad una moria delle api che sono state portare per il servizio di impollinazione.
L’agricoltore inoltre DEVE avvertire preventivamente gli apicoltori nell’eventualità che si debbano applicare trattamenti insetticidi.
Adottare i moderni sistemi di lotta integrata o biologica è un’ulteriore modo per proteggere le api che vengono portate per effettuare tale servizio.
L’aspetto più importante da tenere presente è quello di non distribuire mai dei prodotti fastidiosi o mortali per le api quando il fiore della propria cultura è aperto. -
Gen 20 2014 Buone pratiche apistiche – Lezione 3
Ciao a tutti,
eccoci con il secondo appuntamento settimanale, anche se in ritardo, della lezione tenuta il 16 gennaio, dall’apicoltore Giampiero Torri, il cui argomento era: Buone pratiche apistiche.
Come da previsioni non sono riuscito, per mancanza di tempo, a postare la seconda lezione molto velocemente e, per questo motivo, mi tocca fare due post molto ravvicinati.
Non è un grosso problema ma mi sarebbe piaciuto fare le cose diversamente, magari ci riesco la prossima settimana, staremo a vedere (io ci credo poco 😛 ).
Tornando a noi ancora nessuna traccia delle due arnie ordinate, ma il fornitore mi ha confermato che sono partite e che è una questione di giorni prima che arrivino, attendiamo e vedremo.
Augurandovi, come sempre, una piacevole lettura, vi saluto.Alveare “Razionale”
L’alveare “razionale” a favi mobili può essere quindi definito un Super organismo tecnicamente modificato, poichè se pur con tecniche semplici, l’alveare razionale, è diventato un organismo artificioso che non ha simili e questo lo rende assai diverso dagli altri animali dall’allevamento.
Ci si deve ricordare delle peculiarità dell’alveare e dell’apicoltura, anche nel controllo e gestione delle malattie e anche nell’utilizzo dei medicinali veterinari.Punti di forza dell’apicoltura
L’apicoltura apporta notevoli benefici all’intero settore agricolo e, ancora prima, all’ecosistema generale.
Prima ancora della produzione del miele, infatti, la sua importanza è legata all’effetto pronubo (l’84% delle specie di piante e il 76% della produzione alimentare in Europa dipendono in larga misura dalle api).
Non a caso è riconosciuta attività di interesse nazionale!Buone pratiche apistiche
Ci sono diverse pratiche che è consigliabile svolgere per poter allevare nei migliori dei modi il proprio apiario.
Seguendo queste metodologie non si evitano le malattie o gli anni deludenti, ma si riducono al minimo le possibilità che cose come queste avvengano.Sostituzione dei telaini
L’inverno, quando le api si stringono nel glomere, formano una sorta di “palla” che si posiziona circa al centro dell’arnia. Mano mano che la stagione migliora e con essa le temperature aumentano questa sorta di “palla” si allarga sempre di più fino a riempire l’intera arnia quando vi è il grande raccolto.
Nei telaini esterni le api generalmente tengono il miele, poi man mano che ci avviciniamo al centro troviamo il polline ed infine la covata. Mediamente si hanno uno o due telaini esterni di miele (per parte), uno o due telaini di polline (per parte) ed infine la covata ricopre i restanti.
I telaini che contengono la covata, quindi quelli più centrali, invecchiano molto più velocemente degli altri poichè ogni volta che nasce un’ape rilascia una membrana sottilissima, detta esuvia, che ristringe piano piano la celletta.
E’ buona norma, per rinnovare la cera contenuta nei telai, che nella buona stagione vengano inseriti telaini nuovi (quelli provvisti solo di foglio cereo) , questa operazione va però effettuata in modo razionale e non vanno introdotti dei fogli cerei in maniera casuale.
I telai nuovi vanno inseriti vicino alla covata in due possibili posizioni: o tra il miele ed il polline o tra il polline e la covata, anche se si consiglia maggiormente la seconda posizione.
In questo modo, se si cambiano due telaini all’anno, nel giro di 5 anni avrò il rinnovo totale dei telaini presenti nell’arnia.Talaino con cera nuova
Rinforzo di una famiglia con talaini di covata
Nel caso in cui ci accorgiamo che una famiglia è molto debole e necessita del nostro intervento non bisogna pensare che se preleviamo un telaino da un’altra famiglia (che necessariamente deve essere forte) e lo spostiamo direttamente nel nucleo debole vada tutto per il verso giusto.
Ci sono molti fattori da tenere in conto prima di effettuare tale operazione: prima di tutto ogni famiglia ha il proprio odore e se api di famiglie diverse vengono in contatto tra di loro sono portate a scontrarsi ed a uccidersi a vicenda.
Per evitare questo occorre dare una bella scrollata al favo che si preleva, così che le api più anziane (quelle che maggiormente non accettano api di altre famiglie) prendano il volo e non finiscano nel nucleo debole. Successivamente occorre spostare il nucleo appena rinforzato ad una distanza di almeno 3 km poichè altrimenti le api spostate tenteranno di tornare nell’arnia di provenienza vanificando il rinforzo appena fatto.
Altro fattore da prendere in considerazione è se il nucleo di destinazione sia in grado di sostenere il rinforzo, se ad esempio la famiglia debole conta pochissimi individui e noi introduciamo un’ulteriore telaino di covata, questa potrebbe andare distrutta poichè non vi sono abbastanza api per riscaldare le larve.
Ultimo in elenco ma, probabilmente, il più importante per questa pratica è accertarsi che sia il nucleo forte che quello debole siano in salute, poichè se uno dei due presenta qualche patologia si possono scatenare una sequenza di eventi che porta ad perdere non una, non due, ma tutto l’apiario.Nomadismo
Gli apicoltori si dividono in due gruppi: i stanziali ed i nomadi.
Il primo gruppo tiene sempre le proprie arnie in un apiario senza mai spostarle, generalmente chi inizia appartiene a questo gruppo.
Il secondo gruppo invece sposta le proprie arnie seguendo le fioriture, in questo modo riesce sia a fare le qualità del miele sia a produrre più mele poichè non si adatta alla conformazione del territorio ma sfrutta il potenziale delle api al massimo spostandole quando il raccolto in una determinata zona comincia a diminuire.E’ possibile anche che si verifichino degli incidenti, come è successo in cina: un camion con rimorchio che trasportava un intero apiario si è rovesciato e le casse aprendosi hanno lasciato libero sfogo alle api. In quel caso solo i pompieri bagnando e uccidendo tutto riescono a risolvere la situazione, la conclusione logica è un apiario completamente distrutto.
Nomadismo: Legge regionale
Gli apicoltori che praticano nomadismo nel territorio della regione Emilia Romagna, se si recano in postazioni non censite presso le AUSL di competenza, devono darne comunicazione scritta al Presidente della Provincia di destinazione entro il mese di febbraio di ogni anno (come previsto dalla Legge Regionale n. 35 del 25 agosto 1988 art.9 e dal Regolamento Regionale n.18 del 5 aprile 1995).
Nella comunicazione devono essere indicati, come previsto dal modulo:- La sede dell’apiario o degli apiari da spostare;
- Il numero presunto degli alveari interessati allo spostamento;
- La presumibile data di trasferimento;
- Il luogo di destinazione;
- La presunta durata di permanenza nell’aria di destinazione;
- Il tipo di fioritura del pascolo di cui si vuole beneficiare.
In via del tutto eccezionale e per motivare esigenze di sfruttamento di determinati pascoli, ovvero quando si renda necessario ed urgente il trasferimento dell’apiario in nuove postazioni, è consentito lo spostamento degli alveari, senza la prevista segnalazione, fermo restando l’obbligo di comunicare al Sindaco del Comune di arrivo entro 48 ore, ai sensi del comma 2, dell’art. 8 della Legge Regionale n. 35 del 1988.
Lo spostamento di alveari da una postazione censita ad un’altra non censita non richiede alcuna segnalazione.Nomadismo: Distanze fra apiari
Gli apicoltori, quando spostano gli alveari per nomadismo o per la costituzione di nuovi apiari, devono rispettare le seguenti distanze minime dagli altri apiari, calcolandole dal centro dei singoli apiari:
- m. 100 di raggio se gli apiari sono formati da 1 a 10 alveari;
- m. 150 di raggio se gli apiari sono formati da 11 a 20 alveari;
- m. 250 di raggio se gli apiari sono formati da 21 a 30 alveari;
- m. 500 di raggio se gli apiari sono formati da 31 o più alveari;
Il diritto di priorità nello sfruttamento del pascolo spetta al richiedente che non abbia apportato modifiche al suo programma di nomadismo.
Metodi per aumentare le famiglie – Produzione nuclei
Generalmente i nuclei si creano nelle arnie da 6 telaini, quando si fa un nucleo lo si prepara un anno per quello successivo, poichè vanno formati nel periodo di maggiore sviluppo e quindi i nuovi nuclei non hanno tempo di svilupparsi per il grande raccolto che sta già avvenendo.
Per prima cosa va selezionata una famiglia che sia molto forte e che non risenta della perdita di qualche telaino.
Molti apicoltori, generalmente, prelevano un solo telaino con covata dalla famiglia forte; Torri consiglia di levarne due poichè, sebbene indebolisca di più la famiglia forte, permetterà al nuovo nucleo di partire già forte, limitando il rischio che questo nucleo vada distrutto durante l’inverno. (Si possono prelevare i telai anche da cassi differenti)
Riposti questi telai all’interno delle arnie da 6 telai e riempiti i posti vuoti con fogli cerei e, se si riesce, con un telaino di scorta prelevato ad una famiglia forte, il tutto deve essere spostato a più di 3km altrimenti le api che possono volare torneranno nelle famiglie di partenza condannando il nuovo nucleo alla morte.
Se nei telaini che vengono prelevati vi è la presenza di celle reali, si può rischiare di non mettere la regina e lasciare che la natura faccia il suo corso, oppure se non vi è la presenza di tale celle o non si desidera rischiare conviene aggiungere un’ape regina che ci si è procurati diversamente.
Nel caso si scegliesse la via dell’ape regina “in scatola” il consiglio è quello di attendere 1 giorno dal prelievo dei telai (in maniera tale che le api comincino a sentire l’orfanità) e allo scadere di tale tempo introdurre la scatola con la regina.
In questo modo non si da il tempo alle api di creare celle reali e le probabilità di accettazione sono maggiori.Curiosità
Una regina in piena produzione riesce a deporre tre volte il suo peso corporeo in uova, è come se una gallina di 3kg faccia 9kg di uova in un solo giorno.
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Gen 17 2014 Come recarsi in apiario – Lezione 2
L’argomento che si è trattato nella seconda lezione del corso è “come recarsi in apiario”, mentre nella prima lezione si è parlato dell’ape cercando di dare un’infarinatura sul lato biologico e morfologico, in questa lezione si è passati alla parte un pochino più pratica.
Cosa server per andare in apiario??
Per prima cosa occorre accertarsi di non essere allergici alle punture delle Api.
Il veleno di questo insetti può portare anche a shock anafilattici che portano, loro volta, alla morte se non presi tempestivamente; occorre, quindi, essere almeno consapevoli degli effetti che una puntura può avere sul nostro organismo prima di trovarsi in situazioni pericolose.
Se un individuo sa o scopre di essere allergico può tranquillamente fare l’apicoltore ma prestando maggiore attenzione, magari coprendosi di più e portarsi sempre dietro tutto il necessario per intervenire in qualsiasi situazione.Maschera
Abbiamo visto come le api non siano animali inermi e, soprattutto quando vengono disturbate, possono reagire usando il loro apparato vulnerante. Le punture delle api, pur non essendo nella maggior parte dei casi pericolose sono comunque dolorose e possono disturbare non poco l’apicoltore. Per questo motivo si usa coprirsi il volto con una maschera. Ne esistono svariati modelli, da un semplice velo di tulle nero da applicare ad un cappello a larghe tese a quelle più sofisticate incorporate ad un corpetto.
Affumicatore
Per quante precauzioni un apicoltore possa prendere all’apertura di un alveare, tranne in rare occasioni, le api si mostreranno sempre aggressive. Da lungo tempo si è costatato che alcune sbuffate di fumo sono in grado di ammansire le api. Il fumo agisce, infatti, in duplice modo:
appena viene assaggiato l’odore del fumo la maggior parte delle api si precipita sui favi dove iniziano ad assorbire avidamente il miele, trovandosi poi così imbottite faranno davvero fatica ad estrarre il pungiglione.
Si pensa che questo atteggiamento sia dovuto al fatto che il fumo evochi negli istinti dell’ape il pericolo di un incendio e, nel caso l’arnia prendesse fuoco, sono già pronte a volare via piene di scorte.Leva
Abbiamo visto che le api hanno l’abitudine di chiudere tutte le fessure e fissare fra di loro le varie parti mobili con la propoli.
Questo materiale è alquanto tenace, quindi nella maggioranza dei casi con le sole mani non è possibile sollevare le soffitte ed estrarre i favi. A questo scopo si usa una leva che può avere varie forme ma che necessariamente deve essere provvista ad un’estremità di una parte schiacciata a scalpello per potersi insinuare sotto le soffitte e dall’altra un gancio idoneo a sollevare i telaini facendo presa sotto le orecchiette.Indumenti
Non occorre un abbigliamento particolare per praticare l’apicoltura. Tuttavia occorre tener cono che maneggiando vari materiali ed attrezzi ci si imbratta facilmente di propoli che poi aderisce molto tenacemente, quindi è consigliabile l’uso di camici o tutte da lavoro.
Maneggiando favi e soffitte ricoperti di api è facile che ne cada qualcuna per terra. Le api più giovani non volano ancora ed hanno la tendenza a risalire lungo le gambe, per evitare quindi che si intrufolino sotto i calzoni è opportuno portare degli stivali entro cui infilare i calzoni.
L’uso dei guanti è perlomeno controverso, infatti se da una parte proteggono le mani, dall’altra rende l’operatore più impreciso e maldestro.Come ci si avvicina ad un alveare??
Dopo essersi accuratamente vestiti e preparati, per prima cosa occorre accendere l’affumicatore, per farlo basta incendiare il combustibile che desideriamo utilizzare e lo riponiamo all’interno della camera di combustione.
Solo quando si è certi che l’affumicatore sia acceso ci si può dirigere verso l’arnia.
Per ridurre l’aggressività della famiglia occorre prestare qualche accortezza, ovvero è sempre bene avvicinarsi dalla parte opposta alla porticina di volo, in maniera tale da non trovarsi mai nel cono di volo delle bottinatrici.
Una volta arrivati alle spalle dell’arnia la prima cosa da fare è dare una veloce ma decisa sbuffata di fumo sulla porticina, in maniera tale da allarmare le guardiane e farle comunicare al resto della colonia la possibile presenza di un incendio.
Subito dopo occorre infilare la leva tra coprifavo e nido e forzare l’apertura, appena la propoli cederà bisogna essere pronti a dare un’ulteriore paio di sbuffate all’interno del nido.
Così facendo la zona ostile per le api, dove si trova il fumo, sarà la parte soprastante dell’arnia e non all’interno dei favi.
Un’altra pratica comune per ridurre l’aggressività quella di recarsi a far visita alla famiglia nelle ore più calde della giornata, in questo modo la maggior parte delle bottinatrici si troverà in giro, riducendo notevolmente il numero delle api presenti nel nido.Cosa si va a fare in apiario??
Un’ulteriore precisazione che occorre fare è che ogni nostra visita provoca alle api un disturbo, ovvero uno stress. Seppure in certi periodi dell’anno le alimentiamo e per tutta la durata della loro vita le accudiamo, per loro rimarremo sempre degli estranei che invadono la loro casa e provocano scompiglio.
Starà in noi fare in modo che lo stress arrecato sia il minore possibile e con esso, anche l’aggressività delle api stesse.
In conclusione occorre aver ben presente per cosa si sta per visitare una famiglia per non essere titubanti nel momento in cui l’arnia è aperta poichè la covata dal momento in cui si solleva il coprifavo inizia a raffreddarsi.Scelta della postazione
Per poter scegliere una giusta posizione per il nostro apiario conviene seguire qualche piccolo consiglio, ovvero:
Si deve verificare la vicinanza delle fonti pollinifere e nettarifere;
la postazione deve essere esposta a sud/sud-est, al riparo dai venti, in luoghi non umidi, e l’ombreggiatura deve esserci solo nei mesi più caldi;
nelle vicinanze ci deve essere disponibilità d’acqua;
il terreno deve essere in piano, facilmente accessibile con un automezzo e a distanza da strade di pubblico transito o confini di proprietà;
nel caso di postazioni in montagna, l’apiario deve essere in basso rispetto alle fonti di raccolta perchè le api possano fare i percorsi in salita da scariche e quelli in discesa cariche;
è utile avere vicino agli alveari alberi non troppo alti o robusti, in quanto questo facilita la raccolta degli sciami;
le arnie vanno posizionate su supporti al almeno 30/40 cm da terra per difenderle dall’umidità;
non è consigliabile allineare le arnie in fila tutte uguali in quanto facilita la deriva, cioè le bottinatrici tendono a rientrare negli alveari posti all’estremità;
è necessario facilitare le api nell’orientamento colorando le facciate o i predellini, oppure distanziare gruppi di alveari con un paletto nel terreno.Nutrizione
All’uscita dell’inverno qualora le scorte non fossero più sufficienti ad sostenere la famiglia, occorre ricorrere alla nutrizione.
Gli alimenti da somministrare alle api variano a seconda del periodo dell’anno in cui siamo: da poco prima dell’inverno a primavera inoltrata è buona cosa utilizzare il candito, ovvero lo zucchero che usano i pasticceri per fare il torrone.
Essendo solido questo non emana odori e riduce la possibilità di saccheggio da parte di altre famiglie e in più non introduce umidità all’interno dell’alveare che potrebbe portare a formazione di muffe o funghi che danneggerebbero irrimediabilmente un nucleo.
Come nutrizione, qualora avessimo una famiglia debole, per stimolare la crescita e la raccolta usiamo uno sciroppo che è formato da fruttosio generalmente allo stato liquido (se si usano nutritori è meglio).
Un’alternativa allo sciroppo al fruttosio è una soluzione zuccherina creata con 1KG di zucchero e 1L di acqua.
Il periodo indicativo nel quale utilizzare un’alimentazione rispetto che un’altra è il seguente: Candito da gennaio alla prima metà di aprile, sciroppo stimolante prettamente tra marzo e aprile.
Non è consigliabile alimentare le api con il miele, sia compero che di propria produzione, perchè potrebbe contenere patologie che infetterebbero irrimediabilmente la famiglia.Calendario delle visite in apiario
Vediamo, molto velocemente, in cosa consistono le nostre visite in apiario al variare della stagione. Non tratteremo mese per mese ogni singola operazione, ma cercheremo di dare delle linee guida che si potrà seguire in tutte le annate, sia propizie che non propizie.
A Gennaio
E’ consigliabile un controllo all’esterno, verificando il volo delle bottinatrici, battere con le nocche sull’arnia (se si alza del brusio significa, per esempio, che sono ancora vive), pesare l’alveare per controllare le scorte.
Se pensando l’arnia ci si rende conto che le scorte sono basse, è opportuno integrare la nutrizione utilizzando un prodotto solido, come il candito.
E’ consigliabile non sollevare il coprifavo in questo periodo poichè le temperature non lo permettono, se dobbiamo guardare all’interno ci conviene sfruttare il buco della nutrizione presente nel coprifavo.A Febbraio
E’ possibile fare la prima visita, anche se in modo veloce, controllando: lo stato della famiglia, le scorte, le condizioni sanitarie, la presenza e la sanità della covata.
Controllare l’orfanità della famiglia, quando si apre la soffitta se orfane le api iniziano a ventilare, in caso la famiglia sia orfana è possibile che delle operaie abbiano preso a deporre ed è facile da intuire poichè c’è la deposizione di soli fuchi e non di operaie.Visita primaverile
La si può effettuare con più calma e occorre fare attenzione a: forza delle famiglie, scorte (in fase di sviluppo le famiglie consumano molto), sanità della covata, sostituzione dei telaini vecchi e aumento dello spazio, pareggiamento delle famiglie, preparazione dei nuclei per il servizio di impollinazione.
Inoltre occorre controllare la presenza di celle reali che potrebbero indicare la febbre sciamatoria, ovvero l’intenzione della vecchia regina lasciare l’arnia.
Se occorre è questo il periodo per una nutrizione stimolante mediante sciroppi.
In questo periodo, da Aprile in avanti, si possono iniziare ad effettuare le operazioni per creare sciami artificiali per la produzione di api regine, per aumentare il numero dei nuclei e per la produzione della pappa reale.
E’ già possibile poggiare i melari qualora vi siano delle fioriture precoci.Visita estiva
Dalla primavera in poi è il momento della posa dei melari. Il momento preciso varia da zona a zona, dalla forza delle famiglie, dal clima. ecc. Questo è il periodo del nomadismo, ma anche il momento migliore per la sostituzione delle regine. Dai primi giorni di agosto si devono togliere i melari e provvedere al trattamento tampone estivo contro la Varroa.
Visita autunnale
E’ il momento in cui si devono preparare al meglio gli alveari per l’inverno. Occorre quindi verificare la sanità delle famiglie, le scorte e la popolosità.
Visita pre-invernale
Durante questa visita si procede al vero e proprio invernamento. Si possono togliere i telaini abbandonati dalle api e inserire il diaframma. E’ consigliabile mettere un materiale coibentante tra il coprifavo e il tetto per aumentare il calore nell’alveare. Si riduce l’ingresso della porticina di volo. In una bella giornata di sole, avendo verificato il blocco della covata, si deve effettuare il trattamento di pulizia invernale contro la Varroa.
Sciamatura
Per sciamatura naturale si intende la partenza definitiva da una colonia di una regina seguita da un parte delle operaie.
Dal punto di vista biologico la sciamatura rappresenta l’opportunità per le api di diffondere la propria specie.
La sciamatura è quindi una caratteristica ereditaria comune a tutte le specie Apis, più o meno marcata a seconda delle razze.
Pur trattandosi di una caratteristica ereditaria, la sciamatura è influenzata da molti fattori interni ed esterni. Fa quelli interni i principali sono: l’età della regina, o spazio disponibile, lo stato di salute, ecc.. mentre quelli esterni sono l’andamento climatico, l’abbondanza di raccolto, la posizione dell’arnia, l’insolazione, ecc..
Durante il periodo delle sciamature, di solito questo avviene poco prima del grande raccolto, una famiglia può decidere di sciamare e quindi inizia a costruire celle reali.
Poco prima che la regina vergine sfarfalli la vecchia regina prende il volo e, insieme a una buona parte delle api presenti, si appoggia poco distante formando un glomere molto serrato.
Il nuovo sciame, quello che contenente la vecchia regina, può stare fermo qualche giorno, come una settimana o può anche decidere di creare il proprio nido sul posto, il tutto dipende da molti fattori: non è stato trovato un luogo adatto dalle esploratrici, la regina è abbastanza vecchia, la famiglia non si mette d’accordo su quale sia il luogo più adatto per insediarsi.
Quando troviamo delle celle reali non sempre si ha a che fare con la febbre sciamatoria, per sapere ciò occorre prestare attenzione su quale punto del favo è stata fatta la celletta reale: se tale cella si trova in mezzo al favo, o comunque non vicino ai bordi è molto probabile che la famiglia sia orfana o che stia procedendo con una sostituzione naturale della regina, mentre se le celle reali si trovano sui bordi dei favi, molto vicino o addirittura sopra al telaio di legno quello è un segno evidente di febbre sciamatoria.Trattamento anti-varroa
La Varroa è un particolare acaro, molto simile alla zecca che aggredisce le api nelle fasi più delicate della loro vita (durante le prime mute) e che si nutre succhiando l’emolinfa direttamente dall’individuo infestato.
Questo acaro è arrivato in Europa nei primi anni 80 e da allora non si è trovato un sistema idoneo per debellare questo vero e proprio flagello.
Negli ultimi anni, dopo che l’apicoltura è stata sull’orlo del tracollo per la moria generale che vi è stata, sono stati introdotti dei prodotti così detti “tampone” che servono a limitare il più possibile l’infestazione delle famiglie.
Vi sono diversi metodi per effettuare tali trattamenti: chimici o meccanici.
Bisogna precisare che è vietato l’uso di qualsiasi prodotto all’interno dell’arnia qualora sopra vi sia ancora il melario, poichè il miele per l’alimentazione umana deve essere puro e non alterato in alcuno modo.Trattamenti chimici
Questi trattamenti vanno effettuati in presenza del blocco della covata, ovvero non vi devono essere api opercolate, poichè la Varroa si intrufola dentro la cella poco prima che questa venga opercolata e vi resta fino che l’ape infestata non fuoriesce.
Gli acaricidi in agricoltura sono molteplici e spesso anche molto potenti, però i prodotti registrati per uso apistico sono davvero pochi e si contano sulle dita.
Gli acari sviluppano resistenza a tali trattamenti poichè ogni qual volta se ne salva uno i suoi figli diventano più resistenti al principio attivo.Api life var
Sono dei cubetti impregnati con il Timolo e vengono riposti tra i favi e il coprifavo.
Apistan
Sono delle strisce impregnate con il Tau-fluvalinate, un principio attivo anch’esso utilizzato massivamente in agricoltura.
Apiguard
Non necessita di ricetta veterinaria, è un gel a base di Timolo che evapora ed agisce sulle Varroe presenti.
Apivar
Non necessita di ricetta veterinaria, il principio attivo utilizzato è Antras, prodotto che in agricoltura è stato usato tanto, poi è stato vietato l’uso (solo in agricoltura, in apicoltura si può ancora usare).
Trattametni meccanici
Questi trattamenti hanno il vantaggio da uccidere gli acari o di limitarne la diffusone in maniera meccanica e per questo motivo non sono soggetti a resistenze.
I trattamenti più diffusi sono:Acido Ossalico
I metodi che sono stati scoperti per far funzionare al meglio tale trattamento sono quello sgocciolato, dove le api vengono bagnate con una soluzione di acido ossalico disciolto in una soluzione zuccherina.
Il secondo metodo, che è stato introdotto recentemente, è quello della somministrazione sublimata, essa viene praticata riscaldando i cristalli di acido ossalico ad una temperatura inferiore ai 130°C.
I fumi che si scatenano sono però nocivi per l’uomo, quindi è bene prendere le giuste precauzioni.Acido Formico
Questo acido, essendo molto più forte, ha la capacità di entrare anche dentro alle cellette opercolate delle api così da uccidere anche la Varroa che è presente nella covata.
In alcuni stati nordici, dove la temperatura non si alza troppo (soglia massima 27°C), hanno fatto dei sacchetti al cui interno vi è una spugna impregnata con l’acido formico. Questa sostanza evapora molto lentamente e uccide le Varroe senza danneggiare le api, nei nostri climi questo trattamento è poco usato poichè basta un’innalzamento della temperatura ambientale che tutta la covata è a rischio.Acido Lattico
Tale acido è stato il primo ad essere usato, andava diluito nell’acqua e spruzzato sulle api.
Raccomandazioni finali
Prima di portare a casa delle api sarebbe bene procedere al censimento obbligatorio. Non è una pratica a pagamento e permette di risparmiarsi una multa che va dai 150 ai 200 euro qualora la forestale arrivi in apiario e riscontri la mancanza di tale documento.
Le schede per il censimento sono reperibili nelle cooperative o associazioni apistiche, vanno compilate e fatte firmare da un veterinario.In agricoltura non esiste un’altro investimento che nel giro di 2/3 anni si ripaghi completamente come fa l’apicoltura.
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Gen 11 2014 Morfologia e biologia dell’ape – Lezione 1
Per morfologia e biologia dell’ape si intende il mondo di questo insetto a tutto tondo: la sua conformazione fisica, le interazioni sociali, i suoi comportamenti, il processo evolutivo. Ma vediamo di insinuarci in questo fantastico mondo un passo alla volta.
Vita ed organizzazione
Fin dai tempi antichi l’uomo si è interessato alla vita delle api, le osservava e studiava. Comprese ben presto che le api accettavano di essere trasferite in contenitori che offrivano loro un riparo dal vento, dalla pioggia, dal freddo e dal caldo eccessivo.
Nel mondo sono state individuate tre linee evolutive delle arnie. La prima che ha interessato la maggior parte dei paesi europei ed alcune zone dell’Asia sud-occidentale, si basa sull’utilizzo di tronchi d’albero cavi appoggiati verticalmente su un supporto e chiusi in alto con una lastra.
Quest’arnia è probabilmente la più antica in assoluto ed è tutt’ora utilizzata in certe zone. Da questa si è passati in alcune zone a modelli più leggeri. In Sardegna ad esempio viene utilizzato il sughero per ricavare delle arnie cilindriche verticali.
L’ape è amica ma anche sconosciuta.
Derivata sempre da questa sono quelle costituite da panieri ottenuti intrecciando rami flessibili coibentati con sterco bovino e argilla.
Sono state trovate tracce di apicoltori in alcuni geroglifici nella tomba di Pabusa, risalenti al 600 a.C, questo fa intuire che la collaborazione uomo-ape va avanti da moltissimo tempo.
L’uomo è divenuto apicoltore anche se le api non sono mai state veramente addomesticate, poichè non hanno mai cambiato le proprie abitudini e non dipendono tutt’ora dall’uomo. La convinzione è che siano loro ad addomesticare noi esseri umani (almeno quelli che si cimentano nell’apicoltura).
L’uomo che si è lasciato addomesticare dalle api è diventato apicoltore.
Spesso l’attenzione dell’uomo è rivolta maggiormente a ciò che le api producono, quello che si sottovaluta è la funzione naturale di impollinazione che questi insetti fanno, aiutando la fecondazione e, di conseguenza, la prolificità di molte specie di piante.
Non esiste solo l’ape come insetto impollinatore, ve ne sono molti altri, ma non svolgono tale funzione in maniera così importante come invece fa l’ape; questo è dovuto al fatto che vi è stata un’evoluzione dei fiori in base all’insetto che più li frequentavano.
Il fiore da qualche cosa all’ape, ovvero il nettare che è una sostanza zuccherina, e in cambio le api, cercando di inserirsi nel fiore, si imbrattano con il polline di tale fiore. In un secondo momento quando la stessa ape si posa su un altro fiore, cercando di arrivare al nettare, lascia cadere del polline che si mischia a quello che già aveva sul corpo; in questo modo se la pianta non è lo stesso esemplare di quello precedente e la specie di appartenenza è la medesima si ha una fecondazione.Il servizio di impollinazione è una vera e propria attività che può incrementare il reddito di un apicoltore: delle ditte, tramite apposite associazioni, si rivolgono agli apicoltori che portano le proprie api nei pressi dei campi in cui è necessario tale intervento. A fioritura terminata l’apicoltore preleva le proprie api e riceve un compenso per il servizio svolto.
Che cosa è un’ape??
Un ape è un essere vivente e come tale deve:
- Riprodursi
- Svilupparsi
- Interagire con l’ambiente
- Costruire o assumere proteine
- Mantenere costanti le condizioni interne
- Evolversi
- Organizzati in cellule
Le api, come tutti gli animali, sono eterotrofi ovvero non riescono a creare le proteine necessarie al loro sostentamento e per questo le assumono già sintetizzate da altri organismi, nello specifico le recuperano dal polline che possiede un alto contenuto proteico.
Breve storia dell’evoluzione dell’ape
Le tracce più antiche delle api risalgono a ben 40 Milioni di anni fa, infatti alcuni esemplari sono stati rinvenuti all’interno di ampolle d’ambra che le hanno catturate e mantenute inalterate fino ai giorni nostri. Il nome che è stato dato a queste api preistoriche è Elettratis.
Quest’ape preistorica con il passare del tempo subì varie trasformazioni e circa 35 Milioni di anni fa si trovano le prime tracce del nuovo tipo di ape che arriverà pressoché immutato fino ai giorni nostri, ovvero l’Apis.
Per fare un piccolo paragone l’omo sapiens è comparso circa 100 mila anni fa.Vi sono 4 specie di api conosciute, che vedremo velocemente:
- APE NANA – Fa un piccolo favo sui rami e si trova in India, Borneo e Birmania
- APE DORSATA – Costruisce un solo grande favo e si trova in India, Filippine ed è grande ed aggressiva
- APE CERANA – Poco laboriosa ma mansueta e si trova in India, Giappone, Bangladesh e Malesia
- APE MELLIFICA – Mediamente mansueta ma molto laboriosa e si trova in Europa Africa Asia e poi nelle Americhe e in Australia
Un’ulteriore suddivisione delle api si ha tramite le razze, questa lezione non è volta ad analizzare tutte le diverse razze del mondo, perciò elencheremo velocemente solo quelle più conosciute dell’ape mellifica:
- CARNICA – Si trova prettamente nel nord Europa, si distingue per avere il corpo tutto scuro.
- LIGUSTICA – Si trovava solo in Italia, con il tempo è stata importata in quasi tutto il mondo ed imbastardita. Si distingue per il primo pezzo del ventre giallo chiaro e il resto scuro.
- SICULA – Si trova solamente in Sicilia, con il tempo è stata portata quasi all’estinzione, ora si cerca di salvaguardarla confinandola su un’isola minore (più aggressiva).
Ne esistono tante altre, anche relativamente vicine a noi, come possono essere la CAUCASICA o l’AFRICANA, si rimanda alle letterature i merito per approfondire l’argomento. Durante tutta la durata di questo corso la razza di cui si parlerà e che vedremo anche dal vivo sarà la Ligustica.
Questa razza, infatti, è una delle migliori al mondo per mansuetudine, produttività e qualità delle regine, c’è da dire che è anche una delle più portate al saccheggio.Come è fatta un’ape?
L’ape ha, come gran parte degli insetti:
- 4 ali
- Un Esoscheletro
- Sei zampe
- Corpo in tre segmenti
L’esoscheletro è composto da varie sostanze (sclerotina, resinina, ecc) ed è flessibile ma non estendibile.
Per potersi sviluppare e avere un esoscheletro con le caratteristiche che abbiamo appena citato utilizzano le mute, ovvero un processo di mutazione dalle quali passano nella fase giovanile.
Queste mute sono similare al cambio pelle dei serpenti, quando il “vestito” diviene troppo piccolo lo si cambia poichè esso non si adatta allo svilupparsi del corpo.Il capo è una capsula rigida che contiene gli organi della vista: due occhi compositi e 3 ucelli semplici (servono principalmente per captare l’intensità luminosa) due antenne e l’apparato boccale (composto da più parti).
Gli occhi composti hanno dei componenti che si chiamano ommatidi e per questo motivo la visione è a mosaico. Questo permette alle api di avere una percezione diversa dei movimenti, infatti un movimento che al nostro occhio risulta lento per loro è velocissimo, anche la percezione dei colori è differente dalla nostra, infatti esse distinguono:
giallo, blu-verde, blu, viola, ultravioletto, giallo-ultravioletto
Per questo motivo occorre indossare colori che loro “digeriscono” per non allertarle solamente con la nostra presenza nei pressi dell’alveare.Le antenne sono orientabili, e composte da diverse parti, esse sono munite di diversi sensori: tattili, olfattivi, termici, uditivi, igrorecettori (in grado di percepire la quantità di umidità) e ricettori di ferormoni.
L’apparto boccale si chiama così poichè è sempre formato da un certo numero di pezzi divisi, in genere sono sei: labbro inferiore, superiore, due mascelle e due mandibole.
Nello specifico quello delle api è così formato: il labbro superiore è una sorta di copertura, le due mandibole sono le due pinze per la manipolazione della cera e della propoli però non riescono a lacerare ne a rompere neppure la cuticola dell’uva, due mascelle mobili costituite da varie parti costituisce un canale per l’assunzione di alimenti liquidi e al contempo sono presenti anche degli organi del gusto.
Il labbro inferiore, insieme alle mascelle, forma il canale di suzione, ovvero è quel canale da cui esce la saliva che viene utilizzata per liquefare gli le sostanze nutritive.
La ligula è la parte più lunga dalla quale fuoriesce la saliva e termina con il labello, estensione a cucchiaio.Il torace ha sempre tre segmenti in tutti gli insetti, nella parte inferiore vi sono le attaccature per le zampe, nella parte superiore le ali con i relativi possenti muscoli per muoverle, tre paia di stigimi(che possono essere aperti e chiusi a piacimento) per consentire l’ossigenazione dei tessuti. Sono contenuti all’interno anche le sacche aeree che permetto all’ape di volare trasportando ingenti carichi.
Le zampe anteriori presentano un incavo tramite il quale le api si ripuliscono le antenne, si chiamano stregge e le utilizzano per costruire i favi, maneggiare la propoli, nella regina per capire la dimensione delle cellette (fuco od operaia).La particolare conformazione di ciascun paio di zampe risponde alle esigenze lavorative dell’operaia:
Secondo paio: Una spina posta all’angolo distale interno della tibia del 2° paio di zampe serve per staccare le pallottole di polline dalle cestelle delle zampe posteriori quando l’ape rientra all’alveare e per pulire le ali e gli spiracoli.
Terzo paio: Qui viene raggiunto il massimo grado di specializzazione morfo-funzionale. Sulla parte esterna della tibia è presente un incavo, lucido, la cestella del polline, provvista al centro di una lunga setola attorno alla quale vengono formate e conservate le pallottole di polline fino al ritorno all’alveare. Sul bordo inferiore delle tibia è presente una fila di brevi e robuste spine che prende il nome di pettine.
(Spazzola, spina e polina)L’addome non contiene delle gran appendici poichè tutte le occorrenti sono nel torace e nel capo, contiene la parte terminale del tubo digerente, ghiandole e specchi della cera, nasonov, il pungiglione.
Sistema digerente
Il tubo digerente dell’ape percorre tutto il corpo; inizia dall’apertura boccale, a cui fa seguito la faringe, provvista di muscolatura in grado di farla dilatare per favorire l’aspirazione dei liquidi nutritivi. Segue l’esofago, che dopo aver attraversato tutto il torace entra nell’addome dove si allarga a formare l’igluvie. E’ qui che nelle operaie viene immagazzinato il nettare durante la raccolta per essere trasportato nell’alveare.
Sistema respiratorio
Le api posseggono un apparato respiratorio molto sviluppato. L’aria penetra attraverso gli spiracoli disposti a coppie, 3 nello pseudotorace e 7 nel gastro. Dagli spiracoli partono delle brevi trachee, che si immettono in particolari dilatazioni dette sacchi aerei. Da questi si diparte una vera rete di trachee che si ramificano successivamente fino a ridursi in minutissimi vasi che si diramano ulteriormente fino a raggiungere tutti gli organi. Il sistema di gran lunga più efficiente di quelle dei Vertebrati, che richiede uno scambiatore aria acqua (i polmoni) ed un meccanismo di trasporto (il sangue).
Sistema circolatorio
La circolazione del sangue, chiamata emolinfa, avviene in parte attraverso dei vasi, ed in parte attraverso la libera circolazione tramite le lacune del corpo. E’ quindi sicuramente meno evoluta di quella dei vertebrati.Lungo la linea mediana dorsale del corpo dell’ape troviamo il vaso dorsale, costituito da una parte contrattile, l’aorta, che percorsa la regione dorsale del torace si apre direttamente nelle lacune della regione cefalica.
Sistema nervoso
Il sistema nervoso è formato da un apparato centrale, uno viscerale ed uno periferico, reciprocamente connessi. L’apparato centrale è costituito da una massa ganglinare molto sviluppata posta nel capo, detta cerebro, da una massa sottoesofagea detta gnatocerebro, collegata alla prima mediante due connettivi a formare una specie di cintolo detto cingolo periesofageo. Pur trattandosi di un sistema nervoso relativamente semplice rispetto a quello dei vertebrati è in grado di soddisfare egregiamente le necessità di questi insetti.
La loro vita di relazione, infatti, appare guidata da facoltà che sono state denominate istinti, e che si manifestano con comportamenti fondamentalmente stereotipati, ma non infallibile e nemmeno immutabili, suscettibili come sono, di modificarsi e di adeguarsi alle necessità di situazioni contingenti e impreviste, nonché in seguito all’esperienza individuale.
Le ghiandole ipofaringee sono quelle che secernano il componente principale della pappa reale.
Vengono prodotte dai 5-6 ai 10-11 giorni di vita, quindi se ho delle api vecchie e voglio mettere della covata non saranno in grado di alimentare le larve.
A tutte le larve viene dato per i primi 3 giorni pappa reale per poi cambiare la dieta in polline e miele, mentre le regine vengono alimentate a vita con pappa reale. Questo fa ci che la regina sviluppi gli organi sessuali mentre nelle operaie rimangono atrofizzati.Sistema riproduttore
Il sistema riproduttore è molto complesso, esso comprende un paio di gonadi, testicoli nei maschi e ovari nelle femmina, e relativi gonodotti e genitali esterni.
Data l’elevata diversificazione, questi organi verranno descritti separatamente.
Quello che occorre sapere è che da un uovo fecondato nasce un fuco (maschio) mentre da un uovo fecondato nasce un’operaia (femmina).Apparato riproduttore – Maschile
L’apparato genitale è composto da:
- due testicoli separati e plurifollicolari;
- due tubi deferenti che si allargano a formare due vescicole seminali tubolari;
- un dotto eiaculatore provvisto di un paio di ghiandole accessorie;
- un apparato copulatorio di fabbrica alquanto complessa che presenta un pene provvisto di processi laterali ben separati.
L’organo copulatorio è come un sacco, posto all’interno dell’addome, in fondo al quale sbocca il dotto eiaculatore. Al momento dell’accoppiamento l’addome viene sottoposto ad un’intensa pressione e questa fa si che il sacco venga estroflesso all’esterno.
Apparato riproduttore – Femminile
Ciò che distingue maggiormente una regina da un’operaia è il possesso di un apparato genitale molto sviluppato e perfettamente funzionante.
Esso è formato da:- due ovari enormemente sviluppati occupanti la quasi totalità dell’addome, a loro volta suddivisi in ovarioli, che sboccano in un ovidotto;
- una spermateca(atta a conservare in vita per anni gli spermatozoi iniettati dai maschi durante l’accoppiamento), con annesse due ghiandole della spermateca;
- una vagina, la quale contiene un sacco ovale, la borsa copulatrice.
In seguito all’accoppiamento gli spermatozoi, attraverso la borsa copulatrice e la vagina, giungono nella spermateca, dalla quale usciranno al momento di fecondare le uova che, scendendo dagli ovari, passeranno dalla vagina.
Ghiandola di Nasonov
Capita sovente di osservare sul predellino dell’arnia o, dopo che si è aperto un’alveare, sui portafavi, delle api operaie con l’addome proteso verso l’alto e la sua estremità piegata verso il basso, in modo da scoprire tale ghiandola.
La secrezione di questa ghiandola + composta da sostanze molto volatili e viene utilizzata dalle api per marcare i luoghi di bottino, per facilitare il ritrovamento dell’alveare e per favorire l’aggregazione dello sciame o del glomere invernale.
Questa particolare postura non è da confondere con quella delle guardiane in assetto da guerra (esse tengono tutto l’addome verso l’alto e il pungiglione estratto)Specchi di cera
Le api operaie sono dotate di ghiandole che producono la cera; sono situate sulla parte anteriore degli stigmi e sono ricoperte dallo stermite del segmento precedente. Esse presentano due ampie aree ovali lisce, una su ciascun lato, rispetto alla linea mediana ventrale, dette specchi della cera. Tali aree si possono osservare estendendo l’addome.
La cera viene prodotta da cellule epidermiche sottostanti tali spazi, quando l’ape adulta ha circa 10-18 giorni di vita. Sembra che la cera fuoriesca in forma liquida attraverso minutissime strutture per solidificare sotto forma di scagliette a contatto con l’aria. Ogni ape ne produce circa 6 mg consumando per questa attività rilevanti quantità di polline e miele.In alto a sinistra vi è la zona senza peli chiamata “Specchio di cera” e le macchioline più piccole sono dei residui di cera.
Pungiglione
Si tratta di un’importante arma di difesa presente nelle operaie e nelle regine. A riposo si trova entro una tasca e viene estroflesso solo al momento dell’impiego. Derivando da un organo presente solo nelle femmine è assente nei fuchi, che sono di conseguenza totalmente inermi. Il pungiglione è formato da tre pezzi articolati fra di loro: lo stiletto e le due lancette.
Lo stiletto alla base si allarga in un ampio bulbo e termina con una punta affilata a mo’ di scalpello.
Quando l’ape punge piega verso il basso l’addome e con un movimento improvviso conficca la punta del pungiglione nei tessuti della vittima. La struttura del pungiglione spiega perchè quando un’ape punge un uomo è destinata quasi sempre a morire. L’elasticità dei tessuti trattiene il pungiglione e di solito l’ape non riesce ad estrarlo: nel tentativo di allontanarsi si lacera gli ultimi segmenti addominali ed il pungiglione rimane infisso nel malcapitato, unitamente ad una parte delle viscere ed alla ghiandole del veleno.Principali differenze tra operaia, fuco e regina
La tabella seguente mostra le principali differenze tra gli individui appartenenti alle tre caste presenti nell’alveare.
Ciclo di vita dell’ape
L’uovo viene deposto in una cella vuota dalla regina, la quale in base alle dimensioni della cella sceglierà se fecondare o meno l’uovo, incollato al fondo della cella da una sostanza appiccicosa prodotta dalla regina stessa.
L’uovo rimane tale per circa 3 giorni, dopo di che ne fuoriesce una larva che rimane coricata sul fondo ed assume, generalmente, la forma di una “C” molto aperta.
Questa larva viene alimentata per i primi 3 giorni con la gelatina (o pappa) reale, poi, nel caso sia operaia o fuco, viene alimentata con nettare e polline.
Passati dai 7 ai 9 giorni dalla schiusa, durante i quali la larva è cresciuta molto rapidamente, la celletta viene opercolata (coperta) da una cera porosa che permette il passaggio dell’aria, all’interno di questa cella l’ape subisce diverse mute ed fuoriesce dalla cella solo quando è completamente formata.
Dopo la deposizione l’ape regina per sfarfallare impiega circa 16 giorni, mentre l’ape operaia 21 e il fuco 24.Curiosità
Le ali delle api si muovono molto velocemente, circa 200 battiti al secondo!
Ogni ape riesce a trasportare 60mg di nettare, 25mg di acqua e 15 di polline. Considerando che un’ape media pesa meno di 100mg è come se un uomo trasportasse un carico di quasi un quintale!
Per poter produrre circa un chilo di cera occorre che un ape voli per 530’000 km per la raccolta di tutto il necessario (acqua, polline e nettare), ovvero ben 12 volte il giro dell’equatore!
Le api riescono a volare alla velocità di 24-25 Km/h!
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