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4 Aprile 2014

  • Patologie delle api – Lezione 7

    L’ultima lezione di questo corso tratterà l’argomento “patologie delle api”, purtroppo capitolo molto importante, vasto e in continua evoluzione. In questa lezione saranno riassunte le nozioni essenziali, giusto per dare un’infarinatura generale.

    P.s.
    Per chi volesse c’è una petizione di Greenpeace che riguarda le api da vicino, se tenete al mondo che vi circonda il minimo che potete fare è firmare.
    Trovate tutte le informazioni e la possibilità di firmare digitalmente a questo indirizzo: http://salviamoleapi.org/

    Acariosi

    Si tratta della più grave malattia delle api adulte e fa parte di quelle malattie la cui denuncia è obbligatoria (la denuncia va effettuata all’autorità sanitaria locale secondo quanto disposto dall’art.154 del vigente Regolamento di Polizia veterinaria).
    L’agente della malattia è un’acaro della famiglia dei Tarsonemidi: l’Acarapis woodi Rennie. Ha forma sub-ovale e dimensioni microscopiche.

    Acarapis woodi al microscopio elettronico

    Acarapis woodi al microscopio elettronico

    Presenta un certo dimorfismo sessuale, con la femmina leggermente più grande. A differenza della maggioranza degli acari, che sono ectoparassiti, l’Acarapis è un endoparassita che vive nell’apparato respiratorio (trachee) delle api adulte di tutte e tre le caste.
    La malattia viene trasmessa dalla femmina feconda che penetra nelle trachee toraciche delle giovani api operaie nei primi 9 giorni di vita attraverso gli stigmi, ancora sufficientemente aperti, del 1° segmento toracico.
    Qui l’acaro depone le uova, in media 5 o 6 fino ad un massimo di 10. Dall’uovo si sviluppa una larva che attraverso lo stadio di ninfa diviene adulta in 11-14 giorni.
    Inizialmente il parassita rimane localizzato nel primo tratto della trachea da cui è entrato, ma poi si irradia nel sistema respiratorio circostante moltiplicandosi ulteriormente ed occupando il 1° paio di trachee toraciche.
    Quando il numero di acari diviene considerevole le trachee vengono ostruite dal parassita e questo provoca carenza di ossigeno all’ape. In inverno ed in primavera gli acari escono dalle trachee delle vecchie api e si installano alla base delle ali dove si accoppiano, in tal modo ledono le articolazioni delle ali i cui movimenti cessano di essere coordinati e le api non riescono più a volare.
    Le ali battono staccate, quando invece abitualmente sono agganciate l’una all’altra, ed a volte assumo una caratteristica forma a “K”.
    L’evacuazione delle feci che normalmente avviene in volo, non può aver luogo, l’addome si dilata e le api finiscono per morire.

    Sintomi

    I sintomi visibili dell’acariosi non sono caratteristici, simili come sono a quelli provocati da altre malattie o da intossicazioni: tremori e movimenti convulsivi del corpo , incapacità a volare, ritenzione delle feci, difficoltà anche a camminare; spesso si aggrappano alle erbe in prossimità dell’alveare per morire in lenta agonia.
    Durante l’estate le operaie vivono meno di 6 settimane e la loro morte naturale sopraggiunge prima della seconda generazione del parassita, quindi i sintomi della malattia non compaiono e solo il microscopio può svelare la presenza dei parassiti. Le loro punture provocano infatti degli ispessimenti scuri nelle trachee facilmente individuabili.

    Trachea infestata di un'ape

    Trachea infestata di un’ape

    In autunno, ma soprattutto durante l’inverno, le api vivono molto più a lungo e se alcune di esse sono colpite la malattia si manifesterà in pieno da maggio a giugno.
    Una colonia le cui api siano infestate al 50% prima dell’inverno, non ha alcuna speranza di sopravvivere.
    Anche le regine possono ospitare l’acaro, tuttavia anche nei casi più gravi, pur perdendo le ali, continuano comunque a deporre.

    Profilassi e cura

    Quando in un apiario si scoprono una o poche famiglie acariosate, soprattutto se la scoperta si effettua in autunno quando difficilmente una famiglia avrà la possibilità di sopravvivere o se ci si trova in una zona fino a quel momento esente da acariosi, se ne consiglia la distruzione. Questa va effettuata la sera, quando tutte le bottinatrici saranno rientrate, per asfissia delle api con annessa cremazione delle stesse e recupero dei materiali.
    Negli anni sono state utilizzate numerose sostanze per la lotta all’acariosi. Allo scopo in Italia era stato dapprima registrato il clorobenzilato, poi il bromopropilato, che è stato impiegato anche per la lotta alla Varroa.
    Dopo che è stata segnalata la possibilità di controllare l’acariosi col mentolo e con l’avvento della Varroa, sono aumentati gli studi nei confronti degli oli essenziali, soprattutto perché hanno dimostrato efficacia anche nei confronti del nuovo acaro.

    Varroasi

    Si tratta di una pericolosissima malattia che colpisce sia la covata che gli adulti; viene trattata a questo punto perché è causata da un’altro acaro, Varroa destructor, specie appartenente alla famiglia Varroidae.
    La Varroa destructor in origine era parassita dell’Apis cerana, alla quale non arreca particolari danni, in quanto si riproduce prevalentemente a spese della covata maschile, riuscendo così a convivere, anche grazie a particolari comportamenti di pulizia messi in atto dalle operaie.
    L’occasione che ha consentito alla specie di passare sull Apis mellifera è stata offerta negli anni ’40, quando api europee furono introdotte in Asia Sud-Orientale per aumentare la produzione di miele.

    Varroa destructor al microscopio elettronico

    Varroa destructor al microscopio elettronico

    Eziologia e ciclo biologico

    La V.destructor, a differenza di Acarapis woodi, è di dimensioni piuttosto cospicue e le femmine sono facilmente distinguibili ad occhio nudo. Sono di color bruno-rossiccio, di forma ellissoidale ed appiattita, a prima vista si potrebbero confondere con la Baula coeca, dalla quale si distinguono per avere quattro paia di zampe invece che tre e per aver il corpo più largo che lungo.
    L’acaro possiede un apparato boccale pungente-succhiatore e si comporta da ectoparassita per tutta la durata della sua vita, sia a spese della covata sia a spese degli adulti.
    V. destructor è caratterizzata da un notevole dimorfismo sessuale, i maschi sono bianchi-grigiastri più piccoli delle femmine e di forma più allungata.

    Femmina e maschio di V. destructor durante l'accoppiamento

    Femmina e maschio di V. destructor durante l’accoppiamento

    Essi muoiono entro pochi giorni dalla nascita, di solito più o meno al momento dello sfarfallamento delle api. I maschi adulti non possono assumere cibo in quanto le loro appendici boccali sono trasformati in organi atti al trasferimento delle spermatofore, contenenti gli spermatozoi, nelle vie genitali delle femmine.
    Il ciclo biologico della varroa è sincronizzato con quello delle api. Quando le femmine sono prive di covata le varroe femmine svernano sul corpo delle operaie, normalmente infossate tra le lamine centrali dei segmenti dell’addome. Possono rimanere in questa situazione anche per sei mesi, in attesa che nell’alveare ricompaia la covata. Quando in primavera riprende l’allevamento di covata da parte delle api, anche le varroe riprendono il loro ciclo riproduttivo, ma non lo fanno all’improvviso, sembra invece che la ripresa sia estremamente graduale.
    La riproduzione avviene esclusivamente all’interno della covata opercolata. Le femmine adulte penetrano all’interno delle celle contenenti larve di apri prossime all’opercolazione, quando le larve hanno 6-9 giorni se femminili, 7-10 se maschili. Qui, protette dall’opercolo nel frattempo apposto dalle operaie, si nutrono sul corpo dell’ape in via di sviluppo e depongono le uova.
    Le varroe, figlie e vecchie fondatrici, abbandonano le celle attaccate al corpo delle api che sfarfallano. Le varroe possono compiere fino a 7 cicli riproduttivi, dopo di che muoiono di vecchiaia, tuttavia la maggior parte depone solo una volta e la percentuale che depongono tre volte è già molto bassa.

    Ciclo vitale della varroa

    Ciclo vitale della varroa

    Dinamica della popolazione di Varroa

    Ipotizzando che un ciclo riproduttivo completo si compia mediamente in 17 giorni (5 giorni sulle api adulte e 12 entro la covata femminile o 3 giorni sulle api adulte e 14 giorni entro la covata maschile), durante la stagione riproduttiva (circa 7 mesi) si possono concludere circa 12 cicli.
    E’ stato calcolato che gli acari che si sviluppano in celle da operaia hanno un coefficiente di moltiplicazione pari a 1.3, quelli che si sviluppano in cella da fuco di 2.6; in assenza di fattori limitanti, teoricamente una varroa presente all’uscita dell’inverno si moltiplicherà secondo il seguente schema:

    Come si è detto lo schema è teorico, in quanto occorre tener conto della mortalità naturale delle varroe, delle possibilità che a volte non venga depositato l’uovo maschile, ecc..
    Ci si rende dunque chiaramente conto che la dinamica di sviluppo della popolazione di varroa è enormemente variabile. Se da un lato si può affermare in maniera semplicistica che mediamente la popolazione raddoppia mensilmente, dall’altro, per la complessità dei fattori in gioco, è assolutamente impossibile prevedere a priori la dinamica dello sviluppo di una popolazione nel singolo alveare.

    Rapporto varroa-ospite

    La varroa si muove e riesce a riprodursi nell’alveare molto agevolmente pur essendo cieca. Oltre alle vibrazioni, essa utilizza principalmente l’analisi degli “odori” dell’alveare per essere guidata nei suoi spostamenti e nelle sue attività.
    Prima di tutto l’acaro ha bisogno di riconoscere e distinguere le api adulte a seconda delle loro funzione all’interno dell’alveare. Le nutrici sono di fondamentale importanza, perché sono utilizzate dalla varroa come autobus per raggiungere la covata di età idonea ad essere parassitata.

    Effetti della parassitizzazione sulle api

    E’ stato stimato che per ogni femmina di Varroa presente durante lo sviluppo dell’ape l’ospite perda il 3% dell’acqua del suo corpo. Ciò significa che mediamente il peso di api nascenti infestate da Varroa risulta ridotto dal 6.3 al 25%.
    Le api parassitate emergono con più bassi livelli di concentrazione di proteine nella testa e nell’addome , dell’ordine del 20% e con più bassa concentrazione di carboidrati nell’addome. La concentrazione di lipidi non sembra invece alterata dalla presenza di varroa.
    In queste condizioni l’aspettativa di vita delle api è ridotta del 50%. Tuttavia ciò non è sufficiente a spiegare l’alta mortalità ed il collasso che inevitabilmente sopraggiunge ad un alveare poco tempo dopo l’arrivo della Varroa.
    L’8.5% delle api nascenti mostra deformazioni, ma tale valore è funzione del numero di acari presente nelle celle. Api con deformità evidenti quali riduzione di taglia, atrofia dell’addome, malformazione del pungiglione, delle ali e e delle zampe, nonché riduzione e disfunzione di svariate ghiandole sono comunque rinvenibili in tutti i livelli di parassitizzazione e ciò fa presumere che altri fattori possano essere coinvolti.
    Acari posti su api contenenti nell’emolinfa un marcatore radioattivo acquistano il marcatore in 24 ore. E’ stato così possibile calcolare che ogni femmina adulta consuma 0.67mg di emolinfa in 24 ore.
    In primavera le api parassitate presentano una riduzione degli emociti del 30% e un tenore di acidi nucleici nei tessuti muscolari significativamente ridotto.
    Esse presentano anche nell’emolinfa un numero doppio di batteri rispetto ad api non parassitate.
    E’ stato dimostrato che il marcatore radioattivo viene ritrasmesso alle api sulle quali l’acaro si va successivamente a nutrire, a conferma che la varroa è un importante vettore di patogeni per le api.

    Ape parassitata da una varroa destructor

    Ape parassitata da una varroa destructor

    L’infestazione da varroa può avere riflessi anche sul sistema immunitario dell’ape, col risultato di una più bassa capacità di difesa, che rende le api maggiormente suscettibili a svariati patogeni. Anche sui fuchi si verifica una diminuzione di peso proporzionale al numero di acari presenti nella cella. In taluni casi si può assistere alla nascita di mini fuchi dalla funzionalità assai dubbia. E’ stato verificato che i fuchi nati da celle parassitate non sono quasi mai presenti nelle zone di fecondazione, hanno un’attività di volo ridotta e meno sperma rispetto ai fuchi non parassitatati.

    Sindrome da acari

    La presenza costante della varroa può condurre a quella che è stata definita “sindrome da acari”. Questa sindrome sembra in qualche modo associata alla trasmissione da parte degli acari di diversi virus. Essa può risultare devastante per la colonia. Sia le api adulte che la covata possono risultarne colpite. Alcune dei sintomi associati alla sindrome, che possono manifestarsi in qualsiasi periodo dell’anno, ma con maggior frequenza in tarda estate sono i seguenti:
    Nelle api adulte:

    • riduzione della popolazione;
    • api con evidenti difficoltà di volo che lasciano l’alveare strisciando;
    • sostituzione della regina;
    • presenza anche di acari tracheali;
    • api che lasciano in massa l’alveare anche in autunno inoltrato o inizio inverno.

    Nella covata:

    • covata irregolare;
    • sintomatologia simile a peste europea, peste americana, covata a sacco (questi sintomi possono sparire a seguito di trattamento con acaricida);
    • alcune larve risultano fuori posto nella celletta, altre liquefatte sul fondo della stessa;
    • presenza di larve di color bruno, come nei primi stadi della peste americana, che però non presentano viscosità;
    • in alcuni casi è osservabile la formazione di scaglie friabili e facilmente asportabili.

    Nessun odore tipico è associato alla sindrome e all’esame al microscopio le larve colpite non presentano particolare flora microbica. Particolarmente insidioso è il periodo in cui le api cessano di allevare covata maschile, che fino a quel momento ha attirato la maggioranza delle varroe.

    Contagio

    Parlare oggi di contagio è anacronistico, in quanto la malattia è endemica nel nostro territorio e capillarmente diffusa.
    Gli acari si trasferiscono da apiario ad apiario e da un alveare all’altro tramite derive, saccheggi, trasferimento di fuchi, commercio di regine e sciami, raccolta di sciami, nomadismo, ecc..
    Anche le operazioni apistiche possono contribuire al trasferimento di acari da una famiglia all’altra, mentre non costituiscono fonte di contagio i prodotti delle api e le attrezzature apistiche, dal momento che in assenza di api le varroe muoiono nel giro di poco tempo.
    Gli alveari, anche se trattati, in determinate condizioni di vicinato od in presenza di saccheggio possono re infestarsi in maniera massiccia. Tale fenomeno risulta molto più consistente nel periodo autunnale e in certi casi in quello invernale con famiglie che vanno a saccheggiarne altre morenti o morte. La re infestazione risulta invece minima nel periodo primaverile.

    Valutazione del grado di infestazione

    Non è più neanche un ricordo il momento in cui, nei primi anni, la malattia era di difficile diagnosi. Oggi il livello di presenza degli acari è talmente alto che un’attenta osservazione delle api adulte permette di individuarne diversi.
    E’ invece tutt’ora molto importante valutare il grado di infestazione, perché da questo, in funzione al periodo dell’anno, può dipendere il futuro delle famiglie.
    Se in primavera/inizio estate disopercolando una decina di celle da fuco se ne trovano più di tre infestate da varroa, il livello di infestazione comincia ad essere preoccupante.
    Anche la valutazione della caduta naturale è in qualche modo d’aiuto. Si calcola che moltiplicando per 100 la media degli acari caduti giornalmente fornisca una stima attendibile del numero delle varroe presenti nell’alveare.
    Se in primavera/inizio estate si raggiunge una media di caduta superiore ai 5 acari al giorno il livello di infestazione è già pericoloso, in quanto 500-600 acari in questo periodo dell’anno condurranno ad un’infestazione autunnale insostenibile per la famiglia.
    Più avanti nella stagione si dovrà intervenire al raggiungimento di una caduta media giornaliera di circa 10 varroe.
    Per valutare il grado di caduta naturale, ma anche l’efficacia di un trattamento chimico, sono molto utili e pratiche le arnie con fondo a cassetto.

    Fondo antivarroa

    Fondo antivarroa

    Mantenere un basso livello di presenza della varroa minimizza molti problemi, è quindi importante provvedere alla disinfestazione quando si rende necessaria, indipendentemente dal periodo dell’anno. E’ invece uso consolidato di molti apicoltori attendere fino all’apporto di nettare per togliere melari e trattare le api, spesso all’ultimo momento.
    Questo modo di operare, che porta sovente ad intervenire su famiglie in precarie condizioni, può avere gravi ripercussioni l’anno successivo. In primavera, se avranno superato l’inverno, ci si troverà di fronte a famiglie deboli, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
    Per poter arrivare con buona tranquillità alla fine della stagione è indispensabile partire a primavera con un numero molto basso di acari (meno di 10). Successivamente, ad ogni visita, da metà anno in poi, dovrebbe essere effettuata una valutazione approssimativa del livello di infestazione in maniera da poter intervenire tempestivamente in caso di pericolo.

    Profilassi e cura

    Dal momento che come abbiamo visto, la malattia è endemica in tutto il territorio nazionale e presente in tutti gli apiari, occorre rassegnarsi all’idea di doverci convivere, contrastandola con appropriati mezzi, chimici, manipolativi e biologici.
    I metodi per combattere questo acaro si sono sviluppati nel tempo e si stanno evolvendo continuamente, occorrerebbe troppo tempo ad illustrarli tutti, quindi per questa volta ci limiteremo a dire che esistono trattamenti chimici, trattamenti meccanici e trattamenti biologici.
    (Provvederò a fare un’ulteriore post più avanti con tutti i mezzi più diffusi per la lotta alla varroa)

    Nosemiasi

    La nosemiasi è una delle 5 malattie contagiose la cui denuncia, in base all’attuale legislazione, è obbligatoria.
    E’ particolarmente diffusa nell’Europa settentrionale e centrale, in Italia, forse grazie al suo clima poco favorevole alla malattia, finora non era molto diffusa, attualmente invece, forse a causa del diffondersi della varroa, sta conoscendo un periodo di recrudescenza.

    Eziologia e caratteristiche

    L’agente eziologico della malattia è un protozoo (animale unicellulare), il Nosema apis, che vive e si moltiplica a spese delle cellule epiteliali del mesointestino (stomaco) delle api adulte.
    Non vengono invece mai colpiti gli stadi preimmaginali.

    Nosema apis al microscopio elettronico

    Nosema apis al microscopio elettronico

    Il Nosema trova condiziono ottimali di sviluppo a temperature comprese tra i 28 e i 35°C, non sopporta temperature superiori ai 37°C.
    In condizioni ideali compie il suo ciclo evolutivo in 3 o 4 giorni, alla fine del quale si trasforma in spora, forma di resistenza e propagazione.
    Quando le spore, ingerite con il cibo, giungono nel lime intestinale di un’ape adulta, germinano e danno origine ad una forma ameboide che penetra nelle cellule della parete mesointestinale dove si sviluppa, si evolve e si moltiplica nutrendosi del citoplasma cellulare. Alla fine si formano delle giovani spore che in breve tempo divengono mature.
    Data la rapidità di moltiplicazione del parassita che invade un numero sempre maggiore di cellule, in breve tempo tutto il tessuto attaccato risulta infarcito di spore.
    Man mano che l’epitelio mesointestinale viene rinnovato le spore vengono riversate nel lume dell’intestino e da qui espulse con le feci.
    Giunte all’esterno possono venir ingerite da altre api e il ciclo si chiude.

    Ciclo vitale del nosema

    Ciclo vitale del nosema

    Sulla resistenza delle spore le opinioni non sono concordi, in generale si può affermare che si conservano tanto più a lungo quanto più la temperatura è bassa e, secondo le condizioni, possono vivere da alcuni giorni a cinque anni.
    In una famiglia colpita da nosemiasi ogni ape può essere portatrice di circa 4 milioni di spore. Il naturale ricambio delle api aiuta a contenere o eliminare il livello di infestazione, in quanto le nuove nate non risultano soggette agli alti livelli di infestazione presenti nell’alveare, tuttavia il ricambio di api non è sufficiente a eliminare infestazioni superiori ai 4 milioni di spore per ape.
    In presenza di malattia solo al dieta con miele migliora i sintomi, mentre la nutrizione con altre sostanze zuccherine li peggiora.

    Sintomi e diagnosi

    L’azione del germe patogeno, pur colpendo solo l’intestino delle api adulte, si ripercuote su tutto l’alveare. All’inizio della malattia le api possono essere ancora attive, ma ben presto la loro attività rallenta e compaiono disturbi intestinali, a volte stitichezza, ma più spesso diarrea; le giovani nutrice colpite diventano incapaci, o quasi, di secernere la pappa reale, le bottinatrici svolgono un’attività inferiore fino a cessarle completamente; se si ammala anche la regina la deposizione di uova decresce fino a cessare nei casi più gravi.
    Nosema causa alle giovani api colpite un precoce comportamento di bottinamento. Le api infette mostrano un più alto titolo di ormone giovanile nell’emolinfa. In aggiunta alla mortalità di api indotta dal patogeno questo può portare ad una carenza di nutrici e a difficoltà del normale sviluppo delle famiglie.

    Spore di nosema contenute nell'intestino di un'ape

    Spore di nosema contenute nell’intestino di un’ape

    Ben presto le api colpite non possono più volare, si trascinano davanti all’arnia, si riuniscono in piccoli gruppi, tremano, proseguono la loro esistenza oramai paralizzate ed infine muoiono con le zampe rinchiuse sotto il torace.
    Tutti i sintomi che sono stati descritti tuttavia non sono sufficienti a caratterizzare con sicurezza la malattia. Solo la ricerca delle spore al microscopio nell’intestino medio o negli escrementi permette di diagnosticare la malattia con sicurezza.

    Contagio

    La nosemiasi si propaga all’interno dell’alveare attraverso gli escrementi delle prime api ammalante che contaminano per via orale tutta la popolazione.
    La diffusione da alveare ad alveare e da apiario ad apiario può avvenire attraverso la deriva delle operaie, i cambiamenti di arnia dei maschi, il saccheggio, l’alimentazione con miele contaminato, l’impiego di materiali o di attrezzi infetti, ecc..

    Prognosi e lotta

    La nosemiasi è una malattia che pur essendo causata da un agente patogeno ben individuato è condizionata da numerosi fattori esterni, tra i quali il clima e l’andamento stagionale rivestono un ruolo preminente. Nelle zone temperate la malattia si manifesta di solito a fine inverno e raggiunge il massimo in aprile-maggio per regredire drasticamente in luglio-agosto e poi ripresentarsi con una certa recrudescenza in autunno. Il parassita trova condizioni favorevoli di sviluppo quando la stagione è cattiva e le api hanno difficoltà a reperire nettare e polline.

    Segni di Nosmiasi all'esterno di un'arnia

    Segni di Nosmiasi all’esterno di un’arnia

    Peste americana

    È la più diffusa e grave malattia della covata e fra quelle la cui denuncia è obbligatoria.

    Eziologia

    La peste americana è causata da un batterio sporigeno, il Paenibacillus larvae.

    Paenibacillus larvae al microscopio

    Paenibacillus larvae al microscopio

    Dalla spora, in ambiente idoneo, si rigenera il batterio che, in condizioni ottimali, è in gradi di riprodursi in circa 30 minuti. Potenzialmente da un solo microbo, in 24 ore se ne possono formare 250 milioni e durante il ciclo di sviluppo all’interno di una singola larva se ne formano diverse migliaia di miliardi.
    Le spore sono rivestite da una membrana particolarmente resistente che le protegge dalle avversità ambientali. Nei favi vecchi possono mantenersi vitali per almeno 30 anni.
    Le spore per germoliare necessitano di un ambiente semi-aerobico che trovano nell’apparato digerente delle giovani larve, infatti le larve delle api, fino a 25 ore della nascita, sono il principale bersaglio del paenibacillus larvae. Le larve colpite muoiono immediatamente e debbono trascorrere 7 giorni prima che la larva risulti manifestamente ammalata, quando cioè è già stata opercolata.
    Al sopraggiungere della morte della larva i batteri si trasformano in spore.
    Per le larve delle api si stima che la DL50 (il quantitativo che causa la morte del 50% delle larve) del plarvae sia pari a 38 spore. Tuttavia, mentre sono sufficienti 10 spore per infettare larve di età inferiore alle 24 ore, ne occorrono più di 10 milioni per infettare larve di 4-5 giorni di età.

    Sintomi

    Identificare i sintomi della covata colpita da peste americana significa comparare eventuali anormalità con gli aspetti caratteristici della covata sana, pertanto per diagnosticare la peste americana è importante conoscere il normale processo di sviluppo delle larve.
    Normalmente non vi sono sintomi visibili fino a che la larva non muore, poco prima o poco dopo la trasformazione in pupa, cioè normalmente dopo l’opercolazione.
    Il primo sintomo osservabile è normalmente un cambio di colore dell’opercolo, che può assumere una colorazione più scura, fino ad apparire quasi nero. Le celle infette risultano anche leggermente umide, quasi oleose in apparenza, e caratterizzate da leggere depressione al centro.
    Percependo anormalità nella cella le api cominciano a rosicchiare l’opercolo per rimuoverne il contenuto. Questi fori hanno una forma più irregolare rispetto alle celle in fase di opercolazione e non ancora terminare e anche rispetto alle celle in cui la giovane ape comincia ad uscire.
    I sintomi della peste americana si trovano generalmente sulle larve di operaia, in rare occasioni sui fuchi, mai nelle celle reali.

    Esempi di buchi negli opercoli

    Esempi di buchi negli opercoli

    Le larve infette da peste americana si trovano generalmente sdraiate lungo la parete inferiore della cella. Larve infette non possono essere trovate nella posizione a C tipica delle larve più giovani, dal momento che il patogeno non uccide la larva prima che questa si sia sdraiata lungo la parete.
    Le pupe morte di peste americana presentano la caratteristica di avere la ligula estroflessa e prominente verso l’alto.
    Larve e pupe infette da peste americana hanno un odore tipico definito, simile alla colla da falegname o di pesce morto.
    Larve e pupe infette da peste americana manifestano in genere un’elevata viscosità. La viscosità della larva può essere individuata semplicemente inserendo uno stuzzicadenti nelle celle, se al momento dell’estrazione si forma un filamento di alcuni centimetri di color nocciola che, rompendosi, rientra elasticamente all’interno della cella, con ogni probabilità ci troviamo di fronte a questa malattia.

    Filamento elastico e viscoso

    Filamento elastico e viscoso

    Profilassi e lotta

    Purtroppo il solo metodo a tutt’oggi sicuramente in grado di controllare la malattia consiste nella soppressione delle famiglie colpite. Dispiace enormemente sopprimere le proprie api, come pure veder sopprimere quelle degli altri, ma occorre convincersi che si tratta del male minore, in quanto in tal modo aumenteranno le possibilità di salvare quelle ancora sane e di salvaguardare l’intero patrimonio apistico della zone.
    Tutte le api ed i favi contenenti covata di una famiglia colpita debbono essere distrutti mediante incenerimento. I restanti favi, le arnie ed i loro accessori, se sono ancora in buono stato, potranno essere sterilizzati. In caso contrario converrà distruggere l’intero alveare.

    Peste europea

    Per anni non si è stati certi sulla natura del microrganismo causa della malattia. Oggi si sa che la peste europea e causata da Mellissococcus pluton, un batterio non sporogeno, che all’osservazione al microscopio si presenta isolato, a coppie, in catenelle di varia lunghezza od in ammassi caratteristici.

    Melissococcus pluton

    Melissococcus pluton

    Pur non essendo in grado di formare spore è abbastanza resistente alle avversità ambientali. Può resistere circa un anno all’essiccamento, nel polline si conserva vitale per alcuni mesi e resiste almeno una ventina di ore all’azione diretta dei raggi del solari. Pur non essendo sporiglio, nei favi conservati in magazzino può rimanere vitale per diversi anni.
    La sede di riproduzione è l’intestino delle larve di qualunque tipo, dove trovano un ambiente ricco di anidride carbonica. Le larve si infettano per via orale con l’assunzione di cibo. Generalmente il contagio avviene nei primi 4 giorni di vita e le larve giungono a morte prima dell’opercolatura; solo nei casi più gravi le larve si possono contagiare successivamente al quarto giorno di vita ed allora muoiono dopo che le celle sono state opercolate ed è possibile rilevare opercoli inscuriti, depressi e forati, come nel caso della peste americana.
    Frequentemente però le larve non muoiono, ed i batteri sono scaricati alla base delle celle, dove possono rimanere vitali per anni. Le larve infette che sopravvivono restano più piccole e possono essere eliminate alle operaie, unitamente a quelle morte.

    Sintomi

    Una caratteristica importante ed utile per riconoscere questa malattia consiste nel fatto che le larve colpite spesso cambiano posizione ed invece di restare coricate su un fianco, a forma di C ed aderenti al fondo delle celle, si possono contorcere a spirale, allungare sul fianco, ripiegarsi a ponte mostrando verso l’alto della cella il dorso oppure le estremità.
    Le larve colpite precocemente in 2 o 3 giorni arrivano a morte. Inizialmente si forma una piccola macchia gialla vicino al capo che via via si estende lungo il dorso. Le larve perdono poi il loro riflesso bianco-bluastro madreperlaceo per diventare dapprima bianco opaco, poi giallastre ed infine giallo deciso.

    Larva colpita da peste europea

    Larva colpita da peste europea

    Dopo la morte la larva si inscurisce e si decompone, trasformandosi in una sostanza molle color cioccolata che, a differenza delle larve colpite da peste americana, non è ne viscosa ne filante. Questa massa seccandosi forma una scaglia di color ruggine scuro simile a quella della peste americana ma, a differenza di quest’ultima, facilmente asportabile dalle api.

    Stadi larva affetta da peste europea

    Stadi larva affetta da peste europea

    La covata si presenta nel suo insieme non compatta, con celle opercolate e aperte contenenti larve morte. Emana odori di varia intensità che possono essere di due tipo sostanzialmente diversi, secondo i batteri presenti: acido o putrescente.
    Quando la malattia non è molto sviluppata le api, specialmente quelle di razza ligustica, molto attive nella pulizia dei favi, possono riuscire a ripulire tutte le celle e la malattia può regredire spontaneamente fino a scomparire.

    Profilassi e cura

    La miglior profilassi per questa malattia, come in generale per tutte le malattie delle api, consiste nel mantenere le famiglie popolose e forti, curando che non restino mai senza provviste, polline compreso, proteggendole possibilmente dagli eccessivi sbalzi di temperatura. E’ inoltre molto importante evitare in ogni modo di introdurre in alveari sani materiale contagiante.
    Anche per la peste europea, come per le altre malattie della covata, è fondamentale compiere un’accurata visita primaverile in modo da riscontrare il più presto possibile l’insorgenza della malattia.
    Quando si riscontrano famiglie colpite da tale patologia, soprattutto se deboli o ci si trova in autunno, converrà senz’altro distruggerle. Se la malattia attacca famiglie particolarmente forti è possibile tentare la cura con due metodi totalmente diversi. Uno fa ricorso all’uso di antibiotici, l’altro, ricorrendo a particolari tecniche apistiche, si basa sull’interruzione della covata.

    Ape con maschera

    Ape con maschera

    Patologie secondarie

    Esistono tantissime altre patologie che possono colpire le nostre api, ma occorrerebbe creare una documentazione apposita poiché sarebbe una strada infinita da intraprendere.
    Per lo scopo che ci siamo prefissati, ovvero di dare un’infarinatura generale, le patologie trattate sono più che sufficienti e anche le maggiormente diffuse nel nostro territorio.

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