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Giu 02 2015 Albero del miele (Evodia Tetradium Danielli)
Origini e forma
L’Albero del miele (Evodia Tetradium Danielli) è originario della Cina e della Corea.
Nei primi 3-4 anni cresce in maniera molto veloce, anche 2 metri l’anno, raggiungendo in pochi anni i 10 metri ed oltre di altezza; successivamente, la crescita rallenta con l’avanzare dell’età ma la pianta può raggiungere e superare anche i 15-20 metri di altezza.
In assoluto è la pianta più mellifera conosciuta: i suoi fiori producono nettare in quantità superiore ad ogni altra pianta conosciuta. Confrontandola con la robinia, si può calcolare che su un ettaro di terreno la prima renda circa 600-700 kg. di miele mentre l’Evodia arriva facilmente a superare i 1.200 kg.
La principale caratteristiche dell’Evodia è quindi la sua fioritura. I piccoli fiori, di colore bianco-crema, sono raggruppati in una infiorescenza (corimbo) ed emanano un intenso profumo mellifero.
Di fondamentale importanza è anche la durata della fioritura: essa inizia verso la fine di luglio e può protrarsi anche per oltre mese e mezzo. Va pertanto a coprire un periodo in cui le fioriture mellifere sono abbastanza scarse. Al termine della fioritura, verso ottobre, compaiono piccoli frutti di colore arancione.
Albero di ottimo aspetto, può essere messo a dimora in qualsiasi giardino anche a scopo ornamentale. La distanza di piantagione tra altri alberi o manufatti non deve però essere inferiore ai 7-10 metri considerando il notevole sviluppo della chioma dell’albero adulto.
Per quanto riguarda la longevità, si consideri che, introdotta in Europa oltre 100 anni fa, in alcuni giardini botanici ne esistono tutt’ora esemplari viventi.
Sopporta bene le basse temperature, soprattutto da adulta, mentre da giovane è bene proteggerla durante gli inverni troppo rigidi.
L’Evodia tetradium Danielli, adulta, ha una soddisfacente resistenza al freddo, le piante caducifoglie sopportano alle nostre latitudini temperature medie minime annue da -13° a -17°C.Non richiede terreni particolari per crescere in modo ottimale, tuttavia non gradisce suoli compatti e stagnanti. Avendo un apparato radicale sviluppato fino a grande profondità, non teme anche lunghi periodi di siccità.
Si tratta di arbusti e alberi sempreverdi o caducifogli (quelli importati in Europa quasi esclusivamente decidui) che a causa delle foglie composte assomigliano notevolmente al nostro frassino comune (Fraxinus excelsior).
I germogli annuali di queste specie inizialmente sono coperti di una peluria grigiastra e fitta. A causa delle foglie e del loro odore, la pianta veniva chiamata “frassino puzzolente” nelle sue aree di maggior diffusione (paesi del centro Europa, Germania, Austria).
Le foglie composte, opposte e imparipennate presentano forme diversificate e rispetto al frassino sono maggiormente ovaliformi e largamente lanceolate; inoltre risultano più coriacee.
Nelle fasi iniziali, le giovani piantine devono essere coltivate in consociazione con alberi più grandi ombreggianti, i quali (o dai quali) dovranno essere progressivamente allontanati nel corso del ciclo produttivo per garantire un maggior soleggiamento. Questo è molto importante per il futuro sviluppo dei fiori e quindi per la produzione di nettare.
La pianta è monoica a fiori monosessuali (sessi separati), riuniti in infiorescenze distali ad ombrello, lunghe circa 25 cm, oppure raggruppate in una larga pannocchia.
I fiori sono bianchi con screziature da giallo-verde a bianco sporco e diffondono un profumo aromatico. Assomigliano notevolmente alle infiorescenze del sambuco. Il polline è giallo chiaro. All’interno dell’infiorescenza circa 2/3 dei fiori sono maschili; a quanto pare basta il nettare da 3 a 5 fiori non ancora visitati dalle api, per riempire la sacca mellifica di un’ape.
I frutti rosso bruni sono costituiti da 4 a 5 valve lunghe da 2 a 8 millimetri che a maturità si aprono a stella, simili a quelli della Phaeonia, anche se di dimensioni minori.
Per la germinazione i semi necessitano di un periodo di freddo; per questo motivo la conservazione durante l’inverno dovrà avvenire per esempio in un contenitore di vetro in un deposito non riscaldato, al fine di garantire una ottimale quantità di freddo.
La semina primaverile avrà successo solo se i semi dormienti avranno trascorso il necessario periodo di freddo. Il potere germinativo è comunque variabile; in caso di scarsa germinabilità è necessario effettuare una semina a stratificazioni, al fine di garantire il miglior adattamento possibile al clima del luogo.
Le foglie, somiglianti a quelle dell’alloro, presentano un profumo molto aromatico, quindi si potrebbe ipotizzare un loro uso come incenso e repellente contro gli insetti. Anche la vicinanza di un albero ha già degli effetti nell’allontanamento di zanzare o insetti fastidiosi e potrebbe essere un buon rimedio per tenere lontani tali insetti dall’abitazione.
Nella medicina cinese i semi dell’Evodia sono usati sotto forma di infuso per contrastare cefalee, emicranie croniche e diareea, oltre che come stimolante del sistema immunitario.
Le foglie, una volta cadute, vengono degradate facilmente da citellati ed altri animali del suolo, con le conseguenze positive per la fertilità del terreno. La presenza di frutti oleosi rende questi alberi molto importanti come fonte di nutrimento per l’avifauna.
Vantaggi per l’apicoltura
Le piante fioriscono piuttosto tardi (da luglio a metà settembre), con una variabilità legata al clima e al terreno.
Il “paradiso del nettare”, a seconda dell’andamento meteorologico, può durare anche fino ad ottobre, durante la fioritura, su ogni infiorescenza, si possono trovare gruppi anche di 100 api. Grazie all’elevato apporto nutritivo, le api si lanciano voracemente sui singoli fiori (si possono anche trovare 3 api contemporaneamente su un singolo fiore).L’albero, a causa della tarda fioritura, costituisce per numerosi insetti un ideale supporto verso la fine della stagione vegetativa (da qui deriva il nome inglese dell’albero Bee bee-Tree). In America anche il tiglio americano viene chiamato allo stesso modo.
Alcuni definiscono il sapore del miele prodotto dell’albero come “particolare”, simile a quello di un farmaco. Ci vuole del tempo per abituarsi all’odore e al sapore del miele di Evodia.
Il miele già esistente nei melari dovrebbe essere smielato prima della produzione di miele di Evodia, il quale dovrebbe essere lasciato alle api esclusivamente come nutrimento. Anche i buongustai non apprezzano particolarmente questo tipo di miele.L’elevata, tardiva e duratura produzione di fiori e quindi di nettare hanno spinto gli apicoltori ad introdurre questa pianta nei nostri ambienti.
L’apporto nutritivo in fase autunnale è prezioso per le api, rafforzandole in previsione dello svernamento. Ci sono indizi che il fiore, durante la fioritura principale da luglio a settembre, rafforzi il ciclo riproduttivo delle api.
Semina a Stratificazione
Se si vuole evitare il rischio di una piantumazione di piante giovani, molto sensibili al gelo, si consiglia di far germogliare i semi attraverso una semina a stratificazione al freddo e di far crescere i germogli adattandoli gradualmente al clima locale.
L’albero del miele fa parte delle piante per le quali i semi sono in grado di germinare solo dopo aver attraversato un periodo di freddo, e grazie alle temperature fredde, viene indotta la produzione di ormoni che stimolano la germinazione.I semi vengono posti in inverno in casa per circa due settimane con una temperatura di 18-22°C, in vasi pieni di terra e costantemente inumiditi. Successivamente vengono posti all’esterno, in un luogo non soleggiato, riparati dagli agenti atmosferici e da animali (sono sufficienti stanze non riscaldate od un frigorifero regolabile).
Da febbraio a marzo, per un periodo di 6 settimane la temperatura dovrebbe aggirarsi intorno agli 0°C (con una tolleranza da -5° a +5 °C). Quando le giornate iniziano inevitabilmente a riscaldarsi, allora è possibile iniziare ad innaffiare i semi in aiuole a mezzombra (naturalmente l’autore fa riferimento alla situazione climatica austriaca.Proprietà medicinali
Quando penso alla salute delle nostre api, ho in mente il pregio di una pianta nettarifera. Più variegata è l’offerta nettarifera, più in salute saranno i popoli delle nostre api.
Le api, non solo sono molto laboriose, ma il loro comportamento offre spunti interessanti anche dal punto di vista umano, nella loro fisiologia, non sono paragonabili ai mammiferi (ai quali appartiene anche l’uomo) esse lavorano sempre con un forte istinto verso l’allevamento delle loro larve.
La loro economia è basata sul principio delle scorte e dell’immagazzinamento, le api, probabilmente sono in grado si selezionare, in modo intelligente, il nutrimento ideale per riuscire a sopravvivere all’inverno.Le api adulte svernano meglio se in autunno hanno immagazzinato polline e nettare con proprietà medicinali.
Ci si pone la domanda se il nettare abbia queste proprietà benefiche non solo per le api adulte ma anche per le larve, che il polline di Evodia impedisca la crescita di alcuni batteri sembra essere una cosa ormai certa.Per capire l’importanza di questa pianta per l’apicoltura, è lecito gettare lo sguardo sulla medicina umana.
Nella medicina popolare giapponese e cinese, i semi ed i frutti quasi maturi (probabilmente anche le foglie) vengo utilizzati a fini terapeutici. In Giappone, da anni, nella medicina generale “alternativa” (la cosiddetta medicina Kampo della fitoterapia giapponese), viene esaminata l’efficacia del succo estratto dai frutti e dai semi rossi e neri dell’Evodia hupehensis e dell’Evodia rutaecarpa, si sono riscontrati risultati positivi nella lotta contro l’emicrania e la diarrea.Si è giunti alla conclusione che non una singola sostanza isolata, ma l’insieme di diverse sostanze presenti nella pianta hanno un effetto sinergico.
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Apr 10 2015 Non piangere perché è finita, sorridi perché è accaduto.
Ciao a tutti,
la primavera è iniziata da oramai più di un mese ma fa male vedere che nel proprio apiario non vola neppure una piccola ape. Le arnie, che durante l’inverno erano macchie sfavillanti di colori accesi immersi nella campagna spenta, riposano in magazzino completamente ripulite e soprattutto piene solamente di telaini con miele e polline che le precedenti inquiline non sono riuscite a consumare.
Ebbene sì, come avrete ben capito, anche le altre due arnie non hanno superato l’inverno appena trascorso. Ho ricercato la motivazione per sfuriate settimane analizzando con estrema cura le arnie nella loro interezza. Siccome può capitare a tutti, soprattutto all’inizio, di commettere errori voglio condividere questa mia analisi con voi.
Il primo indizio rilevante è che le famiglie di sono spente una alla volta, a distanza di qualche settimana l’una dall’altra, e non tutte contemporaneamente, questo mi fa escludere un avvelenamento o qualche malattia molto aggressiva.
All’interno delle arnie era tutto in ordine, non vi era sporcizia o feci e quindi anche il nosema (malattia che colpisce l’intestino delle api) lo si può escludere.
Le api per la maggior parte sono morte all’interno dell’arnia, spesso rimanendo anche aggrappate al telaio dove hanno trascorso gli ultimi attimi della loro esistenza.
Come potete vedere anche dalla foto riportata, vi era presenza di covata, anche se sparsa, quindi non si può neppure affibbiare la colpa ad una regina che non faceva il suo dovere.
La posizione della api su quel telaino mi fa presupporre che siano morte a causa del freddo, il loro numero deve essere diminuito gradualmente fino arrivare al punto nel quale non riuscivano ne a tenere la covata al caldo, ne a scaldarsi tra di loro.Il freddo è sicuramente la mano gelida dell’assassino che ha compiuto il delitto, ma chi è il mandante? Chi ha deciso che queste famiglie dovessero perire?
Purtroppo questa foto non lascia scampo al colpevole:Ebbene sì, nonostante i miei precedenti sopralluoghi in apiario non mi sono accorto che i trattamenti che avevo effettuato per la varroa erano stati troppo leggeri e questo ha portato al vero e proprio collasso delle famiglie.
Quindi concludendo il mandante di tutta questa brutta situazione è stata la mia inesperienza che ha permesso all’acaro di distruggere tutto l’apiario.
Ho riflettuto a lungo, le domande sono state molteplici, ma non posso lasciare che una singola sventura mi allontani da questo mondo, quindi non demordo e, dopo aver già ordinato due nuovi nuclei, sono pronto ad affrontare il 2015 con sicuramente più esperienza ma soprattutto con una gran voglia di riscatto.
Ci sentiamo presto con l’arrivo dei due nuovi nuclei in apiario.
Al prossimo post, bzzz‼
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Gen 10 2015 Se il tuo scopo è grande e i tuoi mezzi piccoli, agisci comunque, perché solo con l’azione essi possono crescere in te.
Ciao a tutti e buon anno nuovo,
è da ottobre che questo blog è fermo sia a causa dell’inverno che fa rintanare le nostre amiche api all’interno delle proprie arnie per stringersi l’una all’altra nel tentativo di scaldarsi, sia perché ho avuto il mio da fare.
In occasione dell’arrivo del nuovo anno ne ho approfittato per rinnovare un pochino il blog, soprattutto il logo che ne aveva veramente bisogno, e per inaugurare una nuova zona denominata l’Angolo ricreativo nel quale ognuno di voi può lasciare un commento per effettuare qualche richiesta, levarsi un dubbio, scatenare una discussione costruttiva, insomma quello che volete.
Per non lasciarvi a bocca asciutta sulle notizie che riguardano le mie tre famiglie, durante le ferie natalizie mi sono recato in apiario due volte e durante la prima visita ho riscontrato che la famiglia che era all’interno dell’arnia verde era assai debole, il che mi aveva fatto sorgere il dubbio che tale nucleo non potesse superare l’inverno.
Nel giro di una settimana le temperature sono precipitate arrivando qualche tacca sotto lo zero.
Questo ha fatto in modo, a mio avviso, che la famiglia non abbia avuto il tempo per potersi organizzare e compattarsi arrivando così alla tragica morte per congelamento.
Ho provveduto a sistemare in magazzino l’arnia vuota e osservando i telaini ho notato la presenza ancora massiccia di miele, il che mi fa pensare che sia stato proprio il freddo a ucciderle e non la fame.
Le altre due famiglie nel complesso sembrano stare bene, mangiano, la caduta di varroa è cessata completamente e quando vi sono giornate in cui si superano i 10°C si vedono i voli purificatori nei pressi delle arnie.
L’inverno è ancora assai lungo, ma spero di riuscire a svernare entrambe le famiglie così da poter ripopolare anche l’arnia che ora dorme beata in magazzino.
Non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento al prossimo post, bzzz‼
P.s.
Incrociamo le dita per il 2015, che possa essere un’anno pieno di soddisfazioni per tutti.
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Ott 26 2014 Abbiamo di che vivere con ciò che prendiamo, ma costruiamo una vita con ciò che doniamo.
Ciao a tutti,
quest’anno non è di certo andato come previsto. Sono finalmente riuscito a ritagliarmi qualche minuto di tempo per poter postare in questo blog. Come state?
Nell’ultimo post di metà luglio la situazione era stabile, il nuovo nucleo stava crescendo bene e velocemente e il tutto mi faceva sperare in un bel raccolto di miele.
Ahimè le cose non sono andate come previsto, infatti l’arnia verde ha (giustamente) pensato alle proprie scorte non riuscendo a salire a melario, l’arnia blu (a causa dell’orfanità) ha intasato il nido con il miele, infatti quando la regina è divenuta feconda non vi era abbastanza spazio per iniziare la deposizione e questo ha rallentato di molto questo nucleo, mentre l’unica ad essere andata in produzione è stata l’arnia arancio che nel complesso ha raccolto ben 16 kg di miele.
Costruzione smielatore auto costruito
La prima settimana di Agosto ho avuto le ferie e, sapendo che almeno un melario era pronto, poiché completamente opercolato, mi sono rimboccato le maniche per costruire lo strumento che mi avrebbe aiutato in questa importante operazione.
Lo smielatore è formato da un bidone di latta, una barra filettata, due cuscinetti a sfera con tanto di staffa, due cerchi da bicicletta, due barre e relativi terminali e tantissime viti e bulloni.
Assemblare il tutto è stato abbastanza semplice, nulla che un flessibile, un trapano e le chiavi inglesi non possano fare. Per prima cosa ho rovesciato il bidone sotto sopra in maniera tale da avere i tappi nella parte sottostante e poi, con il flessibile, ho tagliato il fondo all’altezza che ritenevo più giusta.
Una volta fatto ciò ho preso la barra filettata e con l’aiuto di alcuni bulloni ho fermato i due cerchi alla distanza che mi consentiva di incastrarci dentro un telaino da nido senza che esso si muovesse troppo.
Alla fine ho concluso il tutto fissando le barre, mantenendole incrociate volutamente, al bidone e fissando la barra filettata con i cerchi ai cuscinetti a sfera che avrebbero facilitato la rotazione senza porre nessun attrito.
Dopo un sacco di lavaggi con prodotti chimici e dopo altrettanti risciacqui ho controllato che non vi fossero residui e ho proceduto con la smielatura agganciando nella parte alta dello smielatore un trapano elettrico.
C’è da dire che con telaini pieni occorre fare attenzione con il trapano e dosare la potenza gradualmente poiché se se ne eroga subi troppa si rischia di distruggere i telaini inseriti, cosa che infatti è successa alle prime due cavie inserite.
Terminata questa fase ho travasato tutto dentro a due pentole in acciaio inox lasciando il miele a riposare, coperto, per circa 15 giorni, dopo i quali ho provveduto all’invasamento.
Il tempo passa, vola..
Da agosto fino alla settimana scorsa il clima è sempre stato per la stagione calda e soleggiata quindi la situazione in apiario non è mai cambiata, fino a che non è arrivato il primo freddo e a quel punto nei nuclei sono scomparse tutte le covate maschili che fino ad una settimana prima erano presenti, poi quando le temperature hanno iniziato a scendere anche la notte la regina ha iniziato a rallentare la deposizione di operaie fino proprio a cessarla questa settimana.
Visita del 25-10-2014
L’ultima visita che ho effettuato è stato sabato 25 ottobre e la situazione è ben delineata in tutti i nuclei, ovvero, le api stanno spostando le scorte di miele tutte da una parte poiché abbandoneranno il prima possibile i telaini più esterni, ma passiamo alla situazione dettagliata famiglia per famiglia:
Arnia verde
L’arnia verde, contenente la famiglia che è sciamata (con la regina vecchia), presentava un cassettino sporco solamente nella parte sinistra il che significa che le api stanno lavorando maggiormente in quel lato )anche perché è presente ancora il diaframma che le tiene su 7 telaini. Già da questa visione ho capito che a destra dello spazio a loro disposizione vi erano le scorte e che avrebbero dovuto traslocarle per poter passare l’inverno senza effettuare molta strada per recuperare il cibo.
Aprendo l’arnia ho avuto conferma di quanto avevo supposto e in più ho notato la totale assenza di covata fresca, ma la presenza solamente di covata opercolata.
La regina, sentenziosa, deve aver sentito il cambio climatico e ha deciso di attendere qualche tempo prima di deporre altre uova, entrando il quella fase chiamata “blocco di covata” e nel quale si effettuano i trattamenti contro la varroa (presente in quantità notevole in questa arnia intuibile anche dalla quantità di acari morti nel cassettino.
Arnia azzurra
L’arnia azzurra, contenente la famiglia che ha “subito” la sciamatura e che ha provveduto a farsi una nuova regina è quella che possiede più scorte di tutte, ma si sta comportando nella stessa maniera, ovvero sposta il miele per averlo più vicino durante l’inverno.
Estraendo il cassettino da questa arnia mi sono stupito, in negativo, poiché ho trovato un pugno di api morte che non vi sarebbero dovute essere.
La causa di questo fenomeno non mi è chiara anche se ho formulato alcune ipotesi, ho comunque richiesto i pareri di altri apicoltori e non appena avrò notizie più certe rispetto a delle ipotesi fatte da un principiante sarà mia premura avvisarvi.
Per ora posso solo dire quello che è certo, ovvero che anche questa arnia ha una quantità abbastanza elevata di varroa che sarà spazzata via dai trattamenti effettuati probabilmente settimana prossima, che le scorte si trovano sempre nella parte destra della famiglia ma che le api si stiano preparando a passare l’inverno nel lato sinistro.
Inoltre ho cercato di effettuare uno scatto ravvicinato al vassoio così da rendere ben visibili le varroe, che sarebbero i piccoli scudi marrone-rossi presenti tra i detriti, che vi riporto qui sotto.
Sono ben visibili più di una varroa, ma ce ne una al centro della foto che si nota velocemente, si trova a destra del truciolo giallo di polline.
Quel che non vi ho detto è che quando sono arrivato in apiario questa arnia presentava ben due intrusi, il primo era un ragno enorme e ancora vivo appollaiato sul retro dell’arnia la cui ragnatela era talmente robusta che ho fatto fatica io stesso a staccarla dalla parete per riporlo qualche decina di metri più lontano.
Mentre la seconda intrusa era questa misteriosa farfalla (credo che sia una falena notturna) che ha incastrato la resta nella porticina dell’alveare, probabilmente incuriosita dal tepore che emanava e, dopo essere stata aggredita dalle api, è perita in quella posizione.
Fa comunque riflettere come l’ape non abbia paura di creature molto più gradi di lei (basti pensare che attacca anche l’uomo se infastidita) e che riesca a uccidere creature che sono anche 20 volte lei, come il caso di questa falena.
Comunque la famiglia al suo interno si è manifestata forte e in pieno lavoro di preparazione per l’inverno, quindi neppure i due intrusi o il misterioso evento che ha fatto perire quel pugno di api, hanno intaccato l’equilibrio instaurato nel nucleo.
Arnia arancio
Questo nucleo non smette mai di stupirmi, appena arrivate nel mio apiario mi ha colpito la loro aggressività, poi la loro produzione di miele ed infine la totale assenza di varroa che ho riscontrato nel fondo durante l’ultima visita.
Naturalmente non sono così stolto da credere che non vi sia per nulla, anzi potrebbe essere anche più infestata delle altre due famiglie, ma mi ha fatto specie ritrovare dopo due settimane un cassettino completamente pulito.
Come le altre due arnie, anche questa si sta preparando per l’inverno spostando le provviste e avendo fermato la deposizione delle uova, quindi non mi rimane che trattarla per la varroa e vedere se effettivamente ne era priva o semplicemente sono meno capaci di spulciarsi a vicenda.
Una cosa che ho introdotto in una delle visite di fine luglio sono le clip colorate per differenziare gli anni dei telaini, in modo da effettuare la giusta rotazione che vede il rinnovarsi di due telaini ogni anno così da avere al massimo telaini vecchi 5 anni. Questo modo di operare fa parte delle buone pratiche apistiche che riducono i rischi di malattie come, ad esempio, la peste americana ed europea.
L’estate sta finendo e il sole se ne va..
Con l’arrivo dell’inverno e della fine della stagione apistica credo che una riflessione sia d’obbligo sia per analizzare il mio primo anno in apicoltura, sia per comprendere che cosa mi ha arricchito in questo primo anno di avventura.
Quello che non mi immaginavo assolutamente all’inizio di tutto questo trambusto è che si è realizzato oltre ogni mia aspettativa è quanto le api e l’apicoltura in generali muti in continuazione, puoi visitare le api e dopo una sola settimana tornare a visitare lo stesso nucleo e trovare tutto sconvolto, capovolto, mischiato, confuso.
Un mondo davvero interessante, impossibile da comprendere a pieno, ma bellissimo da ammirare e soprattutto da vivere.
Il momento che mi è rimasto più nel cuore e quello che porterò per sempre con me è stato quando sono andato a raccogliere le api che erano sciamate: svegliarmi la mattina con il sorgere del sole, recarmi in apiario prima di andare a lavorare, trovarle strette, unite in un solo essere, scrollarle, sconvolgere il loro equilibrio, indirizzare la regina dentro al cassettino, ammirare come si richiamavano a vicenda, chiudere il cassettino, portarle lontano, andarle a riprendere una settimana dopo, travasarle. Magnifico, davvero l’esperienza più bella che mi potesse capitare.
Ora non mi resta che prepararle al meglio per l’inverno, scrollando da loro tutto il carico di varroa che anno accumulato questo mese e aiutarle con l’alimentazione nel caso ne necessitassero.
Spero di riuscire a far passare questa temibile stagione a tutte e tre le famiglie e riprendere sia con il blog che con l’apicoltura a inizio stagione.
Un piccolo rammarico però ce l’ho, quello di non essere riuscito a postare ad ogni visita effettuata in apiario, pazienza, sarà l’obbiettivo per l’anno prossimo.
A presto, bzzz!
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Lug 14 2014 La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.
Ciao a tutti,
è da veramente troppo che non pubblico un post in questo blog per aggiornare lo stato della mia avventura, ma sono stati due mesi davvero tosti dove ho dovuto lavorare fino a sera inoltrata e non ho avuto tempo di fermarmi a scrivere.Ci eravamo lasciati che entrambe le arnie in mio possesso erano in ottima salute e avevano ricoperto tutti i telaini a loro disposizione.
Riprenderò il mio racconto proprio dalla visita successiva a quella che vi ho descritto nel precedente post.Non credo di avervelo detto precedentemente ma io visito regolarmente l’apiario una volta a settimana per non recare troppo disturbo alle nostre amiche.
Arnia Azzurra
Durante la visita successiva, ispezionando un po’ sommariamente perché avevo poco tempo a disposizione, avevo costatato che il tutto stava procedendo bene e, non essendo troppo convinto sul da farsi, ho optato per aspettare ancora una settimana per deporvi il melario.
Errore che ho pagato nel giro di qualche giorno poiché dalla suddetta arnia il 18 giugno verso l’ora di pranzo è partito uno sciame che si è fermato, nel giro di una decina di minuti, a una quindicina di metri dall’arnia di partenza.Io essendo al lavoro non ho potuto fare altro che sperare che la mattina successiva fossero ancora lì e non avessero già trovato un’altra dimora.
Con l’emozione che riempiva il cuore fino a farlo esplodere mi sono alzato presto e sono andato sul luogo dove avevano visto lo sciamo posarsi, mi sono avvicinato e l’ho trovato ancora lì.Non potendo tagliare la vite ho deciso di creare una piccola struttura sospesa da terra e, una volta che il porta sciami fosse stato in posizione, agitare convulsamente la vite per farle precipitare all’interno della cassa.
A questo punto ho cominciato a cercare la regina, sapevo che era marcata (infatti al contrario di quello che molte persone pensano, quando una famiglia sciama la maggior parte delle volte è la regina vecchia che lascia la casa e vola via) di rosso e desideravo capire se era caduta all’interno della cassetta oppure no.
Seguendo con lo sguardo il flusso di api che risaliva la vite l’ho avvistata e, con estrema cautela, l’ho afferrata e appoggiata su un lembo della cassa.
Ho atteso qualche minuto per osservare che cosa avesse intenzione di fare la regina, ma tranquilla tranquilla si è infilata tra due telaini agevolandomi ulteriormente il lavoro.
A quel punto non ho fatto altro che agitare ulteriormente la vite, spostare tutta la cassetta sulla terra ferma, chiuderla (lasciando aperta una via) e attendere che tutte le api entrassero nella loro nuova dimora.La stessa sera, al ritorno dal lavoro, ho preso il nucleo (l’ho sigillato) e l’ho portato in un appezzamento di terra che dista più di 3 chilometri dal mio apiario.
Ad una settimana di distanza le ho riportate in apiario e le ho trasferite all’interno di una nuova arnia Verde speranza.
Tornando all’arnia Azzurra, le api che sono rimaste fedeli alla nuova regina hanno continuato ad importare nettare, immagazzinandolo non nel melario ma bensì nel nido ingolfando un pochino la deposizione della nuova regina (che ho avvistato finalmente nella visita effettuata il 12 luglio) e non costruendo più di tanto il melario.
Ricapitolando l’arnia azzurra sta riprendendo il suo normale ritmo con una nuova regina nata probabilmente qualche giorno prima della sciamatura e, spero, che riprenda a costruire nel melario per l’ultimo mese che glielo lascio (ho programmato di levare tutto ad agosto per lasciare più scorte possibili alle famiglie).
Arnia Verde
Questa nuova famiglia nata a seguito della sciamatura si sta sviluppando velocemente, è impressionante vedere la velocità con la quale uno sciame tira della cera, infatti nel cassettino non vi erano favi già costruiti ma solamente fogli cerei che sono stati completamente costruiti nel giro di una settimana.Avendo deciso di tenere più stretta possibile la famiglia ho introdotto nell’arnia un diaframma che separasse il nucleo dai fogli cerei presenti all’interno dell’arnia (mi hanno infatti insegnato che è meglio riempire completamente ogni spazio all’interno dell’arnia poiché le api prediligono gli spazi vuoti per costruire).
Ora questa famiglia si è allargata fino ad occupare sette telaini e credo che la prossima settimana sarò costretto ad allargarla fino a 9.
Arnia Arancio
Quest’arnia sarà l’unica che probabilmente quest’anno mi fornirà del miele da porte consumare.
L’unica pecca rimane l’aggressività, che alla fine dei conti non è un ostacolo così insormontabile.Fino ad oggi si è sviluppata, ha costruito il primo melario (riempiendolo completamente questa settimana) e ora vedrò come si comporta con il secondo.
Durante l’ultima visita ho estratto il telaini trappola dal nido (utilizzato per la lotta bio meccanica alla varroa, di cui non ho trovato traccia) e vi ho eliminato tutta la covata maschile presente.
La stessa operazione dorò effettuarla, probabilmente, alla prossima visita nell’arnia azzurra.
Riassumendo le cose stanno procedendo bene, ho tre famiglie in ottima forma di cui una riesce probabilmente a fornirmi il primo miele da assaggiare.
Spero di riuscire a scrivere la visita la prossima settimana e di documentarvela con foto e video.
A presto, bzzz‼
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Mag 31 2014 Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.
Ciao a tutti,
come oramai di abitudine devo scusarmi per non essere riuscito a postare regolarmente ogni qualvolta ho effettuato una visita, ma, per impegni vari e periodo particolarmente frenetico, non ho avuto modo di avvicinarmi alla tastiera per condividere con voi la mia esperienza.L’ultimo post che avevo scritto riguardava l’arrivo dei due nuclei nel mio apiario, da allora ogni settimana ho effettuato la consueta visita per capire lo stato delle famiglie e anche per prendere la mano con quelle piccole routine che accompagnano ogni apicoltore per tutta la durata della sua avventura.
Quando i nuclei sono arrivati erano composti da 5 telaini: due di scorte e tre di covata.Già alla prima visita essendo ancora in piena fioritura dell’acacia ho introdotto due foglie cerei per arnia, in questo modo le famiglie si sarebbero espanse fino ad occupare 7 telaini.
Nella visita della settimana successiva ho scoperto, con straripante felicità, che avevano costruito, tutte e due le famiglie, entrambi i fogli cerei che avevo introdotto, ma non essendo ancora utilizzati se non per quale pallina di polline sparsa qua e la ho deciso di lasciare decantare la situazione.
Purtroppo non ho ne foto ne video che testimoniano queste visite poiché essendo le prime volte volevo concentrarmi più sulle api e sui gesti da compiere che sull’immortalarle.Nella visita del 24/05 conclusa la fioritura dell’acacia, ho riscontrato una presenza massiccia di scorte e per questo ho deciso di introdurre altri due fogli cerei per portare le famiglie ad occupare 9 telaini.
Durante questa visita sono riuscito ad avvistare entrambe le regine e, anche se era vi era presenza di covata fresca, questo mi ha rincuorato ulteriormente e mi ha fatto sperare per il meglio.
Sono riuscito, anche se con una qualità non molto alta a filmare parte della mia visita, ovvero quella sulla cassa arancione, che ho costatato essere un pochino più aggressiva rispetto l’azzurra.Trascorsa un’ulteriore settimana eccoci arrivati alla visita avvenuta il 31/05/2014 e nella quale ho costatato, oltre allo stato generale della famiglia, se avessero costruito o meno i fogli introdotti la settimana precedente.
Arnia Azzurra
Come oramai d’abitudine ho ispezionato prima l’arnia azzurra che, essendo di natura più tranquilla, non mi crea grossi problemi. C’è da dire che la giornata non era molto favorevole in quanto la notte aveva piovuto forte e il sole incominciava a penetrare tra le nubi proprio quando visitavo l’apiario, inoltre ogni tanto si alzava qualche folata di vento freddo che infastidiva le api.L’arnia azzurra che era partita più deboluccia rispetto all’arancione ora ha raggiunto lo stesso livello di popolazione e anche a livello di telaini di covata è sullo stesso livello, ovvero possiede i due telaini più esterni con ricche scorte di miele e polline, mentre in quelli centrali è presente una gran quantità di covata che al momento dello sfarfallamento (ovvero quando un’ape completamente formata esce dalla cella che era stata precedentemente opercolata dalle compagne) ricoprirà abbondantemente ogni telaino, costringendomi probabilmente a posizionare il melario poiché altrimenti avrebbero troppo poco spazio per muoversi.
Durante la mia visita ho potuto anche costatare la presenza di fuchi (i maschi delle api) che scorrazzavano liberamente per i telaini producendo ogni tanto il loro caratteristico ronzio, molto diverso da quello prodotto dalle ali delle operaie.
Con la macchina fotografica ne ho voluto immortalare uno il cui ronzio sovrastava spesso quello degli altri, tanto caratteristico che mi ha permesso di scovarlo nel telaino ed catturarlo, sono da notare le dimensioni rispetto alle operaie, si vede che è stato alimentato bene.Prima di richiudere quell’arnia ho notato un’ape solitaria stranamente scusa, non so dire se si tratti di una ape anziana, di un’individuo affetto dal mal di maggio oppure se appartiene alla fantomatica casta delle api “ladre” di cui parlava il mio tutor durante il corso, fatto sta che mi ha incuriosito e vedrò di informarmi su che cosa sia realmente.
La visita all’arnia azzurra mi ha rivelato che la famiglia si trova in splendida forma e che ha costruito in maniera del tutto normale (anche se tagliando un pochino il foglio in prossimità dei fili maggiormente scoperti) i due telaini con foglio cereo che gli avevo precedentemente introdotto.
Speriamo che prosegua con questa marcia.Arnia Arancione
Per quanto riguarda l’arnia arancione, sono rimasto un pochino perplesso rispetto alla sua aggressività, poiché prima di addossare alla genetica la colpa voglio eliminare ogni altro fattore possibile. Prima dell’ultima visita ho provato a lavare la tuta da lavoro per vedere se fosse l’odore del veleno che le infastidiva ma non ho ricevuto i risultati sperati, durante la visita ho controllato che non vi fosse una cella reale perché credevo in una possibile sciamatura, ma, oltre aver rimosso la cella dove era uscita la regina attuale (che era ancora presente) non ne ho trovate altre.
Ho visto anche la regina che continua a deporre in maniera regolare e senza problemi evidenti, quindi credo che l’ultima mossa fattibile sia l’immissione del melario per vedere se è un problema di sovraffollamento, anche se non credo.
Per questa visita ho preferito fare un video in maniera tale da permettervi di gettare un’occhio, oltre al mio, dentro a quest’arnia.Nella seconda metà del video mi vedete allontanare poiché si stavano arrabbiando parecchio, infatti se osservate i pochi instanti che seguono il mio movimento per allontanarmi vedrete una flotta partire in volo e gettarsi verso la mia direzione.
La tuta e i guanti hanno fatto il loro dovere, ma vorrei arrivare a non doverli usare perché possiedo delle api molto tranquille e pacifiche, col tempo spero di riuscirci (ovviamente non addomesticandole, ma selezionando le famiglie più docili qualora dovessi fare delle regine).Detto questo non mi rimane che salutarvi e darvi appuntamento a settimana prossima. Bzzzz!
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Mag 05 2014 Forse il nostro universo si trova dentro al dente di qualche gigante..
Ciao a tutti,
è da qualche tempo che non scrivo in questo blog della mia avventura.
Il motivo di questo sostanziale silenzio stampa era dovuto al fatto che la mia avventura con le api non aveva ancora fatto il primo battito d’ali nel volo solitario, almeno fino ad ora.Finalmente dopo la conclusione del corso base sull’apicoltura tenuto dall’associazione forlivese apicoltori (A.F.A. per gli amici) e le tre lezioni pratiche che mi hanno permesso, oltre che di mettere per la prima volta le mani dentro una famiglia, soprattutto di conoscere altri ragazzi interessati a questo mondo e con cui sono sicuro si instaurerà una bella collaborazione, se non un’amicizia.
Detto questo passiamo alle cosa importanti:
da qualche tempo avevo ordinato i due nuclei che vorrei condividessero con me tutto questo percorso da un apicoltore di Bologna, il quale mi ha trasmesso da subito una straripante passione e una professionalità unica.Con immensa gioia e trepidazione da parte mia, ci accordiamo per effettuare il ritiro Domenica 4 Maggio (unico giorno non bersagliato da temporali, acquazzoni ed intemperie di ogni sorta), così preparo il tutto, svuoto il camioncino della ditta di mio padre a alle 18.30 io e la mia morosa partiamo con meta Bologna.
Attraversato il traffico spinoso del centro città, del tutto non abituale per dei provincialotti come noi, arriviamo nelle campagne Bolognesi e ci fermiamo dopo qualche minuto di ricerca davanti ad un cancello altissimo, degno di una reggia.
Iniziamo, temendo di non trovare il luogo dell’incontro, a cercare di capire nel navigatore dove dovevamo andare, ma solo quando il cancello si aprì ed uscì un ragazzo con in mano la maschera tipica dell’apicoltura capii che ci eravamo fermati nel punto giusto per puro caso.Passati i soliti convenevoli, decidiamo di aspettare che il volo delle operaie cessi per rischiare di chiudere fuori il minor numero possibile di api.
Impacchettate di tutto punto e legate con cura nel retro del camioncino prendiamo, consapevoli del nostro prezioso carico, la via del ritorno.Arrivati in apiario, senza troppe difficoltà, scarico i due nuclei ancora tutti sigillati e li posiziono sopra le arnie nelle quali poi dovranno essere trasferite l’indomani.
Essendo già molto tardi e le tenebre avevano avvolto il mondo già da diverso tempo, mi limito solamente ad aprire le due porticine e mi allontano, dopo aver fatto qualche scatto (ovviamente).Lunedì 5 Maggio mi sveglio presto e mi dirigo, ancora elettrizzato per aver portato le mie prime due famiglie nell’apiario, a lavoro.
Ebbene sì, non ho potuto (sebbene volessi) andare subito dalla api ed effettuare il trasloco, ma ho dovuto aspettare di rincasare la sera dall’ufficio.
Fiondato come un matto in apiario, mi sono vestito ed ho acceso l’affumicatore consapevole che avevo il tempo giusto prima che il sole tramontasse.Armato di buona lena e consapevole che l’obbiettivo non era una visita accurata delle due famiglie, ho iniziato a spostare il nucleo dell’arnia arancio:
l’ho appoggiato a terra lentamente, ho aperto interamente l’arnia facendo spazio per i 5 telaini che la famiglia già aveva costruito e utilizzava.
Con estrema cura e cercando di mantenere le mani più ferme possibili ho inserito nell’arnia la famiglia cercando di recare meno danni possibili, ma questo trauma così imponente giunto sul far della sera ha fatto si che le api si agitassero e anche convulsamente.
Dopo aver aggiunto due fogli cerei (quindi da costruire) tra le scorte e la covata, su suggerimento dell’apicoltore che me le ha fornite, ho richiuso l’arnia e mi sono allontanato di qualche metro facendo in modo che la quiete riprendesse possesso negli animi.Una volta ristabilito un minimo di ordine mi sono recato nuovamente vicino alle arnie, questa volta è stato il turno dell’arnia azzurra.
Anche in questa famiglia le operazioni da compiere erano le medesime, purtroppo anche questo intervento ha causato diverso scompiglio anche se in maniera leggermente inferiore.Allontanatasi la minaccia (ovviamente, io) il tutto è tornato calmo e pacifico nel giro di una decina di minuti, tant’è che quando sono tornato a riprendere i contenitori di cartone le operaie era tutte rincasate, e le poche addette al turno di guardia sbirciavano dalla porticina senza dare troppo peso alla mia presenza.
Giornata intensa, operazioni importanti portate a termine in breve tempo e soprattutto senza intoppi (speriamo).
In conclusione e da quello che ho potuto osservare nel breve tempo che ho visitato la famiglia mentre spostavo i favi, ho due bei nuclei anche se quello azzurro un pochino più deboluccio rispetto allo straripante arancio.
Questo fine settimana, tempo permettendo, effettuerò una visita come si deve per capire lo stato di entrambe le famiglie, fino ad allora:Buon lavoro‼ Sia alle api, che a voi e, non vedo perché no, anche a me.
Bzzzz‼
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Apr 04 2014 Patologie delle api – Lezione 7
L’ultima lezione di questo corso tratterà l’argomento “patologie delle api”, purtroppo capitolo molto importante, vasto e in continua evoluzione. In questa lezione saranno riassunte le nozioni essenziali, giusto per dare un’infarinatura generale.
P.s.
Per chi volesse c’è una petizione di Greenpeace che riguarda le api da vicino, se tenete al mondo che vi circonda il minimo che potete fare è firmare.
Trovate tutte le informazioni e la possibilità di firmare digitalmente a questo indirizzo: http://salviamoleapi.org/Acariosi
Si tratta della più grave malattia delle api adulte e fa parte di quelle malattie la cui denuncia è obbligatoria (la denuncia va effettuata all’autorità sanitaria locale secondo quanto disposto dall’art.154 del vigente Regolamento di Polizia veterinaria).
L’agente della malattia è un’acaro della famiglia dei Tarsonemidi: l’Acarapis woodi Rennie. Ha forma sub-ovale e dimensioni microscopiche.Presenta un certo dimorfismo sessuale, con la femmina leggermente più grande. A differenza della maggioranza degli acari, che sono ectoparassiti, l’Acarapis è un endoparassita che vive nell’apparato respiratorio (trachee) delle api adulte di tutte e tre le caste.
La malattia viene trasmessa dalla femmina feconda che penetra nelle trachee toraciche delle giovani api operaie nei primi 9 giorni di vita attraverso gli stigmi, ancora sufficientemente aperti, del 1° segmento toracico.
Qui l’acaro depone le uova, in media 5 o 6 fino ad un massimo di 10. Dall’uovo si sviluppa una larva che attraverso lo stadio di ninfa diviene adulta in 11-14 giorni.
Inizialmente il parassita rimane localizzato nel primo tratto della trachea da cui è entrato, ma poi si irradia nel sistema respiratorio circostante moltiplicandosi ulteriormente ed occupando il 1° paio di trachee toraciche.
Quando il numero di acari diviene considerevole le trachee vengono ostruite dal parassita e questo provoca carenza di ossigeno all’ape. In inverno ed in primavera gli acari escono dalle trachee delle vecchie api e si installano alla base delle ali dove si accoppiano, in tal modo ledono le articolazioni delle ali i cui movimenti cessano di essere coordinati e le api non riescono più a volare.
Le ali battono staccate, quando invece abitualmente sono agganciate l’una all’altra, ed a volte assumo una caratteristica forma a “K”.
L’evacuazione delle feci che normalmente avviene in volo, non può aver luogo, l’addome si dilata e le api finiscono per morire.Sintomi
I sintomi visibili dell’acariosi non sono caratteristici, simili come sono a quelli provocati da altre malattie o da intossicazioni: tremori e movimenti convulsivi del corpo , incapacità a volare, ritenzione delle feci, difficoltà anche a camminare; spesso si aggrappano alle erbe in prossimità dell’alveare per morire in lenta agonia.
Durante l’estate le operaie vivono meno di 6 settimane e la loro morte naturale sopraggiunge prima della seconda generazione del parassita, quindi i sintomi della malattia non compaiono e solo il microscopio può svelare la presenza dei parassiti. Le loro punture provocano infatti degli ispessimenti scuri nelle trachee facilmente individuabili.In autunno, ma soprattutto durante l’inverno, le api vivono molto più a lungo e se alcune di esse sono colpite la malattia si manifesterà in pieno da maggio a giugno.
Una colonia le cui api siano infestate al 50% prima dell’inverno, non ha alcuna speranza di sopravvivere.
Anche le regine possono ospitare l’acaro, tuttavia anche nei casi più gravi, pur perdendo le ali, continuano comunque a deporre.Profilassi e cura
Quando in un apiario si scoprono una o poche famiglie acariosate, soprattutto se la scoperta si effettua in autunno quando difficilmente una famiglia avrà la possibilità di sopravvivere o se ci si trova in una zona fino a quel momento esente da acariosi, se ne consiglia la distruzione. Questa va effettuata la sera, quando tutte le bottinatrici saranno rientrate, per asfissia delle api con annessa cremazione delle stesse e recupero dei materiali.
Negli anni sono state utilizzate numerose sostanze per la lotta all’acariosi. Allo scopo in Italia era stato dapprima registrato il clorobenzilato, poi il bromopropilato, che è stato impiegato anche per la lotta alla Varroa.
Dopo che è stata segnalata la possibilità di controllare l’acariosi col mentolo e con l’avvento della Varroa, sono aumentati gli studi nei confronti degli oli essenziali, soprattutto perché hanno dimostrato efficacia anche nei confronti del nuovo acaro.Varroasi
Si tratta di una pericolosissima malattia che colpisce sia la covata che gli adulti; viene trattata a questo punto perché è causata da un’altro acaro, Varroa destructor, specie appartenente alla famiglia Varroidae.
La Varroa destructor in origine era parassita dell’Apis cerana, alla quale non arreca particolari danni, in quanto si riproduce prevalentemente a spese della covata maschile, riuscendo così a convivere, anche grazie a particolari comportamenti di pulizia messi in atto dalle operaie.
L’occasione che ha consentito alla specie di passare sull Apis mellifera è stata offerta negli anni ’40, quando api europee furono introdotte in Asia Sud-Orientale per aumentare la produzione di miele.Eziologia e ciclo biologico
La V.destructor, a differenza di Acarapis woodi, è di dimensioni piuttosto cospicue e le femmine sono facilmente distinguibili ad occhio nudo. Sono di color bruno-rossiccio, di forma ellissoidale ed appiattita, a prima vista si potrebbero confondere con la Baula coeca, dalla quale si distinguono per avere quattro paia di zampe invece che tre e per aver il corpo più largo che lungo.
L’acaro possiede un apparato boccale pungente-succhiatore e si comporta da ectoparassita per tutta la durata della sua vita, sia a spese della covata sia a spese degli adulti.
V. destructor è caratterizzata da un notevole dimorfismo sessuale, i maschi sono bianchi-grigiastri più piccoli delle femmine e di forma più allungata.Essi muoiono entro pochi giorni dalla nascita, di solito più o meno al momento dello sfarfallamento delle api. I maschi adulti non possono assumere cibo in quanto le loro appendici boccali sono trasformati in organi atti al trasferimento delle spermatofore, contenenti gli spermatozoi, nelle vie genitali delle femmine.
Il ciclo biologico della varroa è sincronizzato con quello delle api. Quando le femmine sono prive di covata le varroe femmine svernano sul corpo delle operaie, normalmente infossate tra le lamine centrali dei segmenti dell’addome. Possono rimanere in questa situazione anche per sei mesi, in attesa che nell’alveare ricompaia la covata. Quando in primavera riprende l’allevamento di covata da parte delle api, anche le varroe riprendono il loro ciclo riproduttivo, ma non lo fanno all’improvviso, sembra invece che la ripresa sia estremamente graduale.
La riproduzione avviene esclusivamente all’interno della covata opercolata. Le femmine adulte penetrano all’interno delle celle contenenti larve di apri prossime all’opercolazione, quando le larve hanno 6-9 giorni se femminili, 7-10 se maschili. Qui, protette dall’opercolo nel frattempo apposto dalle operaie, si nutrono sul corpo dell’ape in via di sviluppo e depongono le uova.
Le varroe, figlie e vecchie fondatrici, abbandonano le celle attaccate al corpo delle api che sfarfallano. Le varroe possono compiere fino a 7 cicli riproduttivi, dopo di che muoiono di vecchiaia, tuttavia la maggior parte depone solo una volta e la percentuale che depongono tre volte è già molto bassa.Dinamica della popolazione di Varroa
Ipotizzando che un ciclo riproduttivo completo si compia mediamente in 17 giorni (5 giorni sulle api adulte e 12 entro la covata femminile o 3 giorni sulle api adulte e 14 giorni entro la covata maschile), durante la stagione riproduttiva (circa 7 mesi) si possono concludere circa 12 cicli.
E’ stato calcolato che gli acari che si sviluppano in celle da operaia hanno un coefficiente di moltiplicazione pari a 1.3, quelli che si sviluppano in cella da fuco di 2.6; in assenza di fattori limitanti, teoricamente una varroa presente all’uscita dell’inverno si moltiplicherà secondo il seguente schema:Come si è detto lo schema è teorico, in quanto occorre tener conto della mortalità naturale delle varroe, delle possibilità che a volte non venga depositato l’uovo maschile, ecc..
Ci si rende dunque chiaramente conto che la dinamica di sviluppo della popolazione di varroa è enormemente variabile. Se da un lato si può affermare in maniera semplicistica che mediamente la popolazione raddoppia mensilmente, dall’altro, per la complessità dei fattori in gioco, è assolutamente impossibile prevedere a priori la dinamica dello sviluppo di una popolazione nel singolo alveare.Rapporto varroa-ospite
La varroa si muove e riesce a riprodursi nell’alveare molto agevolmente pur essendo cieca. Oltre alle vibrazioni, essa utilizza principalmente l’analisi degli “odori” dell’alveare per essere guidata nei suoi spostamenti e nelle sue attività.
Prima di tutto l’acaro ha bisogno di riconoscere e distinguere le api adulte a seconda delle loro funzione all’interno dell’alveare. Le nutrici sono di fondamentale importanza, perché sono utilizzate dalla varroa come autobus per raggiungere la covata di età idonea ad essere parassitata.Effetti della parassitizzazione sulle api
E’ stato stimato che per ogni femmina di Varroa presente durante lo sviluppo dell’ape l’ospite perda il 3% dell’acqua del suo corpo. Ciò significa che mediamente il peso di api nascenti infestate da Varroa risulta ridotto dal 6.3 al 25%.
Le api parassitate emergono con più bassi livelli di concentrazione di proteine nella testa e nell’addome , dell’ordine del 20% e con più bassa concentrazione di carboidrati nell’addome. La concentrazione di lipidi non sembra invece alterata dalla presenza di varroa.
In queste condizioni l’aspettativa di vita delle api è ridotta del 50%. Tuttavia ciò non è sufficiente a spiegare l’alta mortalità ed il collasso che inevitabilmente sopraggiunge ad un alveare poco tempo dopo l’arrivo della Varroa.
L’8.5% delle api nascenti mostra deformazioni, ma tale valore è funzione del numero di acari presente nelle celle. Api con deformità evidenti quali riduzione di taglia, atrofia dell’addome, malformazione del pungiglione, delle ali e e delle zampe, nonché riduzione e disfunzione di svariate ghiandole sono comunque rinvenibili in tutti i livelli di parassitizzazione e ciò fa presumere che altri fattori possano essere coinvolti.
Acari posti su api contenenti nell’emolinfa un marcatore radioattivo acquistano il marcatore in 24 ore. E’ stato così possibile calcolare che ogni femmina adulta consuma 0.67mg di emolinfa in 24 ore.
In primavera le api parassitate presentano una riduzione degli emociti del 30% e un tenore di acidi nucleici nei tessuti muscolari significativamente ridotto.
Esse presentano anche nell’emolinfa un numero doppio di batteri rispetto ad api non parassitate.
E’ stato dimostrato che il marcatore radioattivo viene ritrasmesso alle api sulle quali l’acaro si va successivamente a nutrire, a conferma che la varroa è un importante vettore di patogeni per le api.L’infestazione da varroa può avere riflessi anche sul sistema immunitario dell’ape, col risultato di una più bassa capacità di difesa, che rende le api maggiormente suscettibili a svariati patogeni. Anche sui fuchi si verifica una diminuzione di peso proporzionale al numero di acari presenti nella cella. In taluni casi si può assistere alla nascita di mini fuchi dalla funzionalità assai dubbia. E’ stato verificato che i fuchi nati da celle parassitate non sono quasi mai presenti nelle zone di fecondazione, hanno un’attività di volo ridotta e meno sperma rispetto ai fuchi non parassitatati.
Sindrome da acari
La presenza costante della varroa può condurre a quella che è stata definita “sindrome da acari”. Questa sindrome sembra in qualche modo associata alla trasmissione da parte degli acari di diversi virus. Essa può risultare devastante per la colonia. Sia le api adulte che la covata possono risultarne colpite. Alcune dei sintomi associati alla sindrome, che possono manifestarsi in qualsiasi periodo dell’anno, ma con maggior frequenza in tarda estate sono i seguenti:
Nelle api adulte:- riduzione della popolazione;
- api con evidenti difficoltà di volo che lasciano l’alveare strisciando;
- sostituzione della regina;
- presenza anche di acari tracheali;
- api che lasciano in massa l’alveare anche in autunno inoltrato o inizio inverno.
Nella covata:
- covata irregolare;
- sintomatologia simile a peste europea, peste americana, covata a sacco (questi sintomi possono sparire a seguito di trattamento con acaricida);
- alcune larve risultano fuori posto nella celletta, altre liquefatte sul fondo della stessa;
- presenza di larve di color bruno, come nei primi stadi della peste americana, che però non presentano viscosità;
- in alcuni casi è osservabile la formazione di scaglie friabili e facilmente asportabili.
Nessun odore tipico è associato alla sindrome e all’esame al microscopio le larve colpite non presentano particolare flora microbica. Particolarmente insidioso è il periodo in cui le api cessano di allevare covata maschile, che fino a quel momento ha attirato la maggioranza delle varroe.
Contagio
Parlare oggi di contagio è anacronistico, in quanto la malattia è endemica nel nostro territorio e capillarmente diffusa.
Gli acari si trasferiscono da apiario ad apiario e da un alveare all’altro tramite derive, saccheggi, trasferimento di fuchi, commercio di regine e sciami, raccolta di sciami, nomadismo, ecc..
Anche le operazioni apistiche possono contribuire al trasferimento di acari da una famiglia all’altra, mentre non costituiscono fonte di contagio i prodotti delle api e le attrezzature apistiche, dal momento che in assenza di api le varroe muoiono nel giro di poco tempo.
Gli alveari, anche se trattati, in determinate condizioni di vicinato od in presenza di saccheggio possono re infestarsi in maniera massiccia. Tale fenomeno risulta molto più consistente nel periodo autunnale e in certi casi in quello invernale con famiglie che vanno a saccheggiarne altre morenti o morte. La re infestazione risulta invece minima nel periodo primaverile.Valutazione del grado di infestazione
Non è più neanche un ricordo il momento in cui, nei primi anni, la malattia era di difficile diagnosi. Oggi il livello di presenza degli acari è talmente alto che un’attenta osservazione delle api adulte permette di individuarne diversi.
E’ invece tutt’ora molto importante valutare il grado di infestazione, perché da questo, in funzione al periodo dell’anno, può dipendere il futuro delle famiglie.
Se in primavera/inizio estate disopercolando una decina di celle da fuco se ne trovano più di tre infestate da varroa, il livello di infestazione comincia ad essere preoccupante.
Anche la valutazione della caduta naturale è in qualche modo d’aiuto. Si calcola che moltiplicando per 100 la media degli acari caduti giornalmente fornisca una stima attendibile del numero delle varroe presenti nell’alveare.
Se in primavera/inizio estate si raggiunge una media di caduta superiore ai 5 acari al giorno il livello di infestazione è già pericoloso, in quanto 500-600 acari in questo periodo dell’anno condurranno ad un’infestazione autunnale insostenibile per la famiglia.
Più avanti nella stagione si dovrà intervenire al raggiungimento di una caduta media giornaliera di circa 10 varroe.
Per valutare il grado di caduta naturale, ma anche l’efficacia di un trattamento chimico, sono molto utili e pratiche le arnie con fondo a cassetto.Mantenere un basso livello di presenza della varroa minimizza molti problemi, è quindi importante provvedere alla disinfestazione quando si rende necessaria, indipendentemente dal periodo dell’anno. E’ invece uso consolidato di molti apicoltori attendere fino all’apporto di nettare per togliere melari e trattare le api, spesso all’ultimo momento.
Questo modo di operare, che porta sovente ad intervenire su famiglie in precarie condizioni, può avere gravi ripercussioni l’anno successivo. In primavera, se avranno superato l’inverno, ci si troverà di fronte a famiglie deboli, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Per poter arrivare con buona tranquillità alla fine della stagione è indispensabile partire a primavera con un numero molto basso di acari (meno di 10). Successivamente, ad ogni visita, da metà anno in poi, dovrebbe essere effettuata una valutazione approssimativa del livello di infestazione in maniera da poter intervenire tempestivamente in caso di pericolo.Profilassi e cura
Dal momento che come abbiamo visto, la malattia è endemica in tutto il territorio nazionale e presente in tutti gli apiari, occorre rassegnarsi all’idea di doverci convivere, contrastandola con appropriati mezzi, chimici, manipolativi e biologici.
I metodi per combattere questo acaro si sono sviluppati nel tempo e si stanno evolvendo continuamente, occorrerebbe troppo tempo ad illustrarli tutti, quindi per questa volta ci limiteremo a dire che esistono trattamenti chimici, trattamenti meccanici e trattamenti biologici.
(Provvederò a fare un’ulteriore post più avanti con tutti i mezzi più diffusi per la lotta alla varroa)Nosemiasi
La nosemiasi è una delle 5 malattie contagiose la cui denuncia, in base all’attuale legislazione, è obbligatoria.
E’ particolarmente diffusa nell’Europa settentrionale e centrale, in Italia, forse grazie al suo clima poco favorevole alla malattia, finora non era molto diffusa, attualmente invece, forse a causa del diffondersi della varroa, sta conoscendo un periodo di recrudescenza.Eziologia e caratteristiche
L’agente eziologico della malattia è un protozoo (animale unicellulare), il Nosema apis, che vive e si moltiplica a spese delle cellule epiteliali del mesointestino (stomaco) delle api adulte.
Non vengono invece mai colpiti gli stadi preimmaginali.Il Nosema trova condiziono ottimali di sviluppo a temperature comprese tra i 28 e i 35°C, non sopporta temperature superiori ai 37°C.
In condizioni ideali compie il suo ciclo evolutivo in 3 o 4 giorni, alla fine del quale si trasforma in spora, forma di resistenza e propagazione.
Quando le spore, ingerite con il cibo, giungono nel lime intestinale di un’ape adulta, germinano e danno origine ad una forma ameboide che penetra nelle cellule della parete mesointestinale dove si sviluppa, si evolve e si moltiplica nutrendosi del citoplasma cellulare. Alla fine si formano delle giovani spore che in breve tempo divengono mature.
Data la rapidità di moltiplicazione del parassita che invade un numero sempre maggiore di cellule, in breve tempo tutto il tessuto attaccato risulta infarcito di spore.
Man mano che l’epitelio mesointestinale viene rinnovato le spore vengono riversate nel lume dell’intestino e da qui espulse con le feci.
Giunte all’esterno possono venir ingerite da altre api e il ciclo si chiude.Sulla resistenza delle spore le opinioni non sono concordi, in generale si può affermare che si conservano tanto più a lungo quanto più la temperatura è bassa e, secondo le condizioni, possono vivere da alcuni giorni a cinque anni.
In una famiglia colpita da nosemiasi ogni ape può essere portatrice di circa 4 milioni di spore. Il naturale ricambio delle api aiuta a contenere o eliminare il livello di infestazione, in quanto le nuove nate non risultano soggette agli alti livelli di infestazione presenti nell’alveare, tuttavia il ricambio di api non è sufficiente a eliminare infestazioni superiori ai 4 milioni di spore per ape.
In presenza di malattia solo al dieta con miele migliora i sintomi, mentre la nutrizione con altre sostanze zuccherine li peggiora.Sintomi e diagnosi
L’azione del germe patogeno, pur colpendo solo l’intestino delle api adulte, si ripercuote su tutto l’alveare. All’inizio della malattia le api possono essere ancora attive, ma ben presto la loro attività rallenta e compaiono disturbi intestinali, a volte stitichezza, ma più spesso diarrea; le giovani nutrice colpite diventano incapaci, o quasi, di secernere la pappa reale, le bottinatrici svolgono un’attività inferiore fino a cessarle completamente; se si ammala anche la regina la deposizione di uova decresce fino a cessare nei casi più gravi.
Nosema causa alle giovani api colpite un precoce comportamento di bottinamento. Le api infette mostrano un più alto titolo di ormone giovanile nell’emolinfa. In aggiunta alla mortalità di api indotta dal patogeno questo può portare ad una carenza di nutrici e a difficoltà del normale sviluppo delle famiglie.Ben presto le api colpite non possono più volare, si trascinano davanti all’arnia, si riuniscono in piccoli gruppi, tremano, proseguono la loro esistenza oramai paralizzate ed infine muoiono con le zampe rinchiuse sotto il torace.
Tutti i sintomi che sono stati descritti tuttavia non sono sufficienti a caratterizzare con sicurezza la malattia. Solo la ricerca delle spore al microscopio nell’intestino medio o negli escrementi permette di diagnosticare la malattia con sicurezza.Contagio
La nosemiasi si propaga all’interno dell’alveare attraverso gli escrementi delle prime api ammalante che contaminano per via orale tutta la popolazione.
La diffusione da alveare ad alveare e da apiario ad apiario può avvenire attraverso la deriva delle operaie, i cambiamenti di arnia dei maschi, il saccheggio, l’alimentazione con miele contaminato, l’impiego di materiali o di attrezzi infetti, ecc..Prognosi e lotta
La nosemiasi è una malattia che pur essendo causata da un agente patogeno ben individuato è condizionata da numerosi fattori esterni, tra i quali il clima e l’andamento stagionale rivestono un ruolo preminente. Nelle zone temperate la malattia si manifesta di solito a fine inverno e raggiunge il massimo in aprile-maggio per regredire drasticamente in luglio-agosto e poi ripresentarsi con una certa recrudescenza in autunno. Il parassita trova condizioni favorevoli di sviluppo quando la stagione è cattiva e le api hanno difficoltà a reperire nettare e polline.
Peste americana
È la più diffusa e grave malattia della covata e fra quelle la cui denuncia è obbligatoria.
Eziologia
La peste americana è causata da un batterio sporigeno, il Paenibacillus larvae.
Dalla spora, in ambiente idoneo, si rigenera il batterio che, in condizioni ottimali, è in gradi di riprodursi in circa 30 minuti. Potenzialmente da un solo microbo, in 24 ore se ne possono formare 250 milioni e durante il ciclo di sviluppo all’interno di una singola larva se ne formano diverse migliaia di miliardi.
Le spore sono rivestite da una membrana particolarmente resistente che le protegge dalle avversità ambientali. Nei favi vecchi possono mantenersi vitali per almeno 30 anni.
Le spore per germoliare necessitano di un ambiente semi-aerobico che trovano nell’apparato digerente delle giovani larve, infatti le larve delle api, fino a 25 ore della nascita, sono il principale bersaglio del paenibacillus larvae. Le larve colpite muoiono immediatamente e debbono trascorrere 7 giorni prima che la larva risulti manifestamente ammalata, quando cioè è già stata opercolata.
Al sopraggiungere della morte della larva i batteri si trasformano in spore.
Per le larve delle api si stima che la DL50 (il quantitativo che causa la morte del 50% delle larve) del plarvae sia pari a 38 spore. Tuttavia, mentre sono sufficienti 10 spore per infettare larve di età inferiore alle 24 ore, ne occorrono più di 10 milioni per infettare larve di 4-5 giorni di età.Sintomi
Identificare i sintomi della covata colpita da peste americana significa comparare eventuali anormalità con gli aspetti caratteristici della covata sana, pertanto per diagnosticare la peste americana è importante conoscere il normale processo di sviluppo delle larve.
Normalmente non vi sono sintomi visibili fino a che la larva non muore, poco prima o poco dopo la trasformazione in pupa, cioè normalmente dopo l’opercolazione.
Il primo sintomo osservabile è normalmente un cambio di colore dell’opercolo, che può assumere una colorazione più scura, fino ad apparire quasi nero. Le celle infette risultano anche leggermente umide, quasi oleose in apparenza, e caratterizzate da leggere depressione al centro.
Percependo anormalità nella cella le api cominciano a rosicchiare l’opercolo per rimuoverne il contenuto. Questi fori hanno una forma più irregolare rispetto alle celle in fase di opercolazione e non ancora terminare e anche rispetto alle celle in cui la giovane ape comincia ad uscire.
I sintomi della peste americana si trovano generalmente sulle larve di operaia, in rare occasioni sui fuchi, mai nelle celle reali.Le larve infette da peste americana si trovano generalmente sdraiate lungo la parete inferiore della cella. Larve infette non possono essere trovate nella posizione a C tipica delle larve più giovani, dal momento che il patogeno non uccide la larva prima che questa si sia sdraiata lungo la parete.
Le pupe morte di peste americana presentano la caratteristica di avere la ligula estroflessa e prominente verso l’alto.
Larve e pupe infette da peste americana hanno un odore tipico definito, simile alla colla da falegname o di pesce morto.
Larve e pupe infette da peste americana manifestano in genere un’elevata viscosità. La viscosità della larva può essere individuata semplicemente inserendo uno stuzzicadenti nelle celle, se al momento dell’estrazione si forma un filamento di alcuni centimetri di color nocciola che, rompendosi, rientra elasticamente all’interno della cella, con ogni probabilità ci troviamo di fronte a questa malattia.Profilassi e lotta
Purtroppo il solo metodo a tutt’oggi sicuramente in grado di controllare la malattia consiste nella soppressione delle famiglie colpite. Dispiace enormemente sopprimere le proprie api, come pure veder sopprimere quelle degli altri, ma occorre convincersi che si tratta del male minore, in quanto in tal modo aumenteranno le possibilità di salvare quelle ancora sane e di salvaguardare l’intero patrimonio apistico della zone.
Tutte le api ed i favi contenenti covata di una famiglia colpita debbono essere distrutti mediante incenerimento. I restanti favi, le arnie ed i loro accessori, se sono ancora in buono stato, potranno essere sterilizzati. In caso contrario converrà distruggere l’intero alveare.Peste europea
Per anni non si è stati certi sulla natura del microrganismo causa della malattia. Oggi si sa che la peste europea e causata da Mellissococcus pluton, un batterio non sporogeno, che all’osservazione al microscopio si presenta isolato, a coppie, in catenelle di varia lunghezza od in ammassi caratteristici.
Pur non essendo in grado di formare spore è abbastanza resistente alle avversità ambientali. Può resistere circa un anno all’essiccamento, nel polline si conserva vitale per alcuni mesi e resiste almeno una ventina di ore all’azione diretta dei raggi del solari. Pur non essendo sporiglio, nei favi conservati in magazzino può rimanere vitale per diversi anni.
La sede di riproduzione è l’intestino delle larve di qualunque tipo, dove trovano un ambiente ricco di anidride carbonica. Le larve si infettano per via orale con l’assunzione di cibo. Generalmente il contagio avviene nei primi 4 giorni di vita e le larve giungono a morte prima dell’opercolatura; solo nei casi più gravi le larve si possono contagiare successivamente al quarto giorno di vita ed allora muoiono dopo che le celle sono state opercolate ed è possibile rilevare opercoli inscuriti, depressi e forati, come nel caso della peste americana.
Frequentemente però le larve non muoiono, ed i batteri sono scaricati alla base delle celle, dove possono rimanere vitali per anni. Le larve infette che sopravvivono restano più piccole e possono essere eliminate alle operaie, unitamente a quelle morte.Sintomi
Una caratteristica importante ed utile per riconoscere questa malattia consiste nel fatto che le larve colpite spesso cambiano posizione ed invece di restare coricate su un fianco, a forma di C ed aderenti al fondo delle celle, si possono contorcere a spirale, allungare sul fianco, ripiegarsi a ponte mostrando verso l’alto della cella il dorso oppure le estremità.
Le larve colpite precocemente in 2 o 3 giorni arrivano a morte. Inizialmente si forma una piccola macchia gialla vicino al capo che via via si estende lungo il dorso. Le larve perdono poi il loro riflesso bianco-bluastro madreperlaceo per diventare dapprima bianco opaco, poi giallastre ed infine giallo deciso.Dopo la morte la larva si inscurisce e si decompone, trasformandosi in una sostanza molle color cioccolata che, a differenza delle larve colpite da peste americana, non è ne viscosa ne filante. Questa massa seccandosi forma una scaglia di color ruggine scuro simile a quella della peste americana ma, a differenza di quest’ultima, facilmente asportabile dalle api.
La covata si presenta nel suo insieme non compatta, con celle opercolate e aperte contenenti larve morte. Emana odori di varia intensità che possono essere di due tipo sostanzialmente diversi, secondo i batteri presenti: acido o putrescente.
Quando la malattia non è molto sviluppata le api, specialmente quelle di razza ligustica, molto attive nella pulizia dei favi, possono riuscire a ripulire tutte le celle e la malattia può regredire spontaneamente fino a scomparire.Profilassi e cura
La miglior profilassi per questa malattia, come in generale per tutte le malattie delle api, consiste nel mantenere le famiglie popolose e forti, curando che non restino mai senza provviste, polline compreso, proteggendole possibilmente dagli eccessivi sbalzi di temperatura. E’ inoltre molto importante evitare in ogni modo di introdurre in alveari sani materiale contagiante.
Anche per la peste europea, come per le altre malattie della covata, è fondamentale compiere un’accurata visita primaverile in modo da riscontrare il più presto possibile l’insorgenza della malattia.
Quando si riscontrano famiglie colpite da tale patologia, soprattutto se deboli o ci si trova in autunno, converrà senz’altro distruggerle. Se la malattia attacca famiglie particolarmente forti è possibile tentare la cura con due metodi totalmente diversi. Uno fa ricorso all’uso di antibiotici, l’altro, ricorrendo a particolari tecniche apistiche, si basa sull’interruzione della covata.Patologie secondarie
Esistono tantissime altre patologie che possono colpire le nostre api, ma occorrerebbe creare una documentazione apposita poiché sarebbe una strada infinita da intraprendere.
Per lo scopo che ci siamo prefissati, ovvero di dare un’infarinatura generale, le patologie trattate sono più che sufficienti e anche le maggiormente diffuse nel nostro territorio. -
Mar 09 2014 Primi lavori nel futuro apiario
Ciao a tutti,
con immensa gioia posto il mio primo articolo che riguarda strettamente la mia avventura con il mondo delle api e che riguarda i primi lavori nel futuro apiario.
E’ passato circa un mesetto dal mio ultimo post e anche dalla mia ultima lezione al corso di apicoltura e in tutto questo tempo non ho fatto altro che attendere l’avvicinarsi della bella stagione o comunque sia di un miglioramento.
Ieri ed oggi sono state due bellissime giornate e ne ho subito approfittato per costruire i due supporti per le arnie.Perchè dei sostegni?
Non so se tutti quelli che leggono lo sanno, ma per varie motivazioni è bene non lasciare a terra le arnie (prima tra tutte è l’umidità costante che porterebbe il legno a marcire in fretta).
Deciso a voler ultimare il tutto in questo fine settimana mi sono recato nel futuro apiario, poco distante vi era un mucchio di bancali rotti o comunque non utilizzati e ho deciso di usare quelli per forgiare il supporto.Mi sono messo di buona lena a ricavare tutto il materiale che mi poteva servire (assi, chiodi e zoccoli di legno) utilizzando i più svariati metodi, primo tra tutti ho riscoperto l’utilità del piedi di porco che in molti situazioni è una manna dal cielo.
Insomma, buttato giù un progetto rudimentale nella mia mente sono partito nella costruzione di uno “sgabello” per ogni arnia che non doveva essere troppo alto, perché mi avrebbe reso il lavoro difficoltoso, ne troppo basso causando il marciume del legno dell’arnia.
In poco più di due ore avevo costruito il primo, traballante, sgabello e con tanto timore ho provveduto a caricargli sopra l’arnia (nella foto sottostante potete vedere una delle tante prove), con mio immenso stupore (scherzo ovviamente) ho notato che la mia costruzione reggeva.Forte del successo appena ottenuto ho preparato il materiale per la costruzione anche del secondo supporto, ma il cui assemblaggio è stato rimandato ad oggi poiché il tempo a mia disposizione era terminato.
All’indomani arrivato ottimista nella zona del futuro apiario ho assemblato velocissimamente anche il secondo supporto e, dopo aver caricato anche la seconda arnia su di esso mi sono accorto che il mio progetto aveva una grandissima falla: le arnie ondeggiavano paurosamente nonostante la leggera brezza che si era alzata.
Intuita la situazione ed escogitato il modo migliore per risolvere mi sono cimentato nella costruzione dei picchetti laterali, in maniera tale da rendere perfettamente stabile entrambe le strutture (senza collegarle insieme per non far sentire ad entrambe le famiglie le stesse vibrazioni).Un buon auspicio
Un episodio che merita di essere raccontato è il seguente:
stavo fissando nel terreno il terzo paletto che avrebbe impedito all’arnia di oscillare con il vento, quando il mio orecchio ha captato uno strano ronzio; incuriosito mi volto in direzione di tale rumore e con stupore mi accorgo che sul tetto di una delle due arnie vi si era posata un’ape, la quale, dopo una veloce pausa, ha ripreso il suo volo alla ricerca di polline per la famiglia affamata.
Il vero peccato è di non aver avuto la macchina fotografica a portata di mano in quel frangente, sarebbe stata una bella cosa da condividere.
Non sono una persona superstiziosa ma voglio pensarlo come un segno di buon auspicio! Incrociamo le dita!I lavori che desidero fare sono ancora molti, nel contempo ho ordinato gli strumenti necessari per intraprendere questa attività: tuta, maschera, guanti e leva (avendo già l’affumicatore ereditato dal nonno).
Non mi rimane che salutarvi e darvi appuntamento al prossimo post! A presto bzzzz! -
Feb 09 2014 Api regine e pappa reale – Lezione 6
In questa lezione del corso, la penultima, l’argomento trattato è “api regione e pappa reale”. Sono due argomenti strettamente legati che possono, se si decide di intraprendere questa attività, integrare il reddito di un’azienda apistica. Per conoscere gli altri prodotti dell’alveare potete trovarli nella precedente lezione.
Perché allevare delle regine??
L’allevamento delle api regine consente di lavorare in modo da poter perseguire diversi obiettivi, tra i quali:
- pratici e quantitativi da una parte come:
- aumentare rapidamente il numero delle colonie;
- rinnovare regolarmente tutte le regine ogni due anni;
- risolvere, rapidamente, i diversi problemi che regolarmente si ripresentano come: colonie orfane, regine non soddisfacenti o fucaiole, ecc;
- qualitativi dall’altra, per la selezione delle madri che permette di ottenere:
- famiglie omogenee;
- un miglioramento nelle caratteristiche delle colonie: oltre alla produzione, migliorare la resistenza alle malattie e l’adattamento all’ambiente circostante;
Perché le api sciamano??
Il comportamento naturale per la riproduzione di una colonia d’api è la sciamatura. Seguendo tale istinto naturale, possono generarsi una, due o più famiglie.
La sciamatura delle api + provocata dall’indebolimento nella percezione del feromone reale (mezzo di comunicazione della regina con l’insieme della colonia tramite le api della corte che la leccano).
Nella realtà, sono due i feromoni secreti dalla regina che sono all’origine dell’unità famigliare. Uno di questi feromoni (tradotto in senso di gusto), impedisce la costruzione di celle reali naturali e non fa sviluppare gli ovari delle operaie. L’altro, (senso dell’olfatto) assicura la coesione della colonia. Ad esempio, quando la regina invecchia, la produzione di feromoni diminuisce e la sua presenza diventa sempre meno percepibile dalle api stesse che, ben presto, la sostituiranno.L’aumento della popolazione d’api in primavera, accompagnato dall’apporto di nettare, provoca il blocco della deposizione, contribuisce a rompere l’equilibrio tra la quantità di feromoni emessi e la popolosità della famiglia.
Tutto questo, combinato ad un periodo di super abbondanza di raccolto, origina il fenomeno della sciamatura.
Le migliori regine nascono in questi periodi perché sono scelte per la perennità della specie e così, si è cercando di riprodurre artificialmente le condizioni che si verificano in tali occasioni.L’allevamento delle regine provocato
Se la sciamatura naturale delle colonie origina le migliori regine, presenta però anche enormi difficoltà di gestione.
D’altra parte, l’utilizzo delle regine nate in periodi di sciamatura, conduce ad un fenomeno di selezione di “api regine con forte propensione alla sciamatura”. Per eliminare questi problemi, l’unica strada che può essere seguita è quella che conduce all’allevamento reale provocato.
Provocare un allevamento reale significa scegliere una famiglia d’api, farle allevare celle reali (senza che questa abbia avuto intenzioni proprie), e poi organizzarsi in modo da poter disporre di celle reali a maturità quando se ne ha bisogno.
Di fondamentale importanza è il ricordare che:- la presenza di fuchi è condizione essenziale per un allevamento di regine;
- la maturità dei fuchi è più lenta di quella della regina;
Di conseguenza, per una migliore programmazione del nostro allevamento, sarà necessario operare in modo da poter disporre di fuchi maturi al momento voluto. Questo si rivelerà tuttavia un metodo che ci permetterà di guadagnare alcune settimane rispetto al tempo necessario per la normale fecondazione naturale.
Si procederà in questo modo: all’inizio dell stagione, all’interno delle arnie forti in precedenza selezionate, si introducono 30 giorni prima della data programmata per i primi traslarvi, uno o due telai con celle da fuco (già fatti lavorare l’anno precedente) e si stimola l’arnia con uno sciroppo proteico.
Teoricamente, un favo di fuchi n può far nascere in media 3000 che consentono la fecondazione di 200 regine all’incirca.
In natura, le colonie con regina producono dai 1500 ai 2000 fuchi. In generale, si stimano necessarie 5 famiglie che allevano fuchi per 100 nuclei di fecondazione.
Le colonie orfane mantengono in genere grandi quantità di fuchi.
Ne periodi in cui mancano i fuchi, si può trarre profitto da tale fenomeno andando ad inserire nelle colonie orfane i telai da fuchi allevati. Occorrerà però settimanalmente inserire della covata da operaia.
Questa “banca di fuchi” verrà nutrita con del candito proteico.La selezione
È una priorità per l’allevamento delle api regine.
Selezionare significa modificare mediamente, nel corso delle generazioni che si succedono, dei caratteri trasmissibili quantificati. Proprio per questo è necessario lavorare su linee genetiche diverse, provenienti da zone geograficamente diverse e verificare che le caratteristiche che si vogliono trasmettere si mantengano con passaggio di generazione in generazione.Metodi di allevamento
Sono utilizzati in tutto il mondo tantissimi metodi di allevamento differenti, sarebbe impensabile di spiegarli tutti in questa lezione. Per questo motivo si è scelto di descrivervi e farvi presente ai metodi maggiormente utilizzati.
Starters (iniziatori)
Gli starters vengono usati per fare iniziare l’allevamento delle celle reali prima di passarle ai finisher (finitori).
Le larve innestate vengono affidate per 24 ore alle cure di colonie orfane molto popolate di api giovani e con abbondanti scorte alimentari. Questo metodo assicura una buona accettazione e d un numero costante di celle reali disponibili.In genere, i finitori hanno dimostrato una buna accettazione e il ricorso agli starter è limitato. Questi ultimi vengono in genere usati all’inizio della stagione quando i finitori non hanno ancora acquistato il “riflesso d’allevare”, o quando si presentano momenti critici per l’accettazione come nei periodi caldi e secchi o, al contrario, troppo freschi e umidi.
Sistema “Americano”: Swarm box
Consiste in una cassa con rete su tutti i lati e fondo, al cui interno vengono scossi telai di api giovani (le nutrici che si trovano sui favi di covata) in modo di avere da 5 a 6 kg di api.
Al di sopra viene agganciato il corpo di un’altra cassa dove sono stati sistemati in precedenza 5 favi di miele e polline. Si mettono in comunicazione i due corpi di cassa: le api saliranno a poco a poco verso i telai posti sulla parte superiore.
Dopo circa due ore di orfanità viene portato e aperto nel luogo dell’allevamento e gli verranno date 224 larve (quattro porta stecche con quattro stecche di 14 cupolini). Sarà assolutamente necessario nutrirli con acqua e zucchero.
Dopo 24 ore, si procederà togliendo le prime celle allevate e si rimetteranno nello swarm box una nuova serie di 84 larve. Al terzo giorno 56 larve.
In seguito, le api saranno oramai troppo vecchie e potranno essere destinate alla popolazione dei nuclei di fecondazione. Questo sistema, però, non è utilizzato spesso in quanto presenta delle difficoltà di gestione delle api finali ed in alcuni casi fornisce risultati troppo aleatori.Sistema semplice con cassettino portasciami da 5 favi
In piccole arnie, con il fondo a rete, si mettono due favi, uno di polline e l’altro di miele. All’interno si scuotono 4 favi di covata presi da colonie nelle quali è stata localizzata la regina.
Durante la scossa le bottinatrici prendono il volo, mentre all’interno rimangono soprattutto le giovani api nutrici.Trasportata sul posto dell’allevamento, l’arnietta abbondantemente popolata può ricevere gli innesti di 42 larve (1 porta stecche con tre stecche da 14 cupolini).
Il risultato di questo sistema è ottimo e regolare, si può contare su un’accettazione superiore al 95%.Traslarvi (metodo Doolittle)
Per un allevamento su grande scala, il metodo più conveniente consiste nel trasferire una larva d’operaia, nata da mendo di 12 ore, in una cella da regina in modo da farla allevare come tale.
L’uovo d’ape ha una misura di circa 1,5 mm e quando si schiude, la larva che nasce è ancora più piccola.
E’ però ben visibile sul fondo della cella, perché posta su di una sostanza (pappa real) che luccica.
Il traslarvo è fatto utilizzando i “picking” americani che permettono, con un po d’abitudine e delicatezza di prelevare la larva dal suo bagno di pappa reale senza rovinarla.I traslarvi vengono operati in cupolini di plastica, costituiti da tre elementi che, incastrandosi, semplificano la preparazione, la riunione e la raccolta delle celle reali.
L’età della larva innestata è molto importante perché la “castrazione nutrizionale” avviene già dal terzo giorno dalla schiusa dell’uovo e, quindi, la composizione della pappa reali somministrata alla futura regina sarà diversa da quella data alla futura operaia.
Più giovane sarà la larva, più ci troveremo vicini alle condizioni naturali d’allevamento d’api regine naturali.Finitori
Dopo 24 ore passate all’interno dello starter, le larve verranno introdotte nei finitori, vale a dire all’interno di colonie che le alleveranno fino alla maturità o fino all’opercolatura.
Se la selezione delle madri è basilare, non bisogna dimenticare l’importanza delle allevatrici che condizioneranno il futuro della regina che dovrà essere nutrita al meglio. Le colonie di allevatrici dovranno essere forti, con una regina dell’anno, mansuete e dovranno tenere bene il favo.
Per ogni colonia bisognerò controllare, durante l’allevamento, l’accettazione e la qualità delle celle reali.
Le allevatrici che danno poco pappa reale e che costruiscono piccole celle devono essere sostituite.
La prima accettazione delle larve innestate con il traslarvo è in genere deludente. A partire invece dalla seconda, l’accettazione va migliorando perché la colonia acquista un “riflesso per l’allevamento”.I finitori maggiormente utilizzati sono del tipo verticale e non necessitano di particolari materiali; le allevatrici possono essere scelte tra le colonie a secondo della loro qualità. Per organizzare un finitore si prelevano dalla colonia, scelta in precedenza, due favi di covata opercolata coperta di api e un favo di miele e polline. All’inizio della stagione le notti sono fredde e le api tendono a ridiscendere. E’ per questa ragione che, generalmente, il materiale utilizzato per il primo allevamento deve provenire da alveari esterni.
Si mettono i favi all’interno del corpo di un alveare e si scuotono 2 favi di api giovani. Dopo aver riorganizzato al colonia con una regina, vi si posa sopra un’escludi regina e si sovrappone la famiglia orfana.
In mezzo ai due favi di covata verrà messo il porta stecche con nutritore nel quale saranno inserite le stecche. Le api dei due corpi comunicheranno attraverso l’escludi regina. Il nutritore messo sul coprifavo permetterà di nutrire l’allevamento con candito proteico.
Ogni 10-15 giorni, la parte superiore orfana verrà riorganizzata: si rimetteranno 2 favi di covata, in modo da avere a disposizione in continuazione una grande quantità di api nutrici.
Il finitore, dopo 24 ore dalla sua costituzione, potrà ricevere i primi traslarvi o le celle già accettate dallo starter.Nuclei di fecondazione
In Italia non esistono nuclei di fecondazione standard. Quelli utilizzati sono piuttosto vari, dai portasciami da 5/6 telai, a quelli da mezzo telaio da melario. In genere, ogni allevatore ha il suo personalizzato.
Il loro impiego è soprattutto legato al fatto di consentire una diminuzione dei costi di gestione.
Negli ultimi anni, in Italia, sono apparsi diversi tipo di mini-nuclei che sono stati provati e sperimentati consentendo di arrivare alla conclusione che possono perfettamente funzionare nella nostra regione, e che non esiste alcuna regione per cui si possa pensare che le regine in essi fecondate siano di qualità inferiore.Il loro utilizzo porta, inoltre ad una specializzazione degli allevamento, in quanto buona resa dipendere dalla rigorosa periodicità delle operazione che su di essi devono essere eseguite e dalla perfetta conoscenza degli equilibri che regolano la piccola famiglia nei diversi periodi stagionali.
Formazione dei mini-nuclei – Primo sistema
Prevede un procedimento analogo a quello della formazione degli startes: in apiario si scuotono 8/10 telai di api giovani in un cassettino del tipo portasciame da 5 favi, avente la rete sui lati.
Il tutto viene portato in azienda e “lavato” in modo da bagnare completamente le api. Così fatto, si procederà raccogliendo comodamente le api con un bicchiere. Solitamente un cassettino formato con questo metodo permetto di popolare circa 25 mini-nuclei.Con le operazioni si procede come segue:
- si mettono negli appositi contenitori 200/300 grammi di candito
- si introduce la cella reale di 10/11 giorni od una regina vergine
- si mettono le api
- prima di essere aperto, il mini-nucleo chiuso, viene tenuto in un luogo buio e fresco per un periodo che va dalle 24 alle 48 ore.
Formazione dei mini-nuclei – Secondo sistema
Si porta in azienda il pacco d’api fatto come descritto in precedenza e lo si mette all’interno di una camera scura e fredda (8°C). Qualche ora dopo, si addormentano utilizzando anidride carbonica, disponendo in questo modo di circa 10 minuti per manipolare le api addormentate.
Le operazioni di cui si è parlato possono apparire semplici, ma occorre apprestare la massima attenzione ad ogni particolare in questa fase poiché si rischia di uccidere l’intero pacco d’api.
I mini-nuclei, così costituiti, saranno sistemati in un luogo scuro e freddo per 24-48 ore, ed aperti successivamente nel posto in cui dovrà avvenire la fecondazione.
Dopo 12 giorni dalla nascita, le regine avranno deposto una quantità di uova sufficienti a garantire la continuità della mini-colonia, a quel punto dovranno essere raccolte e introdotta una nuova cella reale.Raccolta, marcatura ed ingabbiamento delle api regina
Generalmente la cella reale viene introdotta nel nucleo di fecondazione un giorno prima della sua nascita. Sul suo coperchio si segna la data di nascita e la sigla che indica la regina madre.
La regina compie il suo volo nuziale tra il 4 e il 7 giorno di vita, inizia a deporre verso il 9/10 giorno. La sua fecondità viene verificata al 12/13 giorno e, solo dopo questo controllo, si passa alla raccolta.
La valutazione sulla deposizione si baserà su di un giudizio di merito: vengono eliminate le regine che depongono in modo irregolare e che hanno malformazioni fisiche.
Dopo la verifica si passa alla raccolta e alla marcatura.
Quest’ultima consiste nell’apporre un punto di vernice colorata sul torace della stessa. I colori di marcatura, in base ad un accordo internazionale, cambiano di anno in anno e sono blu, bianco, giallo, rosso e verde. La sequenza si ripete ogni 5 anni.La marcatura è fatta al fine di poter conoscere, in ogni momento, l’età della regina e per renderla più visibile quando è in mezzo alle altre api.
La vernice usata è di tipo acrilico.
Una volta marcata, la regina viene introdotta nella gabbietta con le accompagnatrici.Le gabbiette devono avere precise caratteristiche: innanzi tutto essere in grado di assicurare la vitalità delle api che ospitano, anche nel caso di lunghi viaggi. Quelle standard, usate per le spedizioni, garantiscono areazione e la giusta umidità; sono inoltre costituite da un parte in legno sulla quale viene posta una rete metallica. Una loro parte è destinata per contenere il candito.
Tecniche di sostituzione delle regine
Non esiste un metodo infallibile e le variabili che possono ostacolare l’accettazione son infinite. Questo significa che è difficile proporre il miglio metodo. Pertanto, qui si potranno riportare solo le esperienze ritenute interessanti:
- Formazione di uno sciame con regina feconda senza covata: si costituisce uno sciame con due favi di polline e miele ricoperte di api e si introduce simultaneamente una regina ingabbiata. La percentuale d’accettazione si è sempre rivelata buona.
- Introduzione diretta utilizzando pappa reale: dopo aver tolto la vecchia regina, si può immediatamente introdurre la nuova senza gabbietta bagnandola con pappa reale fresca. Questa tecnica può essere usata anche nel caso di famiglie orfane o fucaiole senza dover distruggere le celle reali presenti.
- Introduzione sotto rete su covata nascente.
- Introduzione di celle reali aperte (al quarto giorno dopo l’innesto)
Pappa reale
La produzione di pappa reale è poco diffusa fra gli apicoltori italiani. Il ridotto sviluppo del settore va imputato, oltre che alla scarsa conoscenza degli aspetti tecnici, alla presenza
sul mercato di prodotto proveniente dalla Cina ad un prezzo estremamente competitivo.
Recentemente, però, si è osservato un crescente interesse per la pappa reale italiana incentivato da una maggiore informazione riguardo la scarsa qualità del prodotto cinese, il quale talora non rispetta i requisiti merceologici e sanitari.Le nuove potenzialità commerciali hanno spinto alcuni apicoltori a dare vita ad un’associazione, il COPAIT, il cui obiettivo è la diffusione e valorizzazione della pappa reale italiana. L’espansione di questa attività, infatti, si basa sulla divulgazione delle conoscenze riguardo le caratteristiche del prodotto, le tecniche produttive e i suoi risultati economici.
Caratteristiche e proprietà
La pappa (o gelatina) reale, a differenza di propoli e miele, che sono una rielaborazione di essenze vegetali, è una sostanza di esclusiva origine animale. Viene secreta dalle ghiandole ipofaringee e mandibolari dalle api operaie di età compresa tra 5 e 14 giorni per nutrire tutte le larve nei primi tre giorni di vita.
Quando le api decidono di allevare una nuova regina, nutrono la larva per tutto il suo ciclo con la pappa reale e continuano a fornirgliela anche durante tutta la vita allo stadio di insetto. Grazie a questo alimento la regina sviluppa l’apparto riproduttore e può vivere fino a 5-6 anni, contrariamente alle api operaie la cui vita è di pochi mesi.
Queste eccezionali proprietà hanno portato l’uomo a considerarla come un possibile alimento, scoprendone i numerosi benefici. Sono molte le proprietà riconosciute alla pappa reale, anche se le caratteristiche dei suoi componenti non bastano a spiegarne gli effetti sull’organismo; si ritiene, infatti, che questi siano dovuti a qualche sostanza non ancora identificata o al naturale equilibrio e all’effetto sinergico dei diversi elementi. La pappa reale esercita un’azione di stimolo sull’intero organismo che si traduce in una sensazione di benessere psico-fisico, una maggiore resistenza alla fatica fisica e intellettuale e un aumento dell’appetito. Per queste caratteristiche è particolarmente adatta per bambini, anziani, sportivi, studenti e persone soggette a stati di stress. La dose consigliata è di 250 mg al giorno, da assumere al mattino (di sera l’euforia che trasmette può dare una lieve insonnia) e a digiuno, tenendola preferibilmente sotto la lingua, in modo da facilitarne l’assimilazione.La pappa reale è una sostanza semifluida, omogenea e gelatinosa, di colore biancastro tendente al beige. Il sapore è acido e l’odore pungente.
Uno dei circa 30 acidi grassi, il 10-HDA, è contenuto esclusivamente nella pappa reale ed esercita un’attività antibatterica e antitumorale; nel tempo la sua concentrazione diminuisce rapidamente per cui è possibile giovarsi delle sue proprietà solo consumando il prodotto fresco. Il 2,8% del contenuto della pappa reale è ancora sconosciuto, ed è questa la ragione per la quale non si è in grado di produrla industrialmente.
La pappa reale, data la composizione chimica e l’elevato contenuto di acqua, non si conserva facilmente: teme l’ossigeno, la luce e l’attacco di muffe. L’umidità rappresenta un importante indicatore di qualità: se è inferiore al 64% il prodotto è vecchio o mal conservato, se è superiore al 68% vi è un elevato rischio di sofisticazione.
Va conservata in frigo, ad una temperatura tra 0 e 5 °C, e durante il trasporto va sempre mantenuta la catena del freddo; con queste precauzioni si può conservare fino a 18 mesi senza che perda le sue caratteristiche. Per evitare il contatto con aria e luce, la gelatina viene sigillata in sacchetti di alluminio plastificato per alimenti. Per la vendita al minuto viene confezionata in flaconi da 10 g chiusi con un tappo ermetico e posti all’interno di un contenitore in polistirolo insieme alla palettina dosatrice.Descrizione del processo produttivo
La pappa reale che viene raccolta è contenuta esclusivamente nelle celle reali, in quanto quella che si trova nelle celle per api operaie o fuchi ha una diversa composizione. Quindi, per ottenere il prodotto, è necessario che la famiglia allevi nuove regine, situazione che si verifica nel periodo della sciamatura o in caso di orfanità. Essendo la sciamatura un fenomeno limitato alla stagione primaverile, la tecnica di produzione è basata sulla creazione di una permanente condizione di orfanità.
Non esiste una sola tecnica per produrre pappa reale: di seguito viene descritta quella più diffusa fra i soci del COPAIT e che da questi viene indicata a quanti intendono intraprendere questa attività.
Ogni unità produttiva è composta da due arnie a 6 favi sovrapposte e separate da un escludi regina il cui scopo è mantenere la regina nell’arnia inferiore; le api operaie
presenti nell’arnia superiore, percependo l’assenza della regina, vengono stimolate ad allevarne di nuove.Per produrre un elevato quantitativo di gelatina è necessario che siano garantiti il nutrimento e le opportune condizioni ambientali all’interno dell’alveare e che la famiglia sia numerosa e composta di molte api nutrici; a questo scopo è necessario eseguire ogni 6-9 giorni la rimonta, operazione che consiste nel togliere un favo con covata fresca dall’arnia inferiore e inserirlo nella parte orfana in cui si produce la pappa reale in modo da assicurare il necessario ricambio di giovani api.
La nutrizione, che va curata con attenzione in quanto incide sul dinamismo e, di conseguenza, sulla produttività della famiglia, deve prevedere una parte zuccherina ed una proteica; la prima viene generalmente assicurata con miele o zucchero, la seconda con polline. La quantità da somministrare va ben dosata, poiché il nutrimento deve essere completamente consumato e non stoccato nei favi, situazione che andrebbe a ridurre lo spazio per la deposizione e quindi il numero di api all’interno dell’alveare.Innesto delle larve
Le api che si trovano nell’arnia superiore allevano le nuove regine dalle giovani larve che l’apicoltore vi inserisce. Queste vengono posizionate all’interno di cupolini artificiali, di plastica o di cera, montati su delle stecche che a loro volta sono inserite in un telaio detto portastecche. Nella parte superiore di questo telaio è ricavato un nutritore che, nel momento in cui si inseriscono le stecche innestate, viene cosparso con una soluzione zuccherina che ne aumenta l’accettazione da parte delle api.
Le larve da inserire nei cupolini vengono estratte dai favi contenenti covata fresca; questi non vanno prelevati dalle arnie in cui si trovano famiglie in produzione, ma da altre destinate specificamente a questo scopo.
Prelevato il numero opportuno di favi, l’apicoltore si reca in laboratorio dove inizia l’innesto delle larve nei cupolini (traslarvo). Per questa operazione è necessario un leggio,
che tiene il favo nella giusta posizione, una lampada e una lente di ingrandimento per meglio individuare le larve da innestare. Lo strumento con il quale si effettua il traslarvo è il cosiddetto “picking cinese” il quale consente di prelevare la larva dal favo, con la gelatina che si trova sul fondo della cella, e di depositarla sul fondo del cupolino.È questa una fase critica del processo in quanto da essa dipende il risultato produttivo; infatti, se le larve vengono posizionate male sul fondo del cupolino o accidentalmente uccise, le api non le accetteranno e non inseriranno nei relativi cupolini la gelatina per allevarle.
Le stecche con i cupolini innestati vengono poste in una cassettina ricoperta da un panno umido per garantire la sopravvivenza delle larve; raggiunto un numero sufficiente vengono portate in apiario e posizionate sui telai portastecche. Questi vengono inseriti al centro dell’arnia superiore, poiché questa è la zona più calda che, anche in caso di abbassamenti termici, non viene mai abbandonata dalle api.
Quando si opera con un elevato di unità produttive è opportuno non preparare tutte le stecche contemporaneamente, in quanto l’allungarsi dei tempi nei quali le larve permangono all’esterno dell’alveare comporta un incremento della loro mortalità.
L’esecuzione del traslarvo in tempi successivi incrementa notevolmente gli spostamenti fra il laboratorio e l’apiario, ciò richiede che i due luoghi di lavoro si trovino poco distanti e
che entrambi siano facilmente raggiungibili.Estrazione della pappa reale
Trascorse 72 ore dall’inserimento delle stecche, periodo durante il quale le api hanno riconosciuto le giovani larve e hanno depositato nei cupolini la gelatina per allevare nuove regine, i telai portastecche vengono estratti dall’arnia.
Le stecche, tolte dal telaio, vengono portate in laboratorio. La prima operazione consiste nel rimuovere, con un taglierino riscaldato, la cera che le api hanno iniziato a depositare per opercolare i cupolini. Operazione successiva è l’estrazione delle larve per la quale viene utilizzato lo stesso impianto che si impiega per aspirare la gelatina, a cui viene applicato un convogliatore d’aria. Il getto viene passato sulla stecca, in modo da aspirare tutte le larve in pochi secondi
e lasciare la pappa reale pronta per il prelievo.
L’impianto di aspirazione con il quale la pappa reale viene prelevata dai cupolini e raccolta in un contenitore è costituito da una pompa pneumatica alla quale è collegato un filtro che trattiene le impurità presenti nella gelatina.
La pappa reale viene quindi confezionata in sacchetti da 1 kg, per la vendita all’ingrosso, o in barattolini da 10 g, nel caso sia destinata alla vendita al dettaglio, e conservata al fresco. - pratici e quantitativi da una parte come: